BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Mercoledì, 14 Aprile 2010 12:15

Solidarietà

 

Un conoscente mi ha esposto convinto una teoria: oggi nessun italiano avverte il problema della sopravvivenza in quanto c'è sempre un genitore, un fratello o un parente che lo possono aiutare. Siccome un piatto di minestra lo si trova sempre possiamo scegliere, senza urgenza e indifferenti alla retribuzione, un lavoro che ci piaccia e ci soddisfi. Il problema della alienazione da lavoro o del dramma di chi lo ha perso sono quindi falsi problemi.La teoria dell’amico (progressista di sinistra) mantenuto da agiati genitori (conservatori di destra) seppur bislacca è tuttavia utile perché ci consente di comprendere quanto sia arduo penetrare e condividere la drammatica condizione di chi si trova in difficoltà.La scostamento tra l’interpretazione che diamo della sofferenza altrui rispetto alla realtà di chi la sperimenta risulta evidente. Conduttori televisivi noti che, ben retribuiti, intervistano un padre di famiglia che ha perso il lavoro cosa sanno, cosa sentono nel loro intimo, cosa comprendono per davvero di quella condizione? Ho sentito dire di un sindacalista che parlava di giustizia alle masse, poi quando tornava a casa picchiava la moglie. Ma è allora possibile comprendere per davvero la sofferenza dell’altro? E’ fattibile una empatia onesta, assoluta e disinteressata, se non si vive in prima persona la condizione di chi è svantaggio? Qualche decennio fa i preti operai, proprio nel tentativo di emanciparsi da una empatia astratta e nella ricerca di una vicinanza e solidarietà radicale, sono andati, per libera scelta, a lavorare in fabbrica gomito a gomito con gli operai alla catena di montaggio. L'esperimento ha funzionato a metà: non bastava vivere la medesima esperienza per condividere appieno la condizione dell’altro, occorreva anche il trovarsi in quella condizione non per scelta ma per costrizione e occorreva anche permanere il quella prigione detestandola, con il desiderio costante e urgente, ma non realizzabile, di venirne fuori; non come i loro compagni preti che quella condizione l’avevano invece intenzionalmente cercata e liberamente scelta.In ogni caso i cristiani sostengono di essere avvantaggiati rispetto ai non credenti nell’essere solidali con i bisognosi, grazie al seguire un Dio fatto uomo, sprofondato per obbedienza al padre nella condizione umana a tal punto da perdere ogni vantaggio divino. I non credenti rivendicato una solidarietà che in quanto mediata dallo Stato risulta più equa e razionale in quanto libera da pietismi, preferenze e credenze. Con Kant obiettano poi che un’azione è etica solo se non reca beneficio a chi la compie: e il credente la compirebbe, in questo caso, per ottenere benefici divini. Alla fine la distanza reale non è tra religiosi e non credenti ma fra avvantaggiati e svantaggiati. Distanza forse incolmabile, che tuttavia possiamo in qualche modo ridurre con l’insidiosa, incongrua e contraddittoria solidarietà di cui siamo capaci.Bruno Vergani

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 08 Aprile 2010 17:53

L'Armadio

 

