La realtà non è come ci appare
«No, non mi piacciono i libri che si leggono come si legge un giornale: un libro deve sconvolgere tutto, rimettere tutto in discussione.» (Emil Cioran, intervista di Fernando Savater).
Così è il saggio di Carlo Rovelli «La realtà non è come ci appare» dove ripercorre, da scienziato e da filosofo, la storia della visione fisica del mondo, dagli atomisti della Grecia antica alla relatività generale, dalla meccanica quantistica alle recenti teorie della gravità quantistica.
Alcuni passaggi spiazzano a tal punto la comune percezione della realtà che si avverte la necessità di riandare alla quarta di copertina per sincerarsi che l’Autore non sia un folle della New Age, ma «creatore di una delle principali linee di ricerca in gravità quantistica, […] tra i fisici teorici più attenti alle implicazioni filosofiche dell’indagine scientifica. Membro dell’Istituto universitario di Francia e dell’Accademia internazionale di filosofia delle scienze, dirige il gruppo di ricerca in gravità quantistica dell’Università di Aix-Marsiglia.»
Nella prima parte del libro è ricapitolata la storia della fisica teorica, dagli atomi alla relatività. Le formule matematiche irrompono sovversive e coinvolgenti, tutto sommato - appreso il vocabolario - tali formule sono frasi letterarie, finanche poetiche.
La seconda parte dell’opera espone la teoria dei quanti, ma quanti e dintorni - nonostante l’impegno dell’Autore nel divulgarli in semplicità - permangono ostici alla comprensione, ma basta e avanza capire la prima parte del saggio per avvertire sensi e buon senso contorcersi per resistere a teorie che sentenziano il modo sbagliato che abbiamo di percepire la realtà. Siccome le teorie, seppur provvisorie, sono verificate e confermate inevitabile il sentirsi destabilizzati: non risulta spontaneo accettare la scomparsa dello spazio e del tempo, come comunemente intesi, per realizzare che sono meri assunti, arbitri condivisi.
La realtà è strana, fluttua come un mollusco proprio come le menti dei grandi fisici che l’hanno saputa spiegare, sovente giovani e anticonvenzionali, capaci di straniamento, di iniziativa, di coraggio, talvolta un po’ folli ma mai santoni che sparano deliri. Enunciano “frasi” belle in divenire, congrue, verificabili e proprio in questo ordine risultano sconvolgenti.
Un metodo da espandere a tutto il vivere quello della fisica teorica, dove i protagonisti più valorosi sono anche i più insicuri. Pensiero capace nell’osservazione precisa a aperture inaspettate della realtà: tempo inesistente se non come assunto, molluschi di tempospazio che si incurvano, strutture granulari schiumose capaci di creare, elettroni che fuggono alla vista dell’osservatore possono entrare con profitto nel vivere quotidiano: affermano che le Teorie dell’Essere fisso e infinito sono narrazioni bislacche perché la realtà è l’esserci e l’esserci accade nell’interazione circoscritta, ma il punto cruciale del saggio è un altro: la storia scientifica della visione fisica dell’universo rendiconta che la realtà prende consapevolezza di sé stessa in un punto preciso: l’uomo. All’Autore sembra sfuggirgli, eppure lo dimostra in tutte le 242 pagine.
La realtà non è come ci appare.
La struttura elementare delle cose.
Carlo Rovelli. Cortina.
Disamina
Pianto la vite americana nel silenzio ma il cane del vicino alza la testa e latra, manco il tempo di realizzare e un Eurofighter 2000 passa a perpendicolo radente e velocissimo, attaccate alle ali un paio di missili aria-aria.
Sparisce all’istante dietro al vecchio ulivo, poi il boato.
Ma è più sano Homo sapiens o i canidi?
L’esagitata passività
L’ultimo anello della catena è lì al ristorante a ingurgitare con gli occhi fissi nell’iPhone.
Brutta condizione quella di Utente & Consumatore finale.
Teatranti
Trattoria, nell'angolo a sinistra una tavolata di 13 elementi emana immotivata superiorità.
Il più anziano è anche il più grosso, sul cranio una papalina di lana nera stile San Vincenzo de Paoli[1]. Una ragazza con scolpita nella faccia la maschera di Pulcinella, un’altra con pantaloni di tre taglie in più.
Com’è facile riconoscere le compagnie teatrali: più tentano di emanciparsi dai canoni ordinari del vestire e dell’esserci e più ostentano una divisa che li inchioda al ruolo.
