BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Mercoledì, 02 Febbraio 2011 18:40

Creatore

 

Non so se ho un Creatore, ma anche senza risposta continuo ad essere. Non so cos'è l'essere tuttavia sono, spontaneamente sono, così, senza averlo chiesto, senza meritarmelo, senza comprenderlo. Questo senso di essere è arrivato da solo, non so da dove, non so come, non so perché. Sempre lì, non è mai mutato. E' l'unico capitale che ho. E' l'unico problema che ho. 

Pubblicato in Sacro&Profano
Lunedì, 31 Gennaio 2011 18:48

Autostop

 

L’autostop è roba d’altri tempi eppure proprio ieri uno mi ha caricato in auto per duecento chilometri. Mentre guidava conduceva nel contempo una lezione dal titolo: “Tecniche d’emancipazione dai soprusi quotidiani”. La tesi dell’autista-filosofo enuncia che, pur giudicando la mitezza, la pazienza e la mitezza virtù, vi è una soglia del sopruso altrui che superata la quale è necessario reagire per mantenere integra la propria dignità. La lezione è proseguita con congrue indicazioni metodologiche riguardo la reazione di difesa, che deve essere consapevole, quindi cosciente e controllata, utilizzando però il medesimo vocabolario e modalità d’azione dell’aggressore. Quando in coda all’ufficio postale l’aggressore ci passa davanti, rapidi occorre riprendersi il posto, se quello emette latrato trivio, si risponde allo stesso modo ma con un pizzico di determinazione in più, se quello minaccia lo si colpisce rapidi in pieno viso e si vivrà felici.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Domenica, 23 Gennaio 2011 15:32

Caso Ruby mistero della fede?

 