All’interno degli edifici ecclesiastici sono posizionati degli armadi, di tanto in tanto un prete ci entra dentro e i fedeli, uno alla volta, si chiudono rapidi nell’armadio con lui. Sembrano armadi ma sono lavatrici: i fedeli entrano peccatori ed escono uomini nuovi, puliti da ogni colpa.I fedeli si possono imbattere in un prete grasso e vecchio, oppure bello e giovane, con la barba oppure i baffi, buono o cattivo, tuttavia non prestano alcun interesse a questi aspetti, in quanto il prete - quando è nell’armadio - rappresenta Iddio stesso. I fedeli gli enumerano i peccati e Dio, attraverso il suo ministro, perdona tutto e tutti, pedofili e serial killer inclusi. Non si tratta di un perdono generico e superficiale, ma di un lavaggio tanto profondo che la colpa viene cancellata alla radice tanto da risultare, a trattamento terminato, mai commessa.Sembrerebbe che la pratica dell’armadio sia tanto bizzarra e magica da non influenzare il nostro vivere sociale, ma non è così: la sua magia purificatrice, che perdona ad oltranza, è piaciuta così tanto da penetrare in profondità nei cromosomi degli italiani, financo nel genoma dei non credenti ed ha ispirato il modo di fare politica, finanza, sentenze giuridiche, tassazioni e tributi, relazioni sociali e amicali, normative e morale: si insabbia, se si sbaglia non ci si dimette, si ricorre all’indulto e agli scudi fiscali, si chiede la grazia, si aspetta il condono, si prescrive, si chiude un occhio e se si è imputati, però per qualche motivo impediti, non ci si presenta al giudice terreno. Le società di religione protestante del nord Europa, mitteleuropee e nord americane sprovviste dell’armadio purificatore non conoscono l’anarchia sociale latina. Non sono favoriti da santi in paradiso che intercedono per loro né da da preti che li assolvono e riassolvono e così, nel metterci la faccia senza mediazioni, sono più responsabili e onesti. Più normali. Bruno Vergani

Pubblicato in Sacro&Profano

 

Può capitare che persone appartenenti alla Chiesa Cattolica e intimamente legate ad essa si siano drasticamente allontanate; sono diventati agnostici o magari buddisti, oppure pur rimanendo cristiani non hanno più creduto all’istituzione ecclesiastica e al suo Magistero e così, del tutto indifferenti al Papa e ai Vescovi, sono andati per la loro strada. Per altri cattolici l’allontanamento dalla gerarchia ecclesiastica ha preso invece altra connotazione; sono rimasti all’interno della Chiesa Cattolica da dissidenti. Situazione scomoda, sovente virulenta. I contestatori determinati non di rado sono trattati dal Magistero duramente: sacerdoti ridotti allo stato laicale, isolati, oppure nel migliore dei casi giudicati inaffidabili, figuri sospetti e potenzialmente pericolosi. Tuttavia i dissidenti hanno inghiottito il rospo e invece di prendere completa distanza dall’istituzione sono rimasti nell’alveo ecclesiale. Sappiamo che la Chiesa Cattolica istituzionale è un carrozzone su cui c’è posto quasi per tutti, dove viene trattato meglio un pedofilo obbediente che un uomo per bene ma dissidente all’autorità costituita, perché allora rimanere sul treno se si sta tanto scomodi e in cattiva compagnia e per giunta non si vuole arrivare dove sta andando quel treno? Se si dissente a tal punto dal macchinista (il Papa) da considerarlo tanto smarrito da aver perso il carisma profetico, se è avvertito lontano dal Vangelo per le