Metafisica della Olivetti Lettera 35
L’Olivetti Lettera 35 anni Settanta piazzata sul banco delle tisane estemporanee, quelle che l’erborista prepara su specifica richiesta del cliente: fa prima a stampare l’etichetta della miscela di erbe con l’Olivetti che col Mac.
Il figlio adolescente di un cliente osserva lo strumento all’opera e chiede di provarlo.
«Prego ragazzo!»
Tac, tic, tac. Breve pausa e chiede: «Come si fa a cancellare?»
L’erborista comunica che nel congegno non c’è possibilità di cancellazione intesa come sparizione, si può solo coprire col bianchetto e toppe similari.
Consegna la tisana e gli viene in mente il sacramento della Penitenza che invece farebbe sparire i peccati. Roba moderna mica cinematica i sacramenti della Chiesa cattolica… Davvero all’avanguardia. Anche il serial killer ritorna immacolato grazie a Ministri di Dio che vanno nel passato e gli cancellano gli omicidi.
Cancellare vuol dire che i sacerdoti entrano, grazie alla potenza del sacramento, in un segmento passato di tempo e lì estraggono chirurgicamente le brutte cose che ci sono successe dentro e le fanno sparire, così il fatto non è mai accaduto. A prova di RIS non lasciano traccia alcuna e dell’operazione e della colpa svanita, manco remota e occulta come fanno i Mac. Metafisica dell’Olivetti Lettera 35 e anche di Mac e PC.
Poi smette di fare lo spiritoso quel «Come si fa a cancellare?» stimola la ricerca, apre scenari importanti di lavoro.
Bodybuilding
Sovente fisiopatologici sono i rigonfiamenti del corpo, mica tanto sani neppure quelli di pensiero.
Agevole la diagnosi: ostentano muscoli ipertrofici gonfi di teorie bislacche.
Legalità
Dal Nordafrica all’ingresso del supermercato pugliese, 50 centesimi e Albelhak ti mette la spesa nell’auto, ma oggi non avevo spicciolame e l’ha riposta a gratis. Vorrei offrirgli 30 euro per darmi una mano a tinteggiare l’ingresso del mio negozio, faccenda di mezza giornata.
Dunque… Prima di chiedergli se è disponibile vediamo di fare le cose per bene: «Bisogna imparare il gusto della legalità» diceva Francesco Saverio Borrelli… Ecco la normativa… Primo passo spedire a Albelhak una Raccomandata A.R.:
«Oggetto: Art. 7 comma 1 lettera a del D. Lgs. n. 626/94.
In ottemperanza a quanto in oggetto, Vi chiediamo una dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante nella quale si confermi:
1) di essere in possesso di tutti i requisiti tecnico-professionali e organizzativi per la perfetta esecuzione del lavoro, anche ai fini della sicurezza;
2) l'elenco del personale che prende parte ai lavori;
3) l'elenco dei mezzi, delle attrezzature impiegate;
4) che il personale impiegato è regolarmente iscritto a libro matricola e assicurato (INPS/INAIL);
5) che i mezzi e le attrezzature impiegate sono regolarmente coperte da assicurazione contro terzi e che rispondono ai requisiti di sicurezza previsti dalle normative vigenti.
6) il nominativo del Vs. responsabile di servizio di prevenzione e protezione.
Vi ricordiamo inoltre che gli ordini divengono per noi esecutivi solo al ricevimento delle dichiarazioni richieste.»
Forse c’è più gusto nel regalargli 50 centesimi e imbiancare da solo.
correlazioni
Le teorie della fisica moderna affermano che l'Universo fisico non esiste in forma deterministica, ma come assortimento di potenziali e probabilità.
Non ho competenze riguardo all’Universo ma vedo, in parte, tale teoria pertinente all’uomo: eterogenei potenziali di soggetti che, via, via, fluttuano interagendo all'accadere di inedite circostanze.
Il potenziale del soggetto è correlato alla sua storia personale, un variabile mix di talenti ereditati e incontrati in differente misura, talvolta capitalizzati, talvolta sperperati, da qui la soggettiva umana abilità nell’affrontare le probabilità che accadono: c’è chi, a parità di potenziale e probabilità, produce energia con trasformazioni proficue e chi sprofonda in buchi neri.