Luigi Amicone direttore di Tempi, settimanale cattolico ciellino, esterna il suo teorema sul “caso Ruby” nell’ articolo che titola: “Tentativo di una rocciosa arringa in difesa della libertà, legalità e democrazia”; che nel merito suona così: chi attacca Berlusconi è libertino moralista connivente col far west del diritto.Poco condividiamo dell’attuale dottrina sociale della Chiesa e ancora meno di quella ciellina, ma vediamo di non reagire, di staccarci per un istante da noi stessi per immedesimarci laicamente e senza pregiudizio nelle ragioni di fondo che muovono la mente del Direttore di Tempi considerando i vantaggi che il Premier elargisce alla dottrina sociale di una certa Chiesa a cui Amicone appartiene, eppure l’articolo non sta in piedi lo stesso, così poniamo all’Autore un quesito squisitamente logico: “In base a quale postulato sembra obbligatorio il bizzarro sillogismo che un leader per essere in grado di non fare leggi abortiste e permissive, né dare eutanasia per sentenza di un giudice e quant'altro voi ritenete giusto e santo occorra che sia necessariamente uno “schifoso”?Perché non v’impegnate in un progetto che trovi un Premier espressione reale e intimamente protagonista, per ideali e stili di vita, a quello che voi sta a cuore, senza che vi giudichiate per questo moralisti e neppure ipocriti?Amicone nega il suo zelo difensivo per Berlusconi e così risponde:“Non ho fatto questo sillogismo, siete voi che lo sforzate. Comunque sia apprezziamo dove volete andare a parare e mi piace la vostra idea, a una condizione: prima si rimette al posto in cui deve stare certa magistratura (riforma della giustizia) e poi aperti a tutto. Luigi Amicone”Non so dove abbiamo “sforzato”, ma prendiamo atto che anche di fronte alla logica e alle prime prese di posizione ufficiali dell'autorità ecclesiastica riguardo il "caso Ruby" Amicone non molla ancora l’osso nel difendere ad oltranza Berlusconi. Mistero della fede. Ma come è possibile?Risulta evidente che per appartenenti autorevoli di Comunione e Liberazione l’essere morali non è il comportarsi rettamente e onestamente ma un’altra cosa. Cosa? Che etica perseguono? Veniamo al punto. Per un appartenente a CL chi è oggi Gesù Cristo? La “Verità” chi è, dov’è? Nella Chiesa cattolica romana? Non proprio; Cristo è concettualmente teoricamente nella Chiesa, ma di fatto è in quel pezzo di Chiesa che il ciellino ha incontrato: Cl stessa; non ci risulta che Formigoni abbia come riferimento l’arcivescovo di Milano Tettamanzi, il suo diretto responsabile per giurisdizione e obbedisca a lui, tutt’altro. Capita talvolta che l’autorità ecclesiastica sia vicina alla sensibilità ciellina come gli ultimi due Papi, in tal caso la dimensione ecclesiologica del movimento si espande, in ogni caso Gesù Cristo, la somma giustizia, per CL si esprimerebbe nelle autorità del movimento, coinciderebbe con l’autorità del movimento, tutto il resto è giudicato astrazione ideologica; bibbia, vangelo, etica inclusi. In questa teologia tribale il senso della cose e della vita, la morale, la cosa pubblica non sono temi da perseguire, da decifrare con imparzialità e confronto con tutto e tutti in quanto si presume di possedere, perché prescelti dal destino, il significato ultimo, di tutto e di tutti, in maniera integrale e indiscutibile: la presenza di Cristo che vive nella storia attraverso la loro compagnia. Cristo coincide con loro. La verità coincide con loro, il senso della storia pure, il bene pubblico anche. Qui sta l’equivoco, qui sta la patologia e allora poco importa il personale confronto reale con tutti gli uomini di buona volontà in un percorso umile, quindi intelligente, logico, ragionevole che tiene conto della correttezza e onestà personale, capace di giudicare nel merito fatti e scelte, in quanto per l’identità teologico-tribale ciellina seguire Cristo significa obbedire con tutto il proprio essere all’autorità che all’interno del movimento lo guida e oggi l’ordine del giorno è difendere un anziano signore liftato. Più obbediscono e più si sentono nel giusto perché appartenenti ad una realtà umana che pur nella storia la trascende e giudica, avanguardia e modello del bene di tutti. Quindi puoi essere competente, onesto, integerrimo ma se non obbedisci alla compagnia sei considerato all’interno di CL falso e amorale anche se ti comporti come Teresa di Calcutta. Se invece sei un condannato, indagato, imputato e rinviato a giudizio perché ladro o corruttore, o sei puttaniere ma, in qualche modo, favorisci la compagnia sacramentale alla quale appartieni obbedendo alla linea partitica e alla dottrina sociale indicata sei morale.E’ evidente che all’interno di CL chi è un minimo sensibile avverte che c’è qualcosa che non va, ma siccome è stato programmato all’obbedienza invece di dissentire, per far quadrare il cerchio, reagisce stringendosi ancor più nel gruppo, nel tentativo di sostenere l’inumana fatica del dover continuamente ricapitolare la società alle soggettive credenze e interessi tribali. 

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 04 Gennaio 2011 19:46

Kapo

 

