E’ più dogmatico presumere che dopo morti continueremo a essere o è più dogmatico ritenere che finiremo del tutto? Visto che “nessun occhio ha visto, né orecchio ha udito” cosa accadrà dopo, meglio abitare il mistero senza volerlo forzare in risposte univoche, in fin dei conti il mistero è fertile proprio nel suo essere irresolubile.
Ma soggiornare nel mistero, in questo fecondo "non sapere", è però un’arte[1] insidiosa: se lo abitiamo in modo attivo iniziamo a formulare ipotesi a raffica, e così lo trasformiamo in qualcosa di definito raggrinzendolo; se invece lo contempliamo immobili sprofondiamo in un’immacolata ignoranza catatonica.
Forse una via d’uscita sta nel modo in cui ci rapportiamo alle ipotesi che il mistero stimola in noi, esplorandole senza attaccarci a esse, senza prenderle come verità definitive[2], più che cercare e trovare risposte è allenare e affinare un certo modo di stare nelle domande.
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*Que sais-je? (Montaigne).
1 Non è disciplina che si insegna, non è via che da qua porta là.
2 Un po’ come succede per l'improvvisazione jazz, che diviene tra controllo e abbandono, tra intenzione e apertura al caso.