Il segmento
L’immagine di un segmento, del tratto di retta che parte esatto dal punto nascita terminando preciso al punto morte, è modalità di misura sovente utilizzata per definire l’esistenza individuale.
Nonostante l’imperversare di tale misurazione nel descrivere l’esistenza dell’individuo, l’approccio “a segmento” può rivelarsi non del tutto congruo, a iniziare dall’evidenza che il corpo individuale del vivente era già presente -in qualche modo- nell’essenza organica dei progenitori, precedendo il punto di nascita. Presenza della persona che potrebbe ancora persistere grazie ai suoi cromosomi nell’eventualità travalichino, per mezzo di figli e nipoti, l’individuale punto morte.
Se il modello “a segmento” appare parzialmente incongruo nel definire l’esistenza dell’individuo, risulta ancor più inadeguato nel suo asfittico circoscrivere la Persona. L’umano Soggetto si espande su ben altre dimensioni, magari a spirale, talvolta a complessa linea tratteggiata con punto di partenza e di arrivo non sempre precisabili e misurabili1. Il Soggetto può implementare pensiero capace di travalicare, più dei funzionamenti biologici, il punto morte. E’ erede e fautore di tradizioni, di relazioni, di cultura, che anticipano e proseguono i convenzionali punti di nascita e morte. L’ontologia storico-sociale è risultato di tali personali espansioni implementate da ogni Soggetto; sovrapposizioni di linee fluttuanti in dinamica relazione, più che somma di fissi segmenti.
Però il segmento può ben misurare uno stuzzicadenti ed è anche faccenda decorosa per l’ufficiale di stato civile comunale, quello che nel redigere il certificato di morte segna il tratto di retta compreso fra il punto della data di nascita e quella di morte. Per tutto il resto forse meglio diffidare.
1 Nell’emanciparsi dall’approccio a segmento geometrico possiamo incontrare posizioni estreme. James Hillman, psicologo analista junghiano, a tratti contiguo allo sciamanesimo, nel suo libro «Il suicidio e l’anima» non si preoccupava più di tanto del tragico epilogo di qualche suo paziente a rischio di suicidio, convinto che la psicoterapia avrebbe potuto proseguire post mortem. Al riguardo forse più accettabile il purgatorio cattolico interpretato come narrazione mitica.
Strategie di sopravvivenza
L’affermazione «Niente succede per caso», tutto sommato esprime sottomissione a un qualche Regista occulto;
la variante personale «Con Tizio niente succede per caso» potrebbe notificare sottomissione a un qualche guru.
In tale assoggettamento c’è anche la versione tradizional-confessional-popolare, un po’ continua al magico, «Non cade foglia che Dio non voglia.»
Modi di anestetizzare l’angoscia procurata da possibili agguati dell'inopinata eventualità, forse per miseria di personale potenzialità.
Punti di vista
Al terzo appuntamento dallo psicoanalista d’improvviso riferisce un ricordo rimosso:
«Papà disse di aver sentito una voce che lo chiamava per nome. Lui rispose: “Eccomi!”. La voce riprese: “Prendi tuo figlio, và e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Così arrivarono al luogo che la voce gli aveva indicato; qui papà costruì un altare, mi legò sopra, stese la mano e prese il coltello per immolarmi.1 Poi non mi ricordo più. A me la cosa mica mi era tanto piaciuta, però in giro dicevano che papà era una gran bella persona.»
1 Gen 22,1-10 Testo TILC (libera estrapolazione)
Se ci sei batti un colpo
La fotografia della faccia del defunto sembra attualizzarlo, invece lo pietrifica fissandolo nel passato.
Un po’ contigua a tale fissazione è il religioso immaginare vivo e morto collocati in un luogo di ordine superiore, sorta di accesso a un salotto metafisico che dispensa parvenza di contatto e conversazione.
Forse più efficaci gli strumenti di contatto neopagani come il piantare un albero in onore del defunto, così da glorificarlo attraverso un simbolo naturale, vivo e condiviso.
Ma, alla larga da occultismi, il contatto fattuale accade attraverso lo strumento scrittura se il defunto aveva scritto - comprese le varianti del detto e riferito - il suo pensiero. Il discorso di un autore vissuto più di dieci secoli fa ti si può avviluppare al corpo stimolandolo più di un partner vivo e vegeto. L’evento apre scenari imponenti per vivi e morti.
Calcolo dell'incognita
Zuppa di miso
La incrocio sul marciapiede, sembra ringiovanita. Era un po’ che non vedevo la bella signora svizzera, quella che da San Gallo si era trasferita in Puglia, quella fissata col marito per la macrobiotica e la biodinamica. Coppia che si nutriva a brodaglie, quelli del carboidrato si ma la proteina no, del mangia così e mangia cosà, del respira così e respira cosà.
Ci fermiamo, mi informa col suo accento tedesco della recente malattia del marito: sarcoma sinoviale, gamba destra amputata sopra al ginocchio.
Penso: «Le malattie succedono a chicchessia, ma per onorare teorie bislacche avete passato decenni quaresimali. A che pro?».
Mi guarda come se mi avesse letto il pensiero, fa una pausa prolungata e sentenzia:
«Ora voglio solo godere!»
Bel programma. Anch’io.
L’impantanato
Seduto sul cesso repentino gli si era attivato un remoto ricordo: aveva, più o meno, due anni e nell’osservare il fuoco di una stufa percepiva di esistere. Fuoco d’essere sorto spontaneo non sapeva da dove, non conosceva il perché, non sapeva come. Immenso senso di essere che, trascorsi decenni, sentiva ancora lì, immutato. Teorizzava che tale sensazione era l’unico capitale che aveva e nel contempo l'unico problema.