 Testimonianze di sopravvissuti ai lager nazisti riferiscono di kapos che  colpivano senza motivo i prigionieri disposti in fila indiana. Botte da orbi all’improvviso, a vanvera: uno si quattro no, poi, dopo una pausa di dodici prigionieri, inopinatamente venivano colpiti altri tre in rapida successione. Samuel Beckett una notte fu accoltellato per strada da un clochard, dopo la convalescenza andò a trovarlo in prigione per chiedergli: “Perché l'hai fatto?” “Non lo so” rispose l’aggressore, proprio come quando il salto di corsia di un autoarticolato uccide a caso la giovane madre che passa, in quel preciso istante, proprio lì, quando transita sulla superstrada per andare al lavoro mentre ascolta il radiogiornale; se gli fosse caduto il tappo del dentifricio nel lavabo avrebbe perso quei trenta secondi che gli avrebbero salvato la vita, invece il tappo è rimasto al suo posto. Oppure un cancro che ci porta via il giovane amico; poteva portare via un altro invece  ha portato via proprio lui, così, a capocchia. Invece suo nonno, di quasi novant’anni di pessimo carattere, sta benissimo con i suoi tre by-pass e un carcinoma alla vescica che è guarito completamente, così, a capocchia, contro il parere dei sanitari che gli avevano sentenziato sei mesi di vita.Comunque diagnosi mediche preventive, meglio se precoci, prudenza ed osservanza del codice della strada e anche l’informarci sull’ aspettativa media di vita di quelli che abitano dalle nostre parti sembrano anestetizzare la presenza del kapo, anche se di fatto lui indifferente alla statistica, alle diagnosi precoci di malattia e anche all’osservanza del codice stradale è comunque lì, potenzialmente lì, sempre lì.Consapevoli dell’impossibilità di eliminarlo tentiamo almeno di razionalizzarlo, perché non esiste nulla di più scocciante di una dipartita cruenta, prematura, senza motivo, così, a capocchia.Ci vogliono le filosofie classiche, le metafore e anche le religioni per ammansirlo un po’, magari dandogli un nome: Moira, Destino, Fato; sempre pazzo e imprevedibile rimane il kapo ma almeno sappiamo come si chiama. Possiamo chiamarlo Karma: la sua legge di causa effetto rende più umano il dolore trasformando nullificazione e caso in esiti e risultati. Chiamiamolo Sfortuna, se siamo pigri, oppure Mistero se crediamo nel Dio italiano, quello buono e misericordioso, Lui probabilmente ci consentirà di interpretare l’assurdo e l’imperscrutabile come “coincidenze assolutamente singolari” e, a Suo dire, proficue.Forse meglio la noncuranza, può darsi che se ignorato il kapo non si accorgerà di noi. Chissà? 

Pubblicato in Filosofia di strada
Domenica, 02 Gennaio 2011 19:31

Radiografia

 

 Scruto una mia radiografia,  potrebbe essere quella di un cadavere si presenterebbe nello stesso modo; potrebbe essere quella di un altro, si presenterebbe nello stesso modo. Forse questo corpo non è mio, appartiene alla natura, alla religione dei cinque elementi. I corpi mio o di altri, vivi o morti, dentro sono tutti uguali. Quando il respiro cessa diventano oggetti. Forse anche questo respiro non è mio, è autonomo ed appartiene alla natura, alla religione dei cinque elementi. I corpi dentro sono tutti uguali, i respiri sono tutti uguali, qualcuno continua, qualcuno cessa, qualcuno inizia.  

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 29 Dicembre 2010 00:08

Liturgia

 

 Sul carrozzone della Chiesa cattolica romana si celebrano riti, tanto diversi tra loro, che sembrano appartenere a confessioni differenti: da una parte la messa delle chitarre scordate, omelia interminabile e Comunione con le mani; dall’altra quella in rito tridentino, in latino, con Comunione sulla lingua in ginocchio e donne con il capo coperto. Talvolta, a messa finita, le due fazioni si accapigliano in complesse diatribe liturgiche. Non rammentiamo che Gesù di Nazaret mostrasse interesse alcuno per la liturgia, se non per contestare formalismi e ipocrisie dei farisei. In effetti il problema più che divino è umano: la riforma liturgica conciliare degli anni ’60 ha coinciso con un progressivo e costante allontanamento dalla Chiesa cattolica dei suoi praticanti. Le cause sono numerose e complesse, non sfuggirà tuttavia di constatare che numerosi praticanti cattolici non si sono allontanati dalla Chiesa per diventare atei e neppure agnostici, ma invece per abbracciare liturgie sacre ancora più precise, esigenti e vincolanti nel Buddhismo o nell’Induismo. Già Paolo VI, negli ultimi mesi del suo pontificato, si era reso conto che qualcosa non andava nel “modernismo” da Lui inizialmente favorito e da lì la simpatia per i conservatori è continuata nei pontefici succedutisi in quanto, dati alla mano, il conformarsi ai tempi, specialmente in ambito liturgico, ha inaspettatamente svuotato le chiese. Per un’istituzione eterna e divina, ma nel contempo storica e condotta da uomini, dovrà necessariamente essere curata la forma; su questa terra un valore senza forma non può esistere e anche se dovesse esistere non potrebbe, comunque, senza forma resistere: liturgie forti, precise, dettagliate, con sacerdoti curati negli abiti, che officiano con sobrietà non sono faccende di stile attinente al formale decoro, ma cruciali nella sostanza: se un valore senza una forma non esiste quando la liturgia è sciatta, debole, approssimativa non è più gesto che agisce, ma commemorazione inefficace, morta. Fin qui, dunque, comprensibile un’attenzione alla liturgia che curi con precisione il gesto nelle istituzioni religiose e nelle tradizioni sacre. Così pure nelle attività artistiche e anche sportive, in quanto ambiti che possono trarre pienezza di vita e di risultati da riti ben confezionati. Ciò che differenzia i conservatori della liturgia cattolica dagli esponenti delle altre liturgie non è la precisione e neppure la fedeltà alla tradizione e neanche la complessità dei riti o la fattura e preziosità degli arredi, ma che i non cattolici terminato il rito lo buttano nel posto che merita: la spazzatura. Liturgia come mero strumento, gioco circoscrittto che consente di raggiungere il massimo della consapevolezza, completezza, libertà, realizzazione e per alcuni anche euforia nel massimo della costrizione e disciplina formale. Quindi consapevole libertà dalle forme che apre al mondo, inclusiva mai elettiva. Invece, non di rado, i conservatori cattolici equivocano il significato con lo strumento per raggiungerlo; buttano il contenuto e tengono la confezione che diventa feticcio, idolatria, potere che giudica negativamente il diverso da loro, così attorniati da ostensori a raggiera, reliquiari e navicelle per incenso pontificano ieratici metafisiche idiote e politiche antievangeliche. Meglio la sciatteria.