sue prese di posizione apologetiche tese a difendere sistematicamente l’istituzione e la gerarchia nel suo assetto di potere, perché i dissidenti non si allontanano rapidi lasciandosi per sempre alle spalle la Chiesa istituzionale che contestano?Dissidenti che criticano radicalmente a muso duro la dottrina sociale, la teologia e le indicazioni dell’autorità ecclesiastica, ma che invece di prendere completa distanza dall’istituzione seguendo in pace il loro Dio e obbedendo alla propria coscienza, rimangono lì a lottare per ottenere una Chiesa più aperta e moderna. Una appartenenza ontologica e biologica di carne e sangue non facilmente comprensibile, una relazione con genitori spirituali che siccome padri e madri non si scelgono non si possono cambiare, non si possono in alcun caso elidere e quindi l’unica possibilità di relazione possibile è quella conflittuale. E’ sano tutto questo? Che logica lo giustifica? Quale ragione lo permette? Perché si trovano ancora contigui ad un Magistero che prevedibilmente ripete ai dissidenti: “Rispettiamo la vostra passione per l’uomo e anche la vostra esigenza di giustizia, però non ci possiamo fare niente se siamo responsabili di un messaggio di salvezza che ci è stato consegnato da Dio in terra, quindi nostro malgrado non possiamo essere democratici, perché è Iddio stesso che ci ha dato responsabilità verso di voi amato gregge subalterno. Noi abbiamo già la chiave, ed è una chiave che ci è stata consegnata da Dio in persona, mica siamo un consiglio comunale dove si tien conto della base mettendo le sue istanze ai voti. Nelle faccende divine poco c’entra la democrazia e non vince la maggioranza. Tuttavia cari figlioli noi pastori abbiamo pazienza e misericordia anche per voi teste calde e aspettiamo pazientemente che rivediate le vostre imperfezioni, parzialità, inadeguatezze e specialmente le vostre idee politiche così che possiate ritornare a diventare Chiesa, quella vera ed unica, obbedendo a noi”. Non condivido la posizione del Magistero tuttavia, siccome credono che Cristo ha dato per davvero le chiavi a Pietro e che senza soluzione di continuità sono state poi consegnate da Papa a Papa per duemila anni fino a Joseph Ratzinger, la loro posizione, se vista dall’interno, non è poi bizzarra. Plausibilmente se i dissidenti concepissero la Chiesa come una struttura umana andrebbero immediatamente via, ma siccome invece rimangono suppongo che percepiscano l’ istituzione, in qualche modo e nonostante tutto, anche divina. In che cosa divina? In che cosa umana? Avverto la faccenda confusa e dispiace perché questa galassia dissidente è proprio quella che all’interno della Chiesa è cifra onesta che si mette in gioco sul serio, offre del proprio gratuitamente, accoglie e accetta tutti specialmente gli ultimi e così paradossalmente per chi guarda dall’esterno da punti e rafforza proprio quel Magistero che i dissidenti vorrebbero contestare. Nel rimanere non possiamo escludere che, come dice il Vangelo, diano le perle ai porci, indubbiamente rafforzano e giustificano l’autorità ecclesiastica sia perché implicitamente testimoniano che tutto sommato non è possibile vivere il Vangelo a prescindere dalla Chiesa istituzionale e perché rendono umana, accogliente, onesta e aperta una istituzione arrogante e refrattaria alla radice. Farebbero prima e meglio da soli. Strana condizione quella dei dissidenti cattolici. Bruno Vergani

