Ogni cosa si designa col suo nome, ma ogni lingua è completa a modo suo.
In qualsiasi glossario sanscrito il termine “Coscienza” è riportato, come minimo, in una ventina di modi differenti. Nei dizionari inglese-sanscrito nel tradurre “consciousnes” troveremo un centinaio di nomi diversi, tutti altamente specifici. Nell’apprenderli il pregiudizio che li interpretava difficili, superflui, obsoleti o rari, diventa apprezzamento per l’esauriente puntualità espressa.
Nelle moderne lingue europee, invece, disponiamo sempre e solo del lemma “Coscienza” che vira confusamente a seconda dell’ambito. C’è quella morale del Grillo Parlante di Pinocchio, quella neurologica, psicologica, psichiatrica e filosofica intesa talvolta come interiorità. Medesimo termine con qualche differente interpretazione e l’equivoco in agguato. Anche aggiungendo la “coscienza di classe” le opzioni permangono davvero misere rispetto al sanscrito.
Questo un po’ sleale comparare le correnti lingue nostrane - invece del latino e del greco antico - al sanscrito, attenua ma non assolve l’ingrata smemoratezza per l’ancestrale madre protoindoeuropea. Per perdere per strada così tanti pezzi probabilmente li si è valutati inutili. Peccato.