Pubblicato in Sacro&Profano
Sabato, 25 Dicembre 2010 17:25

Quel minchione di babbo Natale

 

 M’informano che da lassù sta arrivando quaggiù il re del cielo e da nord  quel minchione di babbo Natale a portare giocattoli di plastica. Imprigionato al gruppo ingurgito quel che arriva nel piatto. M’informano che è amore. Non mi piace, ma rimango lì."Talvolta un uomo si alza da tavola a cenaEd esce e cammina, e continua a camminare,Perché da qualche parte a oriente sa di una chiesa.E i suoi figli pregano per lui, come se fosse morto.E un altro uomo, che muore nella sua casa,Nella sua casa rimane, dentro il tavolo e il bicchiere,Sicché i suoi figli devono andarsene nel mondo, lontano,Verso quella chiesa, che il padre ha dimenticato."Rainer Maria Rilke

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Martedì, 14 Dicembre 2010 10:44

Morale e moralismi

 

Fino all’altro ieri talvolta capitava che i cattolici praticanti erano giudicati moralisti, un automatismo concettuale, una specie di tic che scattava nei miscredenti quando un cattolico, magari conservatore, affrontava tematiche sessuali, o esprimeva giudizi contro i malfattori, oppure insofferenza all’incoerenza. Negli ultimi mesi la situazione è mutata: il tic dell’antimoralismo ha invasato proprio quei cattolici che n’erano vittime. Se stimolati in punti specifici: la pedofilia in ambienti cattolici e l’immoralità del Premier scattano rapidi come la rana di Galvani contro l’interlocutore per accusarlo di moralismo. Sono i cattolici neoconservatori berlusconiani, provate a parlare con uno di loro per averne immediata conferma e se non lo trovate ascoltate Maurizio Lupi quando gli ricordano l’incoerenza tra la dottrina cattolica di cui è paladino e il comportamento di Berlusconi. Lupi reagirà di scatto indulgente verso il capo e spietato contro gli interlocutori, che giudicherà moralisti e ipocriti. Com’è potuto accadere, in così breve tempo, uno scambio di ruoli tanto radicale? Perché tacciare di moralismo e ipocrisia, accusa odiosa, chi invita al pensiero logico e ad un minimo di coerenza? La motivazione è la difesa ad oltranza del leader e sappiamo che tale compito, se il capo è Berlusconi, è arduo. I conservatori del secolo scorso un qualcosa di divertente e anche di po’ logico avrebbero escogitato rispetto agli attuali, che invece vanno a prendere in prestito e a sproposito, il pensiero di Don Giussani per giustificare il capo. Proprio da lì arriva l’accusa di moralismo per chi attacca Berlusconi. Nel testo tratto da “Generare tracce nella storia del mondo” (Rizzoli) Don Giussani scrive:  “Solo Dio misura tutti i fattori dell'uomo che agisce e la sua misura è oltre ogni misura: si chiama misericordia, qualcosa per noi di ultimamente incomprensibile. Come l'uomo Gesù che ha detto di coloro che lo uccidevano: “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”: sull'infinitesimo margine della loro ignoranza Cristo costruiva la loro difesa. La nostra imitazione di Lui è nello spazio della misericordia. Per questo la moralità è una tensione di ripresa continua. Come un bambino che impara a camminare: cade dieci volte, ma tende a sua madre, si rialza e tende. Il male non ci ferma: possiamo cadere mille volte, ma il male non ci definisce, come invece definisce la mentalità mondana, per cui alla fine gli uomini giustificano quello che non riescono a non fare”.  Morale come tensione ideale invece che sudditanza a precetti. Si può essere d’accordo oppure dissentire perché il pensiero è chiaro, ma la forzatura di assimilare un bambino che cade e si rialza con un anziano signore che ostenta le sue avventure erotiche a pagamento, mentre presiede un governo che storta il naso alla proposta di  distribuire i preservativi nelle scuole per prevenire infezioni da HIV, è invece tutta da chiarire.  