 

Gigi Cortesi risponde E dove sta mai il problema? Dice Gesù: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo, 18, 20). Quando Gesù è tra noi, lì c’è chiesa. Quando Rosi e io ci chiamiamo nello stupore (e “stupore” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole stupirsi di noi con noi. Quando chiamo i miei figli nella festa (e “festa” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole essere festa con noi. Quando chiamo i miei amici nella gioia di un buon bicchiere di vino (e “buon bicchiere di vino” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole stare allegro con noi. Quando chiamo i miei com-pagni nel nome di un pezzo di pane, lo spezzo e lo mangio con loro (e “pane spezzato” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole mangiare il nostro pane con noi. Quando chiamo qualcuno con parola libera e spregiudicata (e “parola libera e spregiudicata” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche a lui piace parlare libero e spregiudicato. Quando la sofferenza o l’offesa date o subite sono per-dono di uno nell’altro (e “per-dono” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché per lui, in lui e attraverso di lui ogni sofferenza subita e ogni offesa accolta sanno aprirsi alla vita e sanno scoprirsi come dono prezioso. Quando parlo con chi è diverso da me balbettando le sue parole e quando uno diverso da me balbetta le mie parole (e “diversità” e “parola balbettata” sono due dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole essere tutte le diversità e tutti i balbettii del mondo. Quando tu e io parliamo di cieli nuovi e terre nuove (e “cieli nuove e terre nuove” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole infiniti cieli e infinite terre, sempre più nuovi e sempre più belli. Quando tu e io ci aspettiamo e chiamiamo al di là e al di qua di ogni muro e confine (e “attesa” e “al di qua” e “al di là” sono tre dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche lui vuole aspettare con noi al di là e al di qua di ogni muro e confine. Quando tu e io, magari litigando tra noi, chiediamo entrambi giustizia (e “giustizia” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche a lui piace battersi per la giustizia e perché lui è la giustizia. Quando tu e io, magari discutendo tra noi, parliamo per cercare insieme la verità (e “verità cercata” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché anche a lui piace la verità, così tanto che lui è davvero la verità. Quando siamo in due e ci piace chiamare insieme a noi anche un altro (e “trinità e “insieme” sono due dei suoi nomi), lui è con noi, perché a lui piace essere insieme a due o più di due. Quando nelle notti cerchiamo un sentiero e incontrandoci ci aiutiamo a trovare la via anche più difficile (e “sentiero cercato” e “via difficile” sono due dei suoi nomi), lui è con noi, perché lui è il sentiero cercato e la via difficile, così tanto che sempre sostiene ogni nostro passo. Quando tu e io parliamo non per quel che abbiamo, ma per quel che siamo, anche quando a parlare siamo noi due povericristi (e “povero cristo” è uno dei suoi nomi), lui è con noi, perché non c’è nessuno più povero cristo di lui, così tanto che senza di lui non ci sarebbe gusto a essere un povero cristo. Quando tu e io ci incantiamo parlando della bellezza, ci estasiamo nella danza, siamo una voce sola nel canto (e “bellezza” e “danza” e “canto” sono tre dei suoi nomi), lui è con noi, perché a lui piace meravigliarsi con noi e danzare con noi i nostri balli e cantare insieme a noi le nostre canzoni. Quando, pure volendo parlare, taciamo perché siamo semplici o troppo deboli o troppo imbranati (e “parola nonostante” e “semplicità” sono due dei suoi nomi), lui è con noi, perché lui ama parlare nonostante e comunque, anche nei silenzi assordanti e imbranati e fragili. Quando tu e io alziamo la testa e guardiamo di giorno i cieli e di notte le stelle e il buio (e “testa alzata” e “speranza disperata” sono due dei suoi nomi), lui è con noi, perché vuole con noi respirare i nostri de-sideri e tutte le nostre speranze. Quando vogliamo così tanto vivere da non temere la morte (e “vita” e “risurrezione” sono due dei suoi nomi), lui è con noi, perché a lui è piaciuto così tanto vivere con noi e come noi, che, pure temendola fino all’urlo, ha vissuto anche la morte, al punto che l’ha infradiciata di vita e risurrezione. Quando invece vogliamo essere soli, non vogliamo ascoltare nessuno, non amiamo neppure noi stessi, usiamo l’amicizia, tradiamo l’amore, taciamo la verità, non gustiamo la festa, non ci stupiamo d’amore, non guardiamo mai in alto, temiamo chi è diverso, inganniamo la bellezza, non amiamo neanche noi stessi, non amiamo tutto l’umano che siamo e incontriamo, lui piange, perché ama così tanto la libertà di chi non vuole stare con lui, che se ne deve andare, rispettandoci fino in fondo. Ma, prima ci manda sempre un bacio d’arrivederci, anche quando noi non ce ne accorgiamo. E, discreto, ci segue, aspettando che noi, almeno in due, lo chiamiamo di nuovo a parlare e a cantare con noi. Noi non crediamo sempre in lui, ma lui crede sempre in noi.

 