Strana faccenda questa libertà che non è funzionamento.
Pensierini
Anni ’60, la maestra faceva scrivere agli scolari “ i pensierini” e i nomi diventavano frasi.
Faceva bene la maestra: pensierini e pensieri esistono e sussistono perché si pensa sempre qualcosa.
“Il Pensiero” senza oggetto pensato è invece entità strana, nebulosa: appare nella interazione e scompare senza, proprio come - Teoria del tutto - l’evidenza sperimentale della fisica teorica dice dello spazio e anche del tempo. Fluttuare di campi interconnessi che appaiono e scompaiono.
Smisurate misure
C’è chi afferma l’illimitato smisurato Eterno Infinito e chi si oppone proclamando il circoscritto a tal punto da interpretare cosmo e uomo funzionamenti misurabili al pari della termodinamica.
Diffido dell’illimitato ma cerco una terza via perché mica mi convince definire una persona guasta quando ammalata e rotta quando morta.
L’attimo opportuno
C’è un modo graduale per capire, sciogliere nodi, spiegare, conquistare l’inedito e ottenere soddisfazione.
C’è anche un modo istantaneo: occorre pensiero attento e un accidente di quelli giusti.
Siccome l’accidente stimolante arriva a capocchia e la fortuita combinazione pensiero/accidente dura un istante è necessario vigile tempismo. Non è finita perché l'intuizione ottenuta si scioglie rapida come neve al sole. Matita e taccuino aiutano a non perderla.
Genere Homo, specie sapiens
La fraternità se universale non espelle i propri simili quando assassini, ma indagando la potenzialità criminale della specie scorge l'intima prossimità di ciascuno con loro.
Epistematico
I filosofi chiamano epistematico l’emanciparsi dal paciugo di “tutte le cose” per dire puntuali e l’uomo normale onora l’episteme affermando: «Di che cosa stiamo parlando?» ma è forse il poeta quello che ha compreso tale metodo meglio di tutti.
Che strano dovrebbe essere mera faccenda di scienziati.
Naturalismo, il dialogo-ricerca continua
Dal blog di Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
Il dialogo con Orlando Franceschelli continua...
L’universo ha un creatore provvidente o è una fucina autogena di vita ? E – di conseguenza – l’essere umano è il punto di arrivo di un progetto intelligente o piuttosto uno degli innumerevoli prodotti casualmente emersi a un certo punto dell’evoluzione? E – infine - la morte per il soggetto individuale costituisce un passaggio verso la vita piena o, al contrario, la dissoluzione senza ritorno? Orlando Franceschelli, filosofo romano già noto per i suoi testi dedicati a Karl Loewith e a Charles Darwin, nella sua ultima opera (Elogio della felicità possibile. Il principio natura e la saggezza della filosofia, Donzelli, Roma 2014) espone, in forma quasi sistematica, le proprie risposte a tali ineludibili questioni.
L’opzione metodologica è il “criterio epistemologico della plausibilità”(p. 4): una teoria filosofica può “legittimamente pretendere” di essere riconosciuta come plausibile se “soddisfa il duplice requisito della compatibilità con la scienza e della validità argomentativa” (p. 14). Tale prospettiva “sollecita non solo a praticare scrupolosamente il principio di carità interpretativo”, ma anche “la disponibilità a rivedere le proprie tesi” (ivi).
Tra le teorie filosofiche che rispettano il criterio della plausibilità l’autore rivendica un posto per il “naturalismo (e ateismo) metodologico” (p. 18): spiegare gli eventi naturali iuxta propria principia, senza far ricorso a “entità e fattori soprannaturali” (pp. 20 – 21). Seguendo questa direttiva metodologica si arriva ad una visione del cosmo caratterizzato da “autarchia ontologica, contingenza evolutiva e sovrumanità della realtà fisica” (p. 22). Coerente con questa cosmologia risulta l’antropologia: l’uomo non più capax Dei bensì capax naturae (cfr. pp. 27 – 31). “L’antropologia dell’ecoappartenenza” implica, tra altre caratteristiche, “la consapevolezza che l’uomo e la sua storia non costituiscono il fine dell’esistenza e dei processi evolutivi della natura, il cui accadimento si protrarrà – con le stesse sterminate vicissitudini temporali di quando ancora non c’eravamo – anche dopo che noi non ci saremo più. Con ogni probabilità neppure come specie e certamente come individui destinati a morire” (pp. 71 – 72).
