Che ne so?*
E’ più dogmatico presumere che dopo morti continueremo a essere o è più dogmatico ritenere che finiremo del tutto? Visto che “nessun occhio ha visto, né orecchio ha udito” cosa accadrà dopo, meglio abitare il mistero senza volerlo forzare in risposte univoche, in fin dei conti il mistero è fertile proprio nel suo essere irresolubile.
Ma soggiornare nel mistero, in questo fecondo "non sapere", è però un’arte[1] insidiosa: se lo abitiamo in modo attivo iniziamo a formulare ipotesi a raffica, e così lo trasformiamo in qualcosa di definito raggrinzendolo; se invece lo contempliamo immobili sprofondiamo in un’immacolata ignoranza catatonica.
Forse una via d’uscita sta nel modo in cui ci rapportiamo alle ipotesi che il mistero stimola in noi, esplorandole senza attaccarci a esse, senza prenderle come verità definitive[2], più che cercare e trovare risposte è allenare e affinare un certo modo di stare nelle domande.
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*Que sais-je? (Montaigne).
1 Non è disciplina che si insegna, non è via che da qua porta là.
2 Un po’ come succede per l'improvvisazione jazz, che diviene tra controllo e abbandono, tra intenzione e apertura al caso.
DNA culturale
Ci sembra di vedere il mondo capaci di cogliere il “vero” e il “reale”, invece lo vediamo filtrato dai nostri sensi e mediato dalle tradizioni culturali d’occidente[1]. Ereditarietà culturale tutto sommato vantaggiosa, pur con tutti i disastri che abbiamo prodotto qualcosa di buono l’abbiamo anche fatto. Però non sarebbe male accorgersi d’essere intrinsecamente condizionati[2], al punto che pensare con la propria testa è forse opzione impraticabile. Oltre che accorgerci della connaturata connessione con questo DNA culturale, non sarebbe male provare di tanto in tanto a reciderlo, giusto per aprire un momento la finestra e vedere che succede davvero là fuori, senza filtri e senza interpretazioni.
Ma come? Una qualche incursione nel pensiero orientale o sciamanico potrebbe regalarci spunti utili. Nel caso il condizionamento non si sia incistato troppo in profondità, si potrebbe provare a superarlo esercitando una fantasia estrema, oppure ingurgitando sostanze psicotrope così da bypassare la dicotomia soggetto-oggetto, o in alternativa praticare sport estremi che liberino in noi tantissima adrenalina fino al punto da trascenderci. Forse funziona meglio fare esperienza immediata e non mediata della realtà naturale, va bene la contemplazione di una montagna, di una rana, di una foglia. Però soluzione eccellente per uscire dal connaturato condizionamento è morire.
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1 Sia il punkabbestia che l’impiegato di livello ottemperano inconsapevolmente griglie concettuali e tassonomiche che derivano, in modo diretto o tortuoso, dalle idee platoniche o dal Dio creatore della tradizione giudaico-cristiana, dall’Io penso dunque sono di Cartesio o dagli idealismi ottocenteschi, e così via.
2 Filosofi come Nietzsche, Heidegger e Derrida (con tutti i teorici della decostruzione), hanno evidenziato la natura storicamente e culturalmente condizionata del nostro pensiero.
Gap
L’editing genomico che permette di correggere errori genetici c’è da pochissimo tempo, e lo smartphone uscito quest’anno funziona meglio di quello dell’anno scorso. Si sa, scienza e tecnologia vanno sempre avanti, progresso lineare e costante, cumulativo e irreversibile. Assuefatti da questo miglioramento ci può sembrare che tutte le cose progrediscano così, e invece per la politica, la filosofia, le arti, l’etica, insomma per tutto ciò che non è scienza e tecnologia in senso stretto, il discorso si complica.
Anche se per tutte queste cose non è semplice individuare criteri di valutazione univoci, oggettivi e condivisi, per determinarne il miglioramento, possiamo comunque essere tutti d’accordo che è oggi infrequente incontrare in piazza un Socrate, uno Spinoza o un Kant, rari anche i Michelangelo e i Beethoven e passeggiando nei giardini pubblici non è facile incrociare un Seneca o un Confucio. Esperienza plastica che alcune intuizioni del passato possono risultare insuperabilmente più profonde di quelle contemporanee.
Studiando la storia vediamo sì un progresso scientifico costante, ma accompagnato da un miglioramento umano intermittente, fragile, tortuoso, sparpagliato, ciclico, con l’improvviso e raro apparire di pensatori che raggiungono vette di pensiero e di vita irraggiungibili, intercalati da lunghi periodi di mediocre e bassa levatura diffusa, e anche di stasi e di regressione, basti considerare l'Olocausto che segue all’Illuminismo. Scostamento pericoloso quello fra le anime e la tecnologia che potrebbe mettere nelle mani di un primitivo la bomba atomica.
Si potrebbe forse azzardare che i rari individui capaci di picchi insuperabili di genio, vivano in una dimensione universale atemporale, capace di abitare l’immanente Sub specie aeternitatis. Italo Calvino scriveva: “Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani”. Dopo tutto la periodizzazione storica è un nostro arbitrio, una costruzione concettuale per ordinare il passato così da interpretarlo, una narrazione selettiva, un costrutto culturale, anche se di fatto non esiste una scansione del tempo insita nella realtà. Forse il genio è tale perché capace di abitare il continuo-infinito-presente.