Chino Piraccini risponde.Interrogativi che sono tutti molto seri e impegnativi.Comincio col fare una distinzione che ritengo fondamentale e per niente di lana caprina. Riguarda il credo della nostra fede. Personalmente non credo (cioè non ho mai posto la mia fede, virtù teologale) nella chiesa cattolica, apostolica....ma credo che la chiesa è cattolica, apostolica....Il credo niceno-costantinopolitano ci chiede di credere in Dio Padre-Figlio-Spirito Santo, ma non ci chiede di porre la chiesa con le sue istituzioni alla pari con Dio-Trinità. La fede può essere solo in Dio e non nelle istituzioni della chiesa che se anche fondate da Cristo non sono Dio. Se questo è vero, tutto ciò che non risulta essenzialmente evangelico, non solo è contestabile, ma è doverosamente contestabile, restando in questa chiesa cattolica oppure aderendo ad una delle tante confessioni cristiane come per es. quella valdese che risulta molto seria.Condivido in tutto l'ultima parte delle tue riflessioni. Per ora resto parte della chiesa cattolica, anche se nessuno se ne accorge, perchè il vangelo che annuncia è sostanzialmente quello di Gesù. Mi rendo conto che l'apparato gerarchico istituzionale-vaticano appare non di rado lontano dalla fedeltà di una testimonianza coerente, e che noi poveri untorelli-galoppini (e soprattutto tanti missionari evangelici) rischiamo di "dare perle ai porci", di offrire una copertura ipocritamente evangelica ad una gerarchia "arrogante e refrattaria alla radice" come tu dici. Tanto che mi sono detto più volte che se avessi nel cesenate la possibilità di una chiesa valdese mi ci troverei a pieni polmoni, ma nel comprensorio cesenate non esiste una chiesa alternativa da cristiani, se non la chiesa avventista del settimo giorno che si sono fissati sul sabato come giorno festivo....ne ho parlato col pastore più volte, ma anche loro temono le critiche degli "ex".Sono comunque convinto che dalle chiese terzomondiali e in particolare da certe chiese latino-americane sta soffiando il vento del Grande Spirito, una specie di fiume carsico innovatore (galassia dissidente) che tra non molto tempo porterà a qualcosa di profondamente nuovo e profetico...Ancora un pò di pazienza nello Spirito......Anche l'esplodere degli scandali di pedofilia gerarchica è un segno dei tempi che non lascierà le cose come prima. E' molto più importante il Regno di Dio di questa o quella chiesa se diventano sette chiuse e faziose. Restiamo nell'attesa della sua venuta, consapevoli che non abbiamo qui una dimora stabile "sed futuram inquirimus" (siamo alla ricerca del suo Regno).I problemi che sollevi sono attualissimi e di capitale importanza. Per es. tu osservi: "nelle faccende divine (io direi di Chiesa) poco c'entra la democrazia e non vince la maggioranza". Questione centrale-nevralgica e "conditio sine qua non" perché si possa sperare uno sprazzo di rinnovamento. Se hai letto il testo di Ortensio da Spinetoli, amico carissimo e biblista molto noto: "Chiesa delle origini, chiesa del futuro" ed. Borla 1986, trovi una risposta esauriente alla questione suddetta. Ortensio si limita a fare l'esegesi dei primi capitoli degli atti degli apostoli ed esamina la prassi della prima comunità cristiana che deve essere paradigmatica e di orientamento per il futuro. Il conflitto inevitabile tra una chiesa rigorosamente gerarchica da monarchia assoluta e una chiesa che ha "la pretesa legittima" di essere più democratica, si risolve con un rapporto fraterno di comunione coordinato dal carisma dell'apostolo e del suo successore, ma non con l'imperio di un funzionario mandato da Roma e scelto con alchimie strane e conoscenze che appaiono legate a trame da massoneria bianca o nera d'altri tempi. In questo contesto desolante, non mi resta che seguire un pò di vangelo con l'aiuto del gruppo di Sorrivoli "ricerca e conronto" nella speranza di non smarrire del tutto la fede, in attesa di Qualcosa di Meglio, anche se conosco il detto "il peggio non è mai morto".

 