Intanto, indifferente a essere e divenire, la peristalsi del colon gli accadeva perfetta. Osservando da quella parte avrebbe forse trovato la porta del labirinto così da sciogliere il dilemma, ma lui pensava in grande, lui guardava oltre. Lontano, all’insù.
Paul Valéry. Quaderni, III
Nel metodo la fenomenologia di Paul Valéry (1871-1945), assomiglia al tassello per testare l’anguria: non importa il punto di taglio ma la profondità e la precisione della penetrazione. Un fluttuante assalto al fenomeno da differenti e numerose angolazioni che toccato l’oggetto diventa istantaneo, radiografico, preciso, analizzare.
In questo terzo volume dei Quaderni, Valéry osservando corpo, memoria e umana sensibilità, implementa - autorizzandosi da sé (citatologia praticamente assente) - una inedita psicologia.
Libro, nonostante la disposizione in sessioni, difficile per disorganicità, cripticità e condensazione. Al lettore è chiesta la fatica di apprendere il vocabolario valeryano di questi appunti semilavorati nella forma espositiva eppure precisissimi nel merito.
Opera che esige coinvolgimento empirico, prima che intellettuale, con l’Autore. Inderogabile il farsi compagni di strada per comprenderlo; occorre che i postulati, le osservazioni, le analisi, siano sperimentate personalmente dal lettore, per poi riconfrontarne i risultati con quelli dell’Autore. Proficuo, dunque, leggere le 538 pagine poco alla volta per ruminarle nel quotidiano in presa diretta, finanche con esercizi di osservazione sul campo. Ci si accorgerà che numerosi fenomeni cruciali sfuggivano all’osservazione per autocensura, condizionamenti culturali, mancanza di coraggio, superficialità, oppure perché troppo consueti e aderenti alla nostra persona al punto da impedirne la messa a fuoco. L’occhio di Valery è in tal senso micidiale, a sicuro effetto midriatico sul lettore scardina miopie cristallizzate. Promuove un metodo di pensiero che conduce all’autosufficienza in una rivoluzionaria modalità di pensare dalla quale si rimane proficuamente contagiati.
Termino con una citazione del “naturalista” Valery inaspettatamente prossima a una certa mistica vedantica e alla fisica quantistica e dintorni:
«Non è senza meccanismo, non è in modo del tutto naturale o del tutto immediato che le cose sono quello che sono, e che la “realtà” (nel senso ordinario) mi circonda, mi ammette e apparentemente s’impone. Ciò che è ha bisogno di una attività incessante e viene incessantemente stabilito e ristabilito.» (p. 420)
Un “ristabilimento” della realtà, quasi una ri-creazione operata dal Soggetto. Folgorante.
Paul Valéry
Quaderni, III
Biblioteca Adelphi
Kumari Devi nostrana
L’osservazione dei nipoti risulta talvolta più precisa di quella dei figli, probabilmente per ottimale messa a fuoco derivante dalla corretta distanza osservatore-osservato.
Dalla nascita fino ai tre anni –qui sono arrivato nel contemplare mia nipote– l’accadimento del bambino è tanto portentoso e originale e il suo scostamento dal naturale esistente così immane1, da chiedersi se non sia più fideistico interpretarlo come mero prodotto di evoluzione naturale casuale2 rispetto al credere che sia creazione di un qualche Dio.
Ontogenesi da ovulo+spermatozoo nell’alveo della filogenesi, fai le somme e anche se lo spermatozoo è di padre ubriaco e l’ovulo di madre deficiente (non è il caso dei genitori di mia nipote) invece di un risultato esce l’inestimabile. Un quid sfugge. Cosa? Non lo so, ma l’accadimento di tanto e tale “valore aggiunto” appare rassicurante. Ben osservare il bambino è forse il più efficace antidoto a ogni angoscia di morte e di vita.
1 Kumari Devi la Dea vivente degli Hindu del Nepal che scelgono una bambina per trasformarla in divinità, così da onorarla -al di là di contaminazioni rituali, sovente contigue al superstizioso- potrebbe essere interpretata in questa prospettiva.
2 Al riguardo Darwin era più scientifico, dunque aperto a possibilità di soluzione inedite, di tanti suoi ideologici seguaci:
«Non posso per niente accontentarmi di vedere questo meraviglioso Universo e soprattutto la natura dell’uomo e di dedurne che tutto è il risultato di una forza cieca. Sono incline a vedere in ogni cosa il risultato di leggi specificamente progettate, mentre i dettagli, buoni o cattivi che siano, sono lasciati all’azione di ciò che si può chiamare caso. Non che questa opinione mi soddisfi del tutto. Percepisco nel mio intimo che l’intera questione è troppo profonda per l’intelligenza umana. È come se un cane tentasse di speculare sulla mente di Newton, ognuno speri e creda come può.» C. Darwin, The Correspondance of Ch. Darwin, Cambridge UP, Cambridge 1985-1995, pag. 224
Le liceali
Crepitio dalla ruota anteriore destra, vado dal meccanico. Nell’attesa che si liberi il ponte per alzare l’auto passeggio nei giardinetti pubblici di faccia all’autofficina. Sulle panchine trionfi di cuoricini e scritte a pennarello nero indelebile; davvero numerose, appiccicaticce nei contenuti. Calligrafie così ben leggibili che implorano l’attenzione del passante. Manco un trivio, tutta roba romantica, faccenda di femmine del liceo contiguo ai giardinetti. Una scritta definisce l’amato: «Sei l’interpretazione dei sogni che al mattino ho dimenticato».
Il meccanico mi chiama, il rumore era procurato da un lamierino allentato. Tutto a posto, nessun pericolo, posso ripartire. A rischio permangono le liceali.