BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Giovedì, 28 Giugno 2018 10:30

Fra la persona e la cosa

Do una pulita al getto del carburatore e il tagliaerba ripiglia a funzionare e quel rombare sembra affermare il primato della materia e delle sue specifiche leggi, come se sentenziasse: tanto quanto ottemperi gli oggetti materiali e le relate leggi e più abiti la realtà, altrimenti puoi essere anche Goethe ma te la stai suonando e cantando se tanta sapienza non è capace di far ripartire un tagliaerba - qui metafora della realtà oggettuale e dei correlati funzionamenti.

Se la sentenza fosse corretta quelli più saggi dovrebbero essere coloro con più spiccato ed efficiente senso pratico, ma basta passare in rassegna chi conosciamo per renderci conto di quanto sia ingenuo tale giudizio, visto che tra i realisti competenti incontriamo sia persone valorose che idioti patentati.

Il punto è che fra la cosa e la persona e tra la persona e la cosa accadono moti dell’universo che i più arguti hanno dettagliato, da Kant a Husserl, e hanno fatto bene ad elargire concezioni e indicazioni così da evitare equivoci, visto che ottemperare le cose (materia) è atto complesso, insidioso, per certi versi impossibile.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 27 Giugno 2018 10:31

L’antefatto

C’è chi sostiene che la scienza separi l’uomo dalla natura e chi afferma che l’uomo abbia iniziato a dividersi dalla natura nel momento che ha prodotto cultura a iniziare dalle concezioni religiose (soprannaturale), ma forse tale scissione è impossibile perché l’uomo qualsiasi cosa pensi, faccia e produca, nuota nell’antefatto della natura ed è lui stesso natura, pertanto qualsiasi suo artefatto, bello o brutto, giusto o sbagliato che sia, è in ogni caso naturale.

Antefatti contraffatti, manufatti malfatti, artefatti benfatti? Qui si presentano numerose problematiche bioetiche, estetiche, qualitative ed ecologiche tutte da chiarire[1] e risolvere, eppure, in fin dei conti, anche il soprannaturale è naturale perché prodotto da quest’ultimo e così una molecola di sintesi fatta dall’uomo[2] invece che prodotta da un fiore.

Non sarebbe poi male riscrivere Atti 17,28 riformulandolo così: «Nella natura infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, stirpe di essa noi siamo.»
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1 Oggi in campo biomedico si auspica un approccio più olistico, interpretato sovente come sinonimo di naturale. Dopo tanto imperversare di riduzionismo scientifico è una rivendicazione ragionevole, data la complessità e l’interconnessione della vita biologica, a patto di intendersi sul significato di olistico, visto che quando anticamente (manco tanto) la medicina veniva esercitata in una dimensione apparentemente più cosmica rispetto alla nostra attraverso pratiche e credenze magiche, alchemiche, religiose e astrologiche, si schiattava a manco quarant’anni estromessi dalla città.

2 Il prodotto di sintesi non è creazione ma trasformazione e assemblaggio di elementi già esistenti.

Pubblicato in Erbario
Lunedì, 25 Giugno 2018 15:33

Carbonio

Se vai a sondare i differenti milioni di principi attivi contenuti nelle più disparate piante officinali -ognuno dei quali procura all’organismo umano specifiche differenti azioni, da terapeutiche a mortali- in quelle molecole troverai sempre gli stessi atomi: l'idrogeno e l’onnipresente carbonio che sovente si lega con se stesso, talora con l’ossigeno e/o l’azoto, qualche volta con lo zolfo o il fosforo, e pochi altri.

Poco più di cinque mattoni, sempre e solo quelli, procurano azioni farmacologiche differenti e finanche opposte. Può capitare che due molecole costituite dallo stesso numero e tipo di atomi, ma differenti nella disposizione di un solo atomo (isomeri), e una ti farà bene, l'altra male; è un po’ come se nell’impilare qualche libro sulla scrivania nel posare un manuale di aeromodellismo sopra a una bibbia produciamo un danno e nel rimetterlo sotto lo risolviamo; come il posizionamento delle note fa melodie o cacofonie e quello delle lettere parole e le parole frasi (Atomismo logico, Russell, Wittgenstein) che sanano o avvelenano.