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Venerdì, 10 Dicembre 2010 16:33

Non lasciate che i bambini vadano a loro

 

 Chiesa cattolica e abusi su minori Il Vescovo di Grosseto, Mons. Babini, dichiara alla stampa: "… Se mi fosse capitato un pedofilo non lo avrei denunciato, ma cercato di redimere. Un padre come é il Vescovo per un sacerdote, non denuncia i figli che sbagliano e si pentono. Ma con i viziosi [gli omosessuali N.d.a.] bisogna essere intransigenti". Pedofili assolti, omosessuali condannati. Augusto Cavadi, filosofo e teologo palermitano, legge e non può tacere perché avverte che ogni omissione di parola equivarrebbe a complicità, così procrastina gli impegni presi per iniziare la scrittura del libro “Non lasciate che i bambini vadano a loro” con sottotitolo “Chiesa cattolica e abusi su minori”, oggi in libreria edito da Falzea. Lo scrive su due registri, che si compenetrano: quello del saggio-inchiesta, dove partendo dai fatti accaduti e dai documenti ecclesiali espone il problema e quello filosofico, teologico-ecclesiologico dove con lucidità enuclea “qual è, esattamente, il problema”. Una prima lettura d’un fiato ci condurrà pertanto ad una “ruminazione” post lettura; il boccone è amaro e Vito Mancuso, che scrive la premessa, denuncia la causa: “La peculiarità dello scandalo non è tanto la pedofilia di preti e Vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie”.Cavadi spiega nello specifico i motivi di fondo, le problematiche strutturali e gli automatismi concettuali, che hanno portato, troppo spesso, gran parte della gerarchia ecclesiastica a bypassare con assoluta disinvoltura quanto realmente accaduto, in nome di una autorità umano-divina che giudica e interpreta autoreferenzialmente la triste realtà degli abusi in ambito ecclesiale: i panni sporchi si lavano in casa e la faccenda finisce lì, anestetizzata da pentimenti tardivi, coperta da ipocrisie sistematiche, omissioni, insabbiamenti, reticenze, connivenze e complicità: peccato da perdonare invece che reato da sanzionare. Qui individua i meccanismi strutturali che all’interno della Chiesa cattolica prima favoriscono poi coprono deviazioni individuali e collettive: obbedienze inevitabili, confessioni private, processi formativi dei presbiteri, sacralità separata, dualismi gerarchici e la relazione sesso-potere. L’Autore non solo spiega esaurientemente il perché e il come sia potuto accadere che minori siano stati abusati in ambienti cattolici, luoghi deputati alla cura dei bambini, ma offre indicazioni e proposte operative perché non abbia ad accadere in futuro. Libro da leggere ed approfondire per non fermarsi ad una denuncia ideologica, generica, intermittente, superficiale.Non lasciate che i bambini vadano a loroChiesa cattolica e abusi su minoriAugusto Cavadi€ 11,90 Editore Falzea