Commenta e risponde Augusto Cavadi Trovo sia il tuo testo, Bruno, che i due commenti di notevole 'peso' teoretico e spirituale. Mi chiedi un parere che non mi è facile formulare. Da una parte, infatti, capisco benissimo chi come te dice: usciamo, sbattiamo la porta, "lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti". Dall'altra parte capisco i miei carissimi amici che restano nell'istituzione ecclesiastica, lavorano come 'talpe' dal di dentro per far lievitare il fermento dei valori evangelici nella pasta, un po' ingombrante, della struttura complessiva e dicono: "se ne devono andare gli altri, i tradizionalisti, noi siamo a casa nostra". Capisco altrettanto bene, però, la posizione che ho scelto - almeno sino ad ora - io: prendo le distanze (proclamandomi ufficialmente 'cristiano' e non 'cattolico', anzi - come sai dal mio libro "In verità ci disse altro" - proclamandomi "oltre-cristiano"), ma non entro in nessuna altra "chiesa". Vivo lo stato nomade e marginale che, se non ho capito male, è stata la condizione esistenziale di Gesù di Nazareth. E accetto tutte le occasioni di ospitalità: dai valdesi, dai luterani, da comunità di ricerca orientali...dunque anche da quelle comunità cattoliche che, pur conoscendo la mia posizione di eretico convinto, mi invitano alla loro mensa. Mi ricordo di una frase di Balducci riferitami, in un certo viaggio in treno, da Franzoni: "Non esco dalla chiesa cattolica perché sarebbe dare importanza all'appartenenza ecclesiale più che alla tifoseria di una squadra". Come la intesi allora, e la interpreto per me oggi, non va enfatizzata l'appartenenza o la non-appartenenza ad una determinata confessione religiosa: esse sono, più o meno, opportunità di vivere la propria ricerca del Divino e solo se, e quando, diventano trappole bisogna sgusciar via. Poiché mi piace solidarizzare con quelle poche decine di persone che condividono il mio stato d'animo, come tu sai (lo racconto nel mio contributo al volume collettivo "Filosofia praticata") da 7 anni, una domenica al mese, la trascorro con chi vuole sperimentare momenti di spiritualità 'laica', aconfessionale, critica. E' un modo di uscire dallo stormo del gabbiano Joanathan senza soffrire troppo la solitudine, accompagnandosi - sia pur precariamente - con altri gabbiani fuori dallo stormo, pur senza avere intenzione di creare "la chiesa di chi non ha chiesa". So che non sono stato chiaro come avrei voluto, ma ti assicuro che non mi riesce facile esprimere a parole - e in poche parole - sentimenti e intuizioni che mi abitano più di quanto io li possegga.

 

Risponde Don Franco Barbero Le domande interessanti sono sempre quelle intelligenti come quelle da Lei poste. Purtroppo non mi posso permettere una risposta come vorrei. La rimando al mio "Perché resto" di alcuni anni fa. Buon lavoro Don Franco"Perché resto" di Don Franco Barbero è scaricabile in PDF alla pagina: http://www.viottoli.it/viottoli/download/index.html#4

 

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 31 Marzo 2010 16:39

Chi ha vinto le elezioni regionali?

 

Chi è madre o padre e tutti quelli che sono abili nel raccontare con successo storie ai bambini ricevendo il loro consenso stupito e assoluto, sono eccellenti leader politici anche se non lo sanno. Si, ha vinto chi ha saputo con semplicità narrare, chi ha affascinato raccontando una bella storia, interessante, che ha saputo toccare i sentimenti, fantasiosa, intrigante, accattivante, fantasmagorica e originale. Racconto coinvolgente di un avvenimento salvifico che, anche se oggi non c’è ancora, domani -se voti il narratore- sicuramente accadrà. Narrazione che muove i sentimenti, da speranza di compimento ai sogni non realizzati e così appassiona per davvero. Favola che i vincitori hanno saputo comunicare come assolutamente reale e possibile. Come nei film e nelle favole non importa che la storia sia verosimile, importa che piaccia al pubblico, così se ci si crede diventa vera.Ha invece perso chi la storia da raccontare non ce l’aveva così ha annoiato i bambini mentre cercava soluzioni ai problemi reali, mentre si lagnava un giorno altezzoso e l’altro confuso con chi la storia la stava raccontando.Bruno Vergani

Pubblicato in Pensieri Improvvisi

 