Puoi essere san Francesco con tutta la sua fede nel soprannaturale, puoi essere Hitler con tutta la sua fede in se stesso, ma quel minuscolo variare di posizione di un atomo in una molecola funziona sempre, curandoti o accoppandoti: il meccanicismo è una legge dell’universo, ce ne sono di altre forse superiori a condizione che nel superarlo lo inglobino così da contenerlo. Abitiamo regni differenti quanto interconnessi.

Pubblicato in Erbario
Venerdì, 22 Giugno 2018 15:39

Appunti di viaggio

La fiamma dell'accendino accende il sigaro, il girare del motore fa muovere la vecchia Golf e la martellata sull'indice lo fa nero, eppure la fisica quantistica in alcune circostanze rileva l’immediata concomitanza e identità di causa ed effetto; fenomeni dove la separazione tra generante e generato è roba superata. Una più che comprensibile e dimostrabile dinamica dove la realtà accade grazie alla relazione tra enti, eventi dove causa ed effetto sono un tutt'uno come il tempo e lo spazio, e fin qui ci siamo.

Che invece spiazza è il causa sui, auto-causa di se medesimo, che Spinoza diceva della natura, e con lui valorosi altri. Postulato che vedo riscontrabile per l'umano pensiero (autoctisi), ma nell'applicarlo all'essere e accadere della natura più lo rumino e più lo vedo strano, più lo accetto come vero - come quando da giovane credevo, con un salto logico, agli angeli di Dio - e più irrompe un  contraccolpo che procura la stessa sensazione di quando si pesca la carta perdente nel gioco delle tre carte e vien da dire: “Causa sui? Ma dov’è il trucco?”

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 20 Giugno 2018 12:44

Conoscenza della cosa

Nella corteccia dell’alberello di ramno il sacerdote druido vedeva un elfo e nel medioevo il monaco irlandese ci adocchiava un rimedio portato da un angelo del Signore per curare gli uomini, mentre oltre Atlantico lo sciamano coglieva in quell’acre corteccia che svuota l’intestino una forza del Grande Spirito.

Oggi la scienza vede e misura delle precise molecole denominandole eterosidi antrachinonici, stilema più preciso quanto sgraziato, per dire attraverso un necessario quanto provvisorio arbitrio semantico condiviso, al pari di “elfo” e “angelo”, la stessa cosa.

Pubblicato in Erbario
Lunedì, 18 Giugno 2018 11:37

Neologismo del giorno: Luità

Osservo che ci percepiamo un uno anche se divergiamo in noi stessi quanto un lombrico da un dio; in ognuno di noi albergano in tanti come affermavano Pessoa, Pirandello e - all'inizio del video sotto - pure Totò.

Succede pure in gruppo, anche se tutti bipedi e senza coda non di rado siamo tanto diversi quanto lo è un rospo da un’antilope, come confermano l'imperversante incomprensione, la conflittualità tra le persone e il sopruso di qualcuno su qualcun altro, eppure siamo anche un tutt’uno, non solo perché prodotti dalla medesima radice ontologica - naturale o divina che sia - ma proprio per l'attivo succedere della luità d’ognuno; se esiste una prova dell’esserci di Dio la vedrei, per analogia, in questo continuo e differente accadere del soggetto mio simile e insieme Altro, come mi suggeriva una recente lettura[1] e come talvolta conferma il piacere della convivialità tra differenti individui.

In queste cose tutto fluttua e la logica, pur indispensabile per altre faccende, arranca.

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1 J. de Finance, Au-delà de tout. Per un Dio senza antropomorfismi, a cura di A. Cavadi, Ila Palma, Palermo 1984, pagg. 87-94 allegato “L’analogia dell’essere”. E’ un saggio di teologia naturale (razionale, fondamentale), quella che invece di partire dalla Rivelazione coglie Dio attraverso il pensiero. Libro introvabile, ho fatto un giro su Google ma anche nei libri usati risulta esaurito.

 

Pubblicato in Filosofia di strada
Sabato, 16 Giugno 2018 13:53

Lo strano animale

Eccolo mortale legato a due metri di catena ma ivi e frattanto ecco che si autodetermina s'espande e spazia.

Da dove attingerà tanta potenza?

