Identikit-apologia del santo isterico (nota per educatori)
Non vuole essere curato, evita di curare, sa che è compito impossibile.
Non si conforma; non vuole essere formato e non vuole formare, se ne impipa di attestati e si sente offeso da titoli.
Quando fa sul serio lascia da parte l’erudizione: riesce a creare solo separandosi da qualsiasi sapere. Se per incidente incontra ambienti dove gli propongono ‘professionalità’, ‘specializzazioni’ e ‘corsi avanzati’ sente forte il rischio di esautorazione dal suo nucleo vitale-creativo e, un po’ isterico, si agita scomposto, poi fuggirà lontano.
Beato il maestro che non lo farà scappare.
Ho sposato. Ho detto.
Ieri ho sposato e nella celebrazione del matrimonio civile ho detto lo stralcio autobiografico che segue. Nel proferirlo in ambito istituzionale - e non teatrale come d’uso - ho fatto esperienza di tangibile laicità.
IO, IL NULLA, IDDIO: PARTITA A TRE
Ricordo bene. Quando buttato nel mondo, orfano ero sceso nella voragine, giù fino al lago di dolore per contemplare i relitti che galleggiavano nel silenzio. Nessun uomo. Nessun animale. Là, immobile, era il mio posto.
Solo un Dio poteva salvarmi e l’avevo chiamato. L’angoscia si era trasformata in stupore… Immobile prima. Immobile dopo. Di pietra prima di pietra dopo.
Nulla & Dio, cari figli gemelli, intrattenetevi ancora nella vostra partita, io non gioco più, ho un appuntamento: l’amico mi aspetta per mangiare un pezzo di pecora e cipolla selvatica davanti a un fuoco.
Lì, indifferente all’immenso non vacillo.
Lì, mi piace sentire la pioggia che cade per dissetare le bestie dei campi e gli asini selvatici.
Lì, con occhi di carne vedo gli uccelli del cielo e per terra erbe rare e la vite che trasformo in vino per allietarmi il cuore.
Lì, sui cipressi la cicogna ha la sua casa; le alte montagne per le capre selvatiche, le rocce rifugio dei rapaci, mentre la luna segna il tempo e il sole sa l'ora del tramonto.
Lì, la notte latrano le bestie nella foresta, ruggiscono i leoni in cerca di preda e quando sorge il sole si ritirano nelle loro tane.
Lì, il mare spazioso e vasto e rettili e pesci senza numero, animali piccoli e grandi.
Lì, Uomo, esco per il mio lavoro. Per la piacevole fatica di rinnovare la terra tocco il mondo per darlo in eredità.
Il puntino
L'universo non informa chicchessia di essere immenso e neppure di contenere al suo interno infinitesimali particelle, sono - proprio e solo - io che mi invento di essere un puntino.
Il mio gatto, scevro dall’inutile ideazione, non si preoccupa. Nell’osservarlo con attenzione sembra sapere che tutto esiste grazie a lui.
Selvaggio ma non incolto (bis)
Nel precedente post «Selvaggio ma non incolto» consideravo che senza iniziativa di umano pensiero i giardini, e non solo, non sempre migliorano per processo spontaneo, ma possono degradare all’apatico e anche al brutto. Massimo Angelini, a commento, invitava all’onorare il «misterioso e delicatissimo equilibrio che mette d'accordo il lasciare fare e il fare cultura senza scivolare nell'artificio, in vezzi autistici o nella sciatteria dell'abbandono. Così per il giardino, e così per i figli, i libri, il culto.»
Seguono tre immagini di esempi ambientali, agilmente espandibili a tutto il resto:
Artefatto sciatto.
Annoto che hanno “lavorato” per realizzarlo. Sovente è meglio l’incolta natura, anche se talvolta apatica, all’iniziativa di certi umani pensieri.
Artefatto vezzoso autistico.
Caso opposto: invece di abbandonare i pneumatici li hanno riciclati. Evidentemente meglio questo artefatto implementato da “bravi ragazzi” rispetto alla sciagurata sciattura della prima immagine, eppure qualcosa non torna: questa “bellezza” prefabbricata appare dozzinale e, a ben vedere, anche un po’ violenta: l’eccesso di sistematizzazione esige conformazione.
Artefatto equilibrato.
Questo giardino all’inglese non sarà espressione realizzata del «misterioso e delicatissimo equilibrio» dell’accordo cultura/natura, però è qualcosa che gli assomiglia.
Metarfosi di Ovidio & Upaniṣad
Musica e letteratura in un riadattamento delle Metarfosi di Ovidio che si fondono alle Upaniṣad per creare una trama costantemente assorbita nella musica del pianoforte.
Govinda Gari e Amos Vergani celebreranno questo singolare connubio, tra composizione musicale istantanea e letteratura antica.
Il tema principale è la nascita del mondo che si configura come un eterno divenire, la lotta degli elementi e delle passioni si svolge dietro uno sfondo che trasmette la consapevolezza millenaria dei Veda.