Estromissioni fatali
Ma com’è che ci siamo ridotti così? Per capirci qualcosa ho provato ripercorrere la storia della filosofia moderna[1], per concludere che prima c’era Dio poi è morto e l’Io ne ha preso il posto. E la Natura? Perlopiù estromessa[2], talora annichilita, e da Dio e dall’Io. Forse il problema sta tutto qui.
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1 Grazie al saggio “Dio, uomo e mondo”, nella metafisica da Cartesio a Nietzsche. Traduzione e cura di Orlando Franceschelli; Donzelli editore.
2 Non mancano filosofie che dal XVII secolo in poi hanno affermato, in modi differenti, il primato della Natura, dal Panteismo rigoroso e necessitarista del Deus sive Natura, al Naturalismo razionale, all’Evoluzionismo ecc.. Concezioni abili nel produrre proprie ontologie (natura dell'essere), epistemologie (conoscenza della realtà), metodologie (studio della realtà), e anche proprie etiche in quanto, consapevoli di essere noi una piccolissima parte della natura, evitiamo di perderci in derive di tracotanza; consapevoli di stare tutti sulla stessa barca tendiamo a essere solidali, tra di noi e con ogni essere vivente. Ma oggi che rimane di tutto questo? Fuori da qualche eccezione probabilmente poco. Rimane, come fenomeno diffuso, l’ideologia green, non sempre fondata su una riflessione filosofica di ampio respiro: fenomeno sociale che sovente si limita a un mero attivismo su obiettivi circoscritti e semplicistici, incapace di proporre ontologie, epistemologie, buone metodologie ed etiche proprie.
Cosa si prova a essere un pipistrello?*
L’immediato constatare di non sapere ci spinge a indagare, indaga oggi, indaga domani, si conoscono tante cose mentre altre ci restano sconosciute[1], così dopo una vita trascorsa a imparare e conoscere si raggiunge la meta di un consapevole e informato sapere di non sapere. Conscio e informato, per questo ben diverso dal non sapere di partenza. Questa consapevolezza è uno stato strano che può annichilirci se ci abbarbichiamo a noi stessi, però staccandoci un po’ da noi questo conscio non sapere può generare una conoscenza potente e una libertà inedita, il socratico sapere di non sapere apre a certezze che non sappiamo concettualizzare e dire eppure sentiamo. Forse perché c’è una parte di noi che sa ma non rivela, come quando, lì per lì, ci dimentichiamo un nome ma sappiamo d’avercelo dentro, o forse questo non sapere ci rassicura perché ci emancipa dalla condizione e dalla portata dei Sapiens, con le loro limitate esperienze soggettive e i loro esigui codici del sapere e del non sapere[2].
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*Il titolo l’ho preso in prestito da Thomas Nagel.
1 Che sono poi le cose fondamentali: “Perché esiste qualcosa invece di nulla?”; la realtà è davvero come la percepiamo? Viviamo in una simulazione? Esiste una realtà oggettiva o tutto è filtrato dalla nostra mente? Cosa significa essere coscienti? Come può la materia (il cervello) dare origine a pensiero e coscienza? La coscienza è solo un'illusione o un fenomeno reale? Abbiamo veramente il libero arbitrio? Esiste un significato oggettivo della vita? La vita ha un senso intrinseco o siamo noi a dovergliene dare uno? Esiste Dio o un qualcosa che gli somiglia? Cosa accade dopo la morte? La coscienza sopravvive in qualche forma o si spegne completamente? I numeri e le leggi matematiche esistono indipendentemente da noi? La moralità è oggettiva o soggettiva? E le tante rimanenti domande.
2 Che si prova a essere un pipistrello? E a essere un Sapiens? Il pipistrello sa il mondo eco-localizzandolo noi concependolo, sapere parziale quello del pipistrello, sapere parziale il nostro.
Uno e triplice
Il monaco erborista è tipo enigmatico e sfuggente, fra Dio, Io e Natura non si capisce in che direzione si muova, la verità è che neppure lui sa da che parte andare.
Da giovane tutto gli era chiaro: il Creatore aveva fatto lui e la natura e le piante medicinali erano la farmacia del Signore, ma senti il fetore diabolico di una pianta velenosa oggi, ingurgita l’alcaloide di una pianta psicotropa domani, di quelle buone, di quelle che in un sol colpo azzerano Io e Dio, ha fatto esperienza che la natura sta in piedi per forza sua, che Dio è una invenzione dell’Io, e che l’Io è qualcosa di nebuloso e impermanente.
Ancora pensa a un continuo correlarsi di Dio, Io e Natura, ma nell’esperienza plastica del trasformare piante officinali, sperimenta invece l’incessante autoperpetuarsi del sommo funzionamento naturale, che tutto fa e incorpora.
Grandangolo
Questa mattina gli è venuto di vedere lui e il mondo sub specie aeternitatis, sotto l'aspetto dell'eternità. I problemi erano ancora tutti lì, eppure in qualche modo redenti. Questione di punto di vista, d’angolo, di profondità di campo.
Quasi creature d’altra specie
Ho chiesto all’infermiera di farmi le iniezioni, finito il turno in ospedale fa sette chilometri per raggiungermi e me le fa, manco mi conosce bene ma viene a gratis, le viene da fare così nessuno sa perché. Son quelle così[1] che, nonostante i disastri, fanno andare avanti il mondo[2].
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1 “Quasi creature d’altra specie” (Leopardi, Pensieri).
2 Forse addirittura, performanti come un dio creatore, producono mondi, come se ontologia e metafisica fossero conseguenza dell’etica e non viceversa.