1
L’Agnello
E il carboidrato si e la proteina no, la proteina si il carboidrato no, e mangia così e mangia cosà. Sull’alimentazione si sente tutto e il contrario di tutto, conosco una anziana signora convinta che lo zucchero bianco faccia più male dell’eroina. Altri bandiscono il glutine anche se lo tollerano, altri mangiano solo quello sotto forma di seitan anche se un po’ intolleranti. Imperversano imitazioni della carne a base di derivati dalla soia per vegetariani nostalgici della bistecca, una sorta di surrogato, di feticismo alimentare, dove la carne è sostituita da una sua evocazione perversa. Qualcuno passa l’esistenza a leggere le etichette degli alimenti, militari in missione speciale capaci di scorgere immondi veleni ovunque.
Ricordo che circondato da vegetariani lo ero diventato anch’io. Venti anni di moderata militanza. Come non diventarlo, mica sono tolleranti i vegetariani coi carnivori. Mica dicono:
«Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!» (Matteo 15, 10-11).
Siccome ho temperamento conciliante, in seguito, frequentando onnivori mi sono conformato ai loro gusti. A differenza dei vegetariani gli onnivori si occupano di quello che mangiano loro senza preoccuparsi di quello che mangiano gli altri. Da quelle parti avrei anche potuto rimanere vegetariano, però mi sarei complicata l’esistenza: non è facile quando i commensali cucinano carne evitarla.
Quando mi nutro in solitudine scelgo alimenti che mi piacciono e rapidi da cucinare, a eccezione del cavallo talvolta mangio carne. Chissà perché mi sono dato il precetto di evitare carne di animali che non sarei capace di uccidere con le mie mani: manzi, vitelli, agnelli e maiali. Tradisco il precetto e nell’ingurgitare il cadavere trovo sempre più ragioni al non mangiare carne che al mangiarla, eppure continuo. Il pollame lo mangio quasi sereno perché, coerente al precetto, una volta avevo tirato con successo il collo a un pollo, anche se i polli di allevamento dei supermercati mi fanno un po’ schifo, tuttavia col Primitivo di Manduria vanno giù.
Ieri mio cognato ha ordinato l’agnello nostrano dal pastore, siccome nei giorni di festa solenne i carnivori diventano militanti al pari dei vegetariani, mica potrò a Pasqua rimanere nell’angolo a mangiare pane, carciofi e erbe amare col coro dei parenti carnivori là a recitarmi la litania:
«Emmangia l’agnello, emmangia!»
E certo che lo mangerò trovando un paio di ragioni per mangiarlo e un centinaio per astenermi dal farlo. Però, conti alla mano, i miei gatti mangiano molta più carne di me. Sono numerosi e ogni giorno si pappano mezzo chilo di croccantini oltre alle sei scatole al manzo, al pollo, al salmone, talvolta anche all’agnello che gli compro invece di adottare a distanza sei bambini dell’Africa. Strano precetto il vietarmi di mangiare agnello per poi comprarlo al gatto. Ma i vegetariani possono dare carne al gatto o fan peccato?
Porca santa Miseria
Primavera 1940. Brianza-Milano, 28 chilometri per andare e 28 per tornare era il percorso che, a 15 anni, mio padre percorreva in bicicletta per raggiungere la fabbrica dove lavorava.
Primavera 2014. Pedalo sulla ciclovia dell’acquedotto per smussarmi il ventre e lo vedo precedermi.
Domenica delle Palme
Taranto, Domenica delle Palme. In diecimila sgorgano dallo stadio Iacovone, nell’ingorgo suonano clacson e fuori dalle macchine ostentano bandiere rossoblè surrogati di benedette palme. Il Taranto ha vinto sul Francavilla faccenda che non gli porterà alcun profitto, eppure nel provinciale rito pagano sembrano felici.
Quanti modi di circoscrivere l’assurdo.
«Mi piace osservare i miei concittadini specie nei giorni di festa
con bandiere fuori dalle macchine all'uscita dello stadio.»
Tramonto occidentale, Franco Battiato, 1983.
Per puro caso ma precisa intenzione
Non sempre l’“evoluzione” biologica corrisponde precisa a un miglioramento, inteso come progresso, della specie. Talvolta osserviamo, per fini adattivi all’ambiente, involuzioni. In ambo i casi ogni specie tende all’autoperpetuarsi, al durare invece che al terminare.
Ricontro più volontà che casualità in questo moto all'esserci, in questo agire nel puro caso con precisissima intenzione.
Parabola
L’iridologo naturopata gli aveva prescritto una cura per sanarlo dalla mortale malattia che gli vedeva nel ventre, ma il rimedio era tossico e il male nella pancia non c’era.
Dopo una misera esistenza è schiattato rapido.
Quanto possono nuocere le Teorie.
L’equivoco
Aveva equivocato al punto di credere che la ricerca di senso all’esistere fosse scoprire il significato del vivere.
Smarrito in labirinti paralizzanti aveva poi compreso che “senso” era semplicemente il punto verso cui il movimento è rivolto, lì ha cessato di cercare significati per produrli.