Pianoforte: Govinda Gari
Voce narrante: Amos Vergani
21 luglio ore 21, Ashram di Babaji a Cisternino
Protagonista assoluto
Pur piacendomi la compagnia presupponevo che, almeno in un caso, sarebbe meglio la solitudine per, come un gatto, morire solo invece che “accompagnato”. A maggior ragione se i presenti avranno concetti di "buona" o di "bella" morte differenti dai miei.
Dopo aver letto la “soggettiva” di trapasso di Lev Tolstoj ne «La morte di Ivan Il'ič» considero, invece, che il “pubblico” - presente o assente, di una particolare tipologia o di un’altra opposta - sarà comunque irrilevante e farò, One man show, in ogni caso bene:
«E all'improvviso ciò che lo tormentava e che non tornava, – tutto all'improvviso cominciò a tornare, da un lato, da due, da dieci, da tutti i lati. Ho pietà di loro, bisogna non farli soffrire. Liberarli e liberare me stesso da queste sofferenze. «Come torna bene e come è facile, – pensò. – E il male? – si chiese. – Dov'è andato? Ebbene, dove sei, male?».
Stette attento.
«Sì, eccolo. E con questo? Dolga pure».
«E la morte? Dov'è?».
Cercò la sua solita paura della morte e non la trovò. Dov'è? Ma che morte? Non c'era più paura perché non c'era più morte.
Invece della morte, la luce.
– Dunque è così! – disse d'un tratto ad alta voce. – Che gioia!
Tutto questo non fu che un attimo per lui, ma il senso di quell'attimo ormai non poteva più mutare. Per i presenti la sua agonia durò ancora due ore. Qualcosa gorgogliava nel suo petto; il suo corpo macerato si scuoteva. Poi il gorgòglio e il rantolo si fecero sempre più rari.
– È finito! – disse qualcuno.
Egli udì questa parola e se la ripeté nell'anima. «Finita la morte, – si disse. – Non c'è più, la morte».
Trasse il fiato, si fermò a mezzo, s'irrigidì e morì.»
La fine del mondo
Nel leggere di disastri incombenti nei social network, o nell’ascoltare chi non parla d’altro, annoto nella fantasy un fondo di realtà e verità.
La catastrofe imminente c’è per davvero ma non riguarda il mondo, incombe invece tangibile nella condizione personale del catastrofista che nell’universalizzarla la allontana da sé così da anestetizzarla un po’.
Ortoressia: Pulito vs. Sporco
Per vent’anni ero stato, senza sforzo, vegetariano: accerchiato da chi non mangiava carne mi ero spontaneamente conformato. Oggi, avendo come prossimi onnivori mi sono adeguato ritrovandomi ex vegetariano, tuttavia, ogni volta che mangio carne, se penso a quello che sto facendo, trovo più motivazioni al non mangiarla che al mangiarla. Non mi preoccupo e cercando di non eccedere la mangio accettando le mie contraddizioni.
Di vegetariani ce ne sono di varie tipologie, dai moderati agli integralisti anche estremi: il fanatismo di quelli che equivocano il bene e il male universali con quello che intromettono nel loro stomaco, con il ‘pulito’ e lo ‘sporco’ del loro ombelico, può raggiungere livelli esasperati. Comprensibile: qualcuno annotava che «chi riempie le sue giornate mangiando tofu e biscotti a base di quinoa si può sentire altrettanto savio di chi ha dedicato tutta la vita ad aiutare i senzatetto».
Per ragioni di lavoro incontro spesso vegani, ce ne sono di equilibrati e tolleranti ma anche di ossessi. Ricordo una giovane donna schifata nel vedere una mezza dozzina di uova nel mio frigorifero, l’aveva chiuso e si era allontanata per spiegarmi che bastava la presenza in casa per essere contaminati. Rammento la descrizione dettagliata: “uovo di gallina” uguale a “feto putrefatto”.
Non è l’unica, numerosi i tarantolati dalla sacra purificazione che si otterrebbe mangiando esclusivamente vegetali omettendo, preferibilmente, anche i derivati animali; ancor meglio - a loro dire - se si ingurgita unicamente frutta e verdura evitando solanacee e legumi; ancor meglio il perfetto fruttariano; ancor meglio se il frugivoro si nutre solo a mele; ancor meglio se si limita a una sola mela al giorno e nient'altro; ancor meglio se non recide il pomo dall’albero ma lo raccoglie da terra a seguito di caduta spontanea (questo si è pacifismo); ancor meglio il digiuno assoluto; ancor meglio se a oltranza; ancor meglio se digiuno “secco” affinché il corpo, divenuto per tanta purificazione angelico, non sia contaminato da velenosa acqua mondana.