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Giovedì, 14 Giugno 2018 15:19

Colpo di scena

Le Chiese cristiane poggiano su una peculiare narrazione così riassumibile: la natura e gli uomini creati in principio da Dio permanevano, e in qualche modo continuavano a permanere anche nel cristianesimo, in una sorta d’insussistenza ontologica: «Io [Iddio] sono colui che è, e tu [creatura] sei colei che non è» (da santa Caterina da Siena). Il problema è che Dio era concepito, prima dell’avvento di Gesù Cristo, e in ragionevoli strascichi successivi ancora attuali, un Tutt’altro assolutamente trascendente la sua stessa creazione; entità incommensurabile, inesprimibile, inconcepibile, un Aldi là di tutto[1] assoluto.

Stando così le cose vediamo una terra abitata da creature, sì, reali nondimeno ontologicamente insussistenti e da un Dio creatore, sì, plausibile quanto albergante in così alti cieli, tanto altro e oltre, da risultare inconcepibile alle sue stesse creature, ma all’improvviso… Il colpo di scena: il sublime Tutt’altro si fa uomo. L’irrisolvibile è risolto e quell’universale limbo paralizzante di entità rarefatte, per illimitata piccolezza o per infinita grandezza, viene spazzato via per sempre grazie all’incarnazione di Dio in Gesù Cristo e alla Sua presenza sacramentale nella realtà umana della sua Chiesa nel mondo.

Colpo di scena forse grossolano, infantile e infantilizzante, rispetto a più dignitosi e realisti, quanto faticosi, percorsi di ricerca filosofica sulla problematica che Dio meriterebbe dalle sue creature, in ogni caso tanto caro a miliardi di cristiani. Come dargli torto? Tra tutte le storie che l’umanità ha mai concepito n’esiste qualcuna di più affascinante, semplificante e consolatoria?

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1 Formula patristica di stampo neoplatonico attribuita a Gregorio Nazianzeno.

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 13 Giugno 2018 10:41

L’arte dei luoghi

Se sbagli i calcoli del calcestruzzo il palazzo viene giù, ma se accetti il patto narrativo anche la costruzione più inverosimile sta su.

C’è una filosofia che prova a mettere un po’ di ordine topico tra i due regni, quella che permane in quello del calcestruzzo, quella che chiede di nascosto l’accettazione di un suo patto narrativo, quella che si barcamena tra i due luoghi e quella che tenta una sintesi. 

Pubblicato in Filosofia di strada

Al Festival nazionale della filosofia d’a-mare per non filosofi (di professione) svoltosi la scorsa settimana a Castellammare del Golfo, ho partecipato al dibattito pubblico fra i filosofi Alberto Giovanni Biuso e Orlando Franceschelli, tema : «La volontà di potenza in Nietzsche: cosa mi convince, cosa non mi convince».
Entrambi i relatori hanno motivato la grandezza di Nietzsche, filosofo della vita e della libertà metafisica nella dionisiaca interiorizzazione dell’universo, abbraccio che tutto benedice, dimensione altra che ci proietta oltre noi stessi liberandoci.
In alcuni passaggi nei quali Biuso ha citato Nietzsche l’effetto benedicente, per quanto e grazie a come proferito, è stato - almeno per il sottoscritto - avvertibile  fisicamente; una sorta di  perlocuzione[1], in altre citazioni irrompeva una finezza mozzafiato come quando Nietzsche dice tutta la storia dell’umanità, incipit, svolgimento, epilogo, nelle tre righe che seguono:

«In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c'era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della ”storia del mondo”: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire.»[2].

Ma veniamo ora alle differenti vedute dei relatori. Per Biuso il pensiero di Nietzsche, se visitato e affrontato nel modo giusto[3], merita onore e genera libertà, mentre Franceschelli ha esposto e motivato con pacata intransigenza radicali perplessità sul tema della Volontà di Potenza e sulla conseguente trasvalutazione di tutti i valori, riserve che provo a condensare mettendoci del mio[4]:

nell’esaltare e glorificare un (presunto) nucleo di Volontà-Potenza nella struttura ontologica della natura - ricordo che qui stiamo parlando di una natura sprovvista di Creatore, o di un Dio che fa tutt'uno con la natura[5] - risulta, sì, evidente che la natura sia mossa da energie e potenze dove la più forte e perfetta può sopraffare la più debole e malriuscita - osservo: sovente ma non sempre (vedi omeostasi, neuroni specchio, ecc.) -  ma che la natura sia intimamente costituita e vitalizzata da una qualche volontà (di chi mai?) appare una forzatura, una inoculazione operata da Nietzsche ma estranea alla natura; una facoltà squisitamente umana proiettata sulla natura.