Una concezione del cosmo e dell’uomo di tal genere esclude qualsiasi ipotesi di felicità? Franceschelli lo nega con fermezza e, a riprova, delinea una vera e propria “etica dell’ecoappartenenza” (p. 73) incentrata sull’impegno a “ricercare, definire e vivere una felicità che effettivamente sappia alimentarsi, per quanto ci è possibile, di piacere, saggezza e virtù. E perciò sappia essere anche concretamente solidale” (p. 139). Un impegno che si lascia riassumere nella Regola Aurea che l’autore propone di riformulare così: “fai per la fioritura della felicità degli altri tutto ciò che ritieni possibile e vorresti fosse fatto per la fioritura della tua felicità” (p. 154). Nonché di estendere “i diritti al benessere e alla felicità anche agli altri animali non umani ma senzienti, in sintonia con prospettive morali non più antropocentriche e speciste ma sensiocentriche” (ivi).
La “saggezza della felicità possibile e solidale” non esclude “la conspevolezza e la memoria della sofferenza o memoria passionis, per dirlo con questa pregnante nozione usata dai teologi quando opportunamente invitano a far rientrare anche <<l’autorità dei sofferenti>> tra le voci dell’odierno pluralismo. Si tratta appunto non di una contrapposizione ma di un legame, nel senso che continuare ad aspirare alla felicità anche quando si prova sofferenza e ad essere consapevoli e memori di ogni sofferenza anche mentre si è felici, consente di vivere tutta la propria felicità in un modo ancora più sereno, gradevole e autentico” (p. 156).
***
Come tutti i libri meditati a lungo, e altrettanto a lungo sperimentati esistenzialmente, questo di Orlando Franceschelli suscita miriadi di riflessioni e di domande.
La prima non può non riguardare l’impianto epistemologico: se una teoria (nel nostro caso il naturalismo) risulta “plausibile”, significa che si affianca ad altre possibili teorie altrettanto plausibili o che le esclude? Nel testo mi pare di cogliere in proposito una certa oscillazione: talora sembrerebbe che l’autore chieda “soltanto” diritto di cittadinanza alla propria prospettiva al pari del creazionismo monoteistico, talaltra che neghi tale par condicio al creazionismo monoteistico. Forse l’apparente contraddizione si scioglie ammettendo che, in linea di principio, ci potrebbero essere per l’autore anche altre teorie plausibili sul mondo e sull’uomo; ma che in linea di fatto il creazionismo monoteistico non rientri fra queste altre possibili teorie plausibili.
Questa ipotesi interpretativa suggerisce ai pensatori creazionisti una seria revisione della propria proposta teoretica. Questi ultimi, infatti, tendono quasi sempre a suffragare la propria tesi della dipendenza ontologica, radicale costante, del mondo da Dio sulla base della Bibbia (tradotta, magari, in linguaggio tecnicamente filosofico). Ma è un procedimento due volte fragile. Prima di tutto perché, in sede esegetica, si è appurato che la Bibbia non propone una creatio ex nihilo bensì una sorta di plasmazione della materia caotica originaria con cui Dio stesso per così dire si affatica. Secondariamente perché, ammesso e non concesso che la Bibbia professasse la creatio ex nihilo, una professione di fede non possiede nessuna plausibilità (nel doppio senso illustrato da Franceschelli: compatibilità con le acquisizioni scientifiche e rigore logico-argomentativo). Conclusione sul tema: il monoteismo creazionistico non va presentato come un dato di fede, ma come una delle teorie filosofiche elaborate nell’alveo della tradizione cristiana (indubbiamente suggestionata da intuizioni poetiche contenute nei Testi canonici), la cui attendibilità è affidata esclusivamente alla sua “plausibilità”. Al punto che si potrebbe essere cristiani (o ebrei o musulmani) pur non condividendo il monoteismo creazionistico e si potrebbe condividere il monoteismo creazionistico senza essere cristiani (o ebrei o musulmani). Chiarisco questo aspetto metodologico non per risolvere la questione che pone Franceschelli (la natura o è autarchica ontologicamente o non è natura: la nozione di “natura creata” è una contradictio in adiectis), ma per indicare il piano corretto (a mio avviso) su cui discuterla.