Alle regionali mi hanno calorosamente consigliato di votare un tizio, ho guardato la foto e ho deciso rapido di non votarlo non solo perché non so chi sia, cosa abbia fatto e cosa intenda fare, ma anche perché la sua faccia non mi piace. Si dice che dopo i quarant’anni ognuno ha la faccia che si merita e quello lì non si merita la mia preferenza. Irragionevole ma lecito. E i simboli? Le bandiere? Significano davvero quello che comunicano se accade che Il crocifisso viene oggi impugnato a mo’ di martello da dare in testa all’extracomunitario?Il simbolo è quanto evoca o rappresenta, per convenzione o per naturale associazione di idee, un concetto astratto, una condizione, una situazione, una realtà più vasta.Impossibile pesare duecento grammi di "Libertà" o prendere una manciata di "Italia", quindi una statua e il tricolore compiono la magia di rendere agilmente tangibili concetti astratti.La comunicazione attraverso i simboli è un linguaggio antico e naturale di immediata comunicazione perché, rispetto ai consueti mezzi di informazione, rompe le barriere semplificando l’interpretazione e la memorizzazione dei messaggi.Il simbolo nella sua iconicità, puo essere facilmente rapportato al significato rappresentato e collegato ad esso sia istintivamente che per deduzione logica, favorendo una correlazione tra la realtà oggettiva e la sua rappresentazione, tuttavia realtà complesse e profonde potrebbero generare per processo sintetico simbologie criptiche.Il simbolo partitico esprime funzione SINTATTICA ovvero la relazione ad altri simboli, funzione utilizzata prevalentemente per comunicare alleanze partitiche. Funzione PRAGMATICA, cioè gli scopi ed l'utilizzo del simbolo. Queste finalità valgono anche per la segnaletica stradale o per il marketing pubblicitario, ma un simbolo di partito dovrebbe esprimere una funzione ben più importante di un "divieto di sosta" o di un marchio commerciale.Un simbolo di partito dovrebbe comunicare contenuti ideali, progettuali e programmatici, svolgendo una funzione SEMANTICA, ovvero la relazione al significato che esprime.E' opportuno ricordare che la capacità d'elaborare simboli semanticamente forti non è, di per sé, qualificante. I simboli, per loro stessa natura, non sono dialettici: servono per affermare, testimoniare e non per dialogare e confrontarsi. Non a caso le ideologie sanguinarie e dittatoriali sono storicamente caratterizzate da una sistematica saturazione semantica, allegorica e liturgica. Nel nazismo il partito si trasforma, attraverso discorsi e cerimoniali che diventano atti di fede, in una vera e propria immagine simbolica venerata dalle masse. Hitler organizzò la sua vita pubblica, e persino quella privata, intorno a se stesso come a un simbolo vivente. Tornando al presente sembra che la tendenza di alcuni partiti politici italiani nella realizzazione dei propri simboli, abbia una attenzione prevalentemente pragmatica, al pari della pubblicità di una scatola di pomodori pelati. Il fatto non è nuovo, quando in Italia il numero degli analfabeti era rilevante, si elaborava un simbolo chiaro, semplice ed inequivocabile, che per impatto elementare fosse ricordato con certezza nell'isolamento della cabina elettorale. La falce e martello, il sole nascente, lo scudo crociato. Segni si pragmatici ma nel contempo intrisi di significato: la classe lavoratrice, l'avvenire, la fede. Oggi nonostante i cittadini italiani analfabeti siano in via di estinzione, l'attenzione alla funzione pratica del simbolo si è immotivatamente rinvigorita ma frequentemente, a differenza del recente passato, con carenza di significati.Sembra che i partiti nell'elaborare i propri simboli abbiano difficoltà nel concepire una propria autonomia nel comunicare significati propri atti ad essere trasmessi dalle immagini. Vengono proposti simboli che rappresentano concetti assolutamente condivisibili ma vaghi: famiglia, religione, patria, liberismo, pace, solidarietà. Sembra latiti una precisa cultura politica, sembra non importare da dove arrivi e cosa cosa abbia fatto un candidato negli ultimi vent'anni, ciò