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Lunedì, 06 Dicembre 2010 20:12

Biografie

 

Arriva un tempo dove si avverte la necessità dell’autobiografia, anche se non intendiamo raccontarla ad altri e neppure scriverla essa vuole, per forza propria quasi fosse un’entità autonoma, che sia perlomeno pensata e intimamente narrata; la nostra storia ci chiama, fa affiorare ricordi dimenticati, attiva pensieri ed elaborazioni. Il contenuto e lo stile del processo è misterioso, non assomiglia all’esposizione di un curriculum vitae, ad un mero elenco cronologico di fatti accaduti in tempi e luoghi noti, com’è d’uso invece per le biografie: “nasce il; a; finiti gli studi; compie viaggi; si sposa; a quel punto compie azioni, poi muore il; a”, in una “successione” concatenata d’avvenimenti che, se piacciono al biografo, vengono definiti -per l'appunto- “successi”; poi alla fine l’autore scrive, se non vivente, l’indirizzo dove giacciono, oppure riposano, le spoglie mortali del personaggio. L’autore segue il modello preimpostato e riempie i campi.Questo approccio scialbo, trito e ritrito ci permette di cogliere il personaggio nel contesto storico e di conoscerne la produzione, ma il carattere unico, il cuore della sua umanità, insomma “Lui” non emergerà; basta fare un giro su Google e digitare “autobiografie” per averne conferma: la biografia di Diego Abatantuono ci apparirà, nella forma testuale e nei contenuti, più interessante di quella di Nietzsche e non possiamo escludere che alcuni santi rabbrividirebbero nel dare un’occhiata all’agiografia che li celebra. Se un autore scrivesse la nostra biografia in questa forma è plausibile che la avvertiremmo estranea, limitata, un po’ disonesta. Perché non ci rispecchiamo? Dov’è il tradimento? Dove le omissioni se la biografia appare tempestiva e congrua come un verbale steso dai Carabinieri dopo sopralluogo? Cos’è questo di più che sentiamo e pensiamo d’essere? L’autoraccontarsi la propria esistenza, invece di farcela raccontare da altri, è forse il tentativo di incontrare quel quid -dentro e oltre i luoghi, i tempi e le azioni- che ci caratterizza; quel qualCosa senza uguali, in altri termini è cercar risposta alla domanda fondamentale: io chi sono?Non di rado si cerca risposta in quello che gli altri pensano e dicono di noi; quante volte si dice che l’iniziativa, il pezzo, l’opinione, “funziona”; cosa significa funziona? Significa che trova consenso. Se questo è l’unico criterio di giudizio saremo portati a tradire il carattere, la vocazione, per conformarci ed omologarci. Rainer Maria Rilke in “Lettere a un giovane poeta” da al riguardo indicazioni inequivocabili, artistiche ed esistenziali, agli antipodi dalla ricerca di consenso: "… morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta."Possiamo tuttavia osservare, che quando la personale biografia viene pensata ma non detta e neppure scritta lascia un retrogusto rancido; si percepisce qualcosa di noioso e asfittico: un io un po’ ipertrofico, che di tanto in tanto borbotta, in atteggiamento un po’ masturbatorio. Lo strumento dello scrivere, del portare fuori, ci emancipa dal rancido perché favorisce una sana distanza da noi stessi, il percorso diventa ancor più proficuo se dopo averla scritta, leggiamo l’autobiografia a qualcuno, magari a molti.Si può iniziare con un diario, compito impegnativo perché un diario non è una cronaca e neppure un’agenda, oppure dal presente per andare a ritroso, o anche dall’inizio. Tutto sommato in questi territori il prima e il dopo sono relativi: tutto accade insieme, sovrapposto, mischiato. Basta guardare in faccia un vecchio, se non si è mascherato con un lifting, per constatare fisicamente l’istantaneità del continuo-infinito-presente: tutta la sua storia, il suo cuore, il pensiero irripetibile, insomma il carattere è scritto in quel volto, magari in forme enigmatiche, con-fuse ma è lì. Forse la comprensione non è un processo, ma un evento istantaneo.

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