Nella storia della Filosofia il concetto di volontà ha avuto numerose e differenti interpretazioni, talora la volontà è stata vista subordinata all’intelletto, talvolta invece vista superiore ad esso, in ogni caso per gli uomini di pensiero che ci hanno preceduto, come peraltro nel sentire comune, l’atto di volontà per costituirsi e attuarsi necessita di un soggetto pensante (uomo, Dio), o perlomeno senziente, e di un fine (piacere, scopo); un qualcuno che da qui (non necessariamente un punto-luogo fisico o temporale) intende, desidera, andare là, o che una cosa adesso così dopo (futuro) sia cosà, in tal senso una volontà assolutamente cieca è un ossimoro: se c'è volontà c'è imputabilità (libertà). Tutto questo fino a Schopenhauer che viceversa proclama, guardando a Oriente, una Volontà di vivere che non solo permea gli umani corpi nel loro innato e riscontrabile tendere al piacere e a perdurare, invece che al soffrire e perire. Il punto è che per Schopenhauer tale Volontà struttura, oltre ai nostri corpi, tutto l’esistente, inorganico incluso. Volontà, dunque, radice noumenica della realtà. Mai visto una pietra costituita non solo dalla energia che gli fa girare gli elettroni dentro, ma da pura Volontà? Lo sciamanesimo la vede da sempre e così numerosi filoni del pensiero orientale, dalle nostre parti solo qualcuno dopo Schopenhauer. Nella proclamazione della nicciana Volontà di potenza possiamo, quindi, scorgere una sorta di deificazione-antropomorfizzazione della natura enunciata da Schopenhauer. Agli antipodi di Nietzsche, Schopenhauer esorterà a scendere dal treno in corsa del nostro universo mentre Nietzsche a prenderne il timone, ma il territorio filosofico e narrativo dove ci muoviamo è il medesimo, o perlomeno contiguo.

Karl Löwith annota nella Volontà di Potenza di Nietzsche un atto reattivo, e proprio per questo specularmente intimo, al cristianesimo storico. Ricordo Cioran che consapevole di tale possibile specularità commentava il suo velenosissimo dire di Dio così: «Il sarcasmo con cui l’ho glorificato», edificio opposto ma costruito con mattoni di uguale sostanza. Per quanto ho compreso Löwith pur cogliendo il pensiero sorgivo, autorale, di Volontà-Potenza enunciato da Nietzsche, ne individua al contempo l’origine reattiva (anticristiana); concezione derivante da processi storici e sociali, nella fattispecie dalla morale cristiana espressa nella storia della Chiesa, specialmente protestante, nei confronti della quale Nietzsche si poneva-opponendosi nel suo tempo, insomma una costruzione con tratti parodici avente una precisa e individuabile genesi ontologico-sociale (Lukács, Preve), più stimolata da pastori moralisti che da un ancestrale Dioniso danzante. In effetti il concetto di Volontà non trova particolare rilievo nella grecità classica e diviene invece determinante nella Scolastica medievale.

Non so se, come ammonisce Franceschelli, coloro che oggi hanno potere sul mondo, o lo avranno in futuro, possano o potranno perpetrare violenze stimolati e giustificati da una interpretazione letterale della ottocentesca nicciana Volontà di Potenza, così da bastonare con soddisfazione cosmica il subalterno che gli capita a tiro. La conoscono tale Volontà-Potenza? E' la concezione di Nietzsche a traboccare di insidie oppure fanno tutto da soli perché il male è insito nell'uomo? La visitano? Per fiumi carsici può, o potrà, forse riapparire? Sanno chi ne è il padre? Nel frattempo teniamoci cara la sua benedizione.

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1 Per saperne di più un giro su Wikipedia: «Teoria degli atti linguistici».

2 Incipit «Su verità e menzogna in senso extramorale, in La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873», traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2006.

3 Tematica che Alberto G. Biuso ha sviluppato puntuale nel suo saggio «Nomadismo e benedizione. Ciò che bisogna sapere prima di leggere Nietzsche», Di Girolamo, 2006.

4 Problematica che Orlando Franceschelli ha affrontato esaurientemente nel suo ultimo saggio «In nome del bene e del male - Filosofia, laicità e ricerca di senso.», Donzelli Editore, 2018.

5 «E dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente.» (G. Bruno, Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni 1985).

Pubblicato in Filosofia di strada

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