Nella storia del pensiero non mancano visioni rigidamente deterministiche, e tra queste spicca quella di Spinoza. Egli concepisce l’esistenza come interamente governata da una necessità impersonale, una sostanza eterna e autosufficiente che non persegue alcun fine. Tutto ciò che esiste non può che esistere, tutto ciò che accade non può che accadere. Non vi è spazio per l’iniziativa individuale, per un’autentica libertà personale o per un soggetto autonomo: in questa prospettiva rigorosamente deterministica, il soggetto non è altro che un modo della sostanza universale, senza un’esistenza indipendente.
Nel sistema di Spinoza, gli esseri umani sono parte di un ordine necessario che li determina in ogni aspetto. Di conseguenza, la società non evolve perché qualcuno sceglie liberamente di trasformarla, ma perché emergono, all’interno della concatenazione delle cause necessarie, le condizioni che determinano il cambiamento. Analogamente, nessuno diventa buono o malvagio per scelta autonoma: sono le cause necessarie a orientarlo in una direzione e a mantenerlo in essa. Se tutto accade per necessità, nessuno merita davvero elogi o condanne. Indignarsi per le azioni meschine o crudeli degli altri equivale, in ultima analisi, a indignarsi nei confronti della Natura, della Sostanza, di Dio.
Come si concilia allora questa visione con il titolo dell’opera più celebre di Spinoza, l'"Etica"? Se gli esseri umani sono interamente determinati, che senso ha parlare di etica? In effetti, Spinoza non invita a essere moralmente migliori, ma a raggiungere una consapevolezza razionale dell’ordine naturale. Essere determinati in modo consapevole è più vantaggioso che esserlo inconsapevolmente. Tuttavia, anche questo passaggio è parte del meccanismo necessario della realtà, non un atto di autentica iniziativa personale. La libertà, per Spinoza, coincide con la comprensione della necessità.
Potrebbe sembrare un paradosso, eppure quando provo a guardare il mondo da un’angolazione spinoziana percepisco una libertà intensa.
Forse la nostra opposizione tra necessità e libertà dipende dall’aver introiettato rigidamente il principio di non contraddizione, mentre alcuni aspetti della realtà potrebbero seguire logiche diverse, come suggerisce la scienza quando studia il verificarsi di combinazioni lineari di stati distinti. Oppure, l’apparente conflitto tra necessità e libertà nasce da un equivoco: confondiamo livelli differenti della realtà. La natura esiste in un certo modo, la conoscenza che ne abbiamo segue altre dinamiche, e ancora diversi sono i criteri con cui giudichiamo il bene e il male, il bello e il brutto. I livelli ontologico, gnoseologico, etico ed estetico operano secondo logiche specifiche e non possono essere sovrapposti senza generare contraddizioni insolubili. L’ontologia afferma: il pesce grande mangia il pesce piccolo. Ma la nostra sensibilità morale, su tutt'altro piano, aggiunge: non siamo indifferenti a questo accadere.