Mi avevano riferito di due giovani romagnoli che aveva raggiunto tale perfezione dopo un pellegrinaggio in India. I sadhu nostrani si erano insediati in un eremo nei pressi di San Leo e dall’alto della loro purezza accoglievano i loro devoti con il benvenuto: «Ne avete da fare di strada umanoidi che ancora mangiate e cagate!» Per essere precisi lo dicevano in romagnolo: «Brutt imanoid chi mansgeeit e cagheeit!». Erano diventati vegetariani partendo da una filosofia animalista “antispecista”, per poi ritrovarsi razzisti con la propria specie.
Lumen Fidei
Ognuno ha i suoi gusti e l’uscire da un bazar per entrare in un tempio è una costante piacevole nei miei ricordi di viaggio. Oggi la gradevole esperienza mi si è rinnovata, da internauta, nel chiudere il blog di Grillo per aprire il sito del Vaticano dove, in un paio d’ore, si può leggere la Lettera Enciclica Lumen Fidei. L’impaginazione è tanto sobria e elegante che quasi ti viene piacere se il Vaticano, quanto risparmia dall’ IMU, poi lo utilizza per implementare un sito così ineccepibile.
Nel leggere la perplessità ha, via, via, sostituito il piacere per la prevedibile tesi di un Magistero ecclesiale posto come unico garante di luce e verità per il mondo intero.
Il documento appare discontinuo, sincopato, a tratti confuso: una interessante esposizione dialettica sulla verità, dove il credere non si oppone al cercare, come storicamente testimoniato dalla sinergia della Scrittura e dei Padri della Chiesa con la cultura ellenistica, conclude affermando il primato della Chiesa cattolica accusando, implicitamente, tutto il resto di idolatria: «Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze […] Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani. L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto.»
Insieme all’apertura ai liberi cercatori di verità «poiché la fede si configura come via, essa riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare» e stima per ogni uomo che « cerca di riconoscere i segni di Dio nelle esperienze quotidiane della sua vita, nel ciclo delle stagioni, nella fecondità della terra e in tutto il movimento del cosmo», l’Enciclica ripropone al libero cercatore- nel contempo e con meno stima - «il dono della successione apostolica. Per suo tramite, risulta garantita la continuità della memoria della Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge. La garanzia della connessione con l’origine è data dunque da persone vive, e ciò corrisponde alla fede viva che la Chiesa trasmette. Essa poggia sulla fedeltà dei testimoni che sono stati scelti dal Signore per tale compito. Per questo il Magistero parla sempre in obbedienza alla Parola originaria su cui si basa la fede ed è affidabile perché si affida alla Parola che ascolta, custodisce ed espone.»
Perché «la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall’infanzia: i bambini imparano a fidarsi dell’amore dei loro genitori.»
La proposta è chiara: affidamento all’amore dei grandi. Si chiama infantilizzazione, di solito fa più male che bene.
Nelle 82 pagine della Lettera Enciclica il lemma fede compare 399 volte, amore 129, luce 123, verità 72.
Tutti i lemmi sono contestualizzati, analizzati, messi a fuoco e interpretati. Solo “amore” irrompe dogmatico. Anche questa è infantilizzazione e a me non piace.
Disumano
Articolo importante quello sulla critica del pensiero di Platone titolato «Ogni idea assoluta è assolutamente falsa» pubblicato nel sito Homolaicus. L’articolo commenta - enucleandone assurdità e annotandone insidie – il seguente stralcio del manuale di filosofia “Il nuovo pensiero plurale” di E. Ruffaldi, P. Carelli, U. Nicola (ed. Loescher, Torino 2012):
«Socrate aveva cercato di superare il relativismo sofistico giungendo alla "definizione universale" mediante la ragione. Ciò che possiamo dimostrare razionalmente, mediante argomentazioni condivise, deve essere valido per tutti. Si tratta, però, di un fondamento fragile, perché fa comunque riferimento all'uomo, che potrebbe sbagliarsi nei suoi ragionamenti o comunque potrebbe considerare validi argomenti che non sono tali per tutti ma soltanto all'interno di una determinata comunità. Perché i valori siano davvero universali, devono esistere indipendentemente dagli uomini, in modo cioè oggettivo. Identificare i valori con le idee, considerandoli quindi come esistenti di per sé, indipendentemente dagli uomini, sembra conferire loro un fondamento veramente universale, perché non dipendono più in nessun modo dal soggetto conoscente.»
Per Platone, dunque, ogni valore giudicato parziale e potenzialmente fazioso se frutto di pensiero del soggetto, invece universale e oggettivo quando alberga per forza propria lassù, avulso dal soggetto conoscente.
Integrerei, le puntuali e condivisibili critiche dell’articolo di Homolaicus, invitando gli autori del manuale filosofico a uso didattico a evitare l’implicito beneplacito e l'esasperazione di tale concezione platonica integrando, perlomeno, con un avviso di pericolo:
«ATTENZIONE LETTORE! l’applicazione esasperata e acritica di tale concezione platonica ha storicamente concepito e implementato - diretta, precisa, sistematica - Auschwitz.»