Se sul piano teoretico Franceschelli non appare per nulla morbido con i credenti cristiani, molto più conciliante si mostra sul piano etico. Egli infatti dedica un intero paragrafo (pp. 48 – 53) a una sorta di alleanza pratica con i discepoli del vangelo (che, per via dell’equivoco appena segnalato e di cui il pensiero cristiano è il primo responsabile, Franceschelli identifica tout court con i sostenitori del “teorema-creazione”): “Provare a dirsi il meglio tra simili del samaritano: per una laica e solidale civiltà del dialogo” (p. 48). Da una parte, dunque, l’autore sollecita i “naturalisti” come lui “a un compito propositivo che per essere realmente assolto ha bisogno non tanto di militanza anti-teista, ma del conforto di evidenze empiriche, di argomenti validi, di condotte pratiche che sobriamente comunichino la plausibilità e la saggezza del naturalismo anche a chi naturalista non è”; dall’altra, poi, chiede ai credenti “un analogo atteggiamento di costruttiva laicità che l’odierno pluralismo richiede anche a ogni testimonianza di fede realmente adulta, ossia impegnata anch’essa a ceracre ragioni plausibili al proprio credere” (p. 50).
A margine di questa proposta di alleanza sinergica mi limito a due sole osservazioni. Franceschelli avrebbe potuto essere sia più esigente che più riconoscente con gli interlocutori cristiani. Più esigente su un tallone d’Achille dell’etica cristiana: l’insensibilità verso gli altri viventi (dal momento che l’antropocentrismo biblico coniugato con l’umanesimo greco ha finito col privilegiare “le capacità razionali e discorsive” dimenticando “quelle di provare dolore e piacere, innegabilmente possedute anche dagli animali non umani ma appunto senzienti” (p. 154). Più riconoscente riguardo alla testimonianza storica del mondo cristiano sul versante della solidarietà sociale. Infatti, a mio avviso, se è vero che - sulla carta – naturalisti e credenti nel vangelo concordano “nell’ammonimento della Regola Aurea a fare agli altri ciò che si vorrebbe fosse fatto a noi stessi” (p. 49), in concreto la saggezza naturale induce i filosofi a porre dei limiti abbastanza netti alla propria autodonazione oblativa. Non perché non vogliono fare agli altri ciò che vorrebbe fosse fatto a loro; solo che non si aspettano che qualcuno - dopo averli filantropicamente sostenuti in varie necessità – sia perfino disposto a dare la vita per loro. Tra i tanti che hanno notato questo surplus motivazionale dei credenti sugli altri un intellettuale, come Paolo Flores D’Arcais, che non eccede in indulgenza con le chiese cristiane: “praticare la solidarietà effettiva e il primato del tu implica un dovere di sacrificarsi (perché l’eguale dignità non resti retorica) che riesce in genere solo se si ha fede in un Altro (inteso proprio come Dio padre). […]. La pietra d’inciampo per l’ateo è l’incapacità della carità” (P. Flores D’Arcais, Dio esiste?, “Micromega”, 2/2000, p. 40).
Articolo pubblicato su sul sito www.tuttavia.it di giovedì 12 giugno 2014.
Queste pagine sono particolarmente dedicate ai partecipanti alla Festa della filosofia d'a-Mare che si è svolta a Favignana dal 2 al 4 maggio 2014.
Sulla medesima tematica vedi: «Elogio della felicità possibile»