Ho visto, e invito alla visione, del video relativo al confronto fra Roberto Mancini e Duccio Demetrio: «il divino è nelle cose finite: senza limite è la terra? Per spiare oltre i nostri confini» - Filofest 2013, incorporato alla fine del post.
Ho apprezzato di Demetrio l’accenno a tematiche cristiane già anticipate dalla filosofia greca, mi ha lasciato invece perplesso - forse a causa di una certa gravità espositiva - il suo invito a contattare e abbracciare la naturale terra, proposta un po’ asfittica e precettistica.
Mi è sembrato invece che Mancini - nonostante a tratti si rivolgesse alla platea come a un gruppo di boy scout – grazie al suo approccio personal-esistenziale abbia espresso nel metodo una posizione dinamica, aperta e proficua e nel merito più convincente nel sollecitare e invitare all’ “Altro”. Pur diffidando della parola amore, detta forse con troppa disinvoltura da Mancini, ho percepito convincente la sua proposta di partnership.
L’uomo che ricapitola la sua esistenza raccogliendo legni levigati a capocchia dall’apatico Tevere - del quale Demetrio ha letto uno stralcio autobiografico – tutto sommato appare isolato e desolato, incapace di fruttificare perché solo. Archetipo drammatico e potente dal quale intendo emanciparmi.
Ignoro se, e quanto, l’ “Altro” esposto da Mancini mi preceda, mi basta e avanza che accada con i miei simili. Se essere credenti, anche cattolici, è condividere quanto ha detto Mancini, lo sono anch’io, ma nella seguente forma: “diversamente miscredente” (l’eventuale contiguità con l’handicap non mi offende).