che importa è come appare nella fotografia stampata nell'ultimo manifesto elettorale. Una politica televisiva e mediale. Se manca cultura politica i simboli si impoveriscono, e sembra che la cultura politica italiana tenda ad involversi in sottoculture incapaci di esprimersi semanticamente.Una cultura a differenza delle sottoculture non si contenta più di ciò che vede, vuole andare al di là, penetrare il mistero delle cose, comprenderne il significato profondo e misterioso. Gli artisti sono stanchi di descrivere bei tramonti e mari tempestosi e sono attratti dalle misteriose analogie o associazioni di idee che la mente umana elabora ogni momento ad ogni nuova sensazione. Un segno, un colore non interessa più in se stesso, ma in quanto evoca in chi lo vede un ricordo, un sentimento, un'idea. Nella sinestesia (dal greco syn, "insieme" e aisthánestai, "percepire") si attua un procedimento retorico che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un'immagine vividamente inedita.Per le sottoculture politiche non esistendo più motivazioni ideali capaci di tradursi in emblemi, in forti elementi simbolici, si utilizza come surrogato l'asfittica immagine della faccia del candidato, un segno banale, sovente senza storia.Immagine diffusa e quindi omologante nella simbologia partitica è il tricolore, ambiguamente presente da destra a sinistra. Il bianco, rosso e verde viene utilizzato per esprimere concezioni esistenziali, sociali, politiche e programmatiche agli antipodi. Viceversa concezioni e programmi di partiti assolutamente sovrapponibili sono artificiosamente differenziati con nomi di facciata e simbologie graficamente e cromaticamente diverse.I partiti politici fatti da uomini reali, ma tenuti insieme da interessi e motivazioni ideali non possono fare a meno di identificarsi, unirsi, riconoscersi ed esprimersi in simboli.i simboli tradizionalmente vengano creati non dagli individui, ma dai popoli. Grazie ai simboli, ai miti e alla poesia, noi ricordiamo il principio e la fine, cioè ricordiamo la nostra identità, chi siamo. I simboli mantengono, conservano la nostra identità e memoria storica, quindi un gruppo politico senza un simbolo che lo caratterizzi e rappresenti non esiste o se esiste non resiste.L'indagine semantica sui simboli dei partiti politici può essere parametro di verifica per valutare se e quanto è in atto una decomposizione semantica e se e quanto dipenda dal vuoto, dallo smarrimento, dall'ignoranza e confusione della politica italiana.Quando un medico osserva nell’emocromo di un paziente che i linfociti sono alti sa che può essere in atto una infezione virale. Il paziente lo ignora ma il medico, grazie all'osservazione di un parametro specifico, lo sa. Analogamente il simbolo partitico può essere utilizzato come parametro diagnostico per determinare la salute di un partito politico.Attraverso l’analisi semantica del simbolo è possible diagnosticare l'eventuale positività a due gravi patologie:il vuotoil totalitarismoOsserviamo di simboli nelle sedi dei partiti, da destra a sinistra, nelle associazioni e nei sindacati. Analizziamo simboli delle insegne, nei documenti, nei manifesti e nelle bandiere.L'insegna e i manifesti sono veicoli sicuramente pragmatici del simbolo, visto che il primo serve a identificare la sede del partito, il secondo a pubblicizzare uomini e progetti. Le bandiere sono invece più interessanti perché pura semantica; non "servono" a nulla se non ad esprimere significati. L'indagine semantica dovrà dunque privilegiare, le bandiere per ricercare e palesare vuoti e significati, che forse gli stessi esponenti o militanti di partito ignorano. Bruno Vergani

Pubblicato in Filosofia di strada
Lunedì, 22 Marzo 2010 11:33

Chiesa e pedofilia

 

Il Papa negli ultimi giorni ha scritto ai cattolici d’Irlanda sugli abusi sessuali perpetrati a minori, ai sacerdoti coinvolti dice: "Dovete rispondere di ciò che avete fatto davanti a Dio onnipotente, come davanti a tribunali debitamente costituiti". Singolare che un mero richiamo al rispetto basilare del vivere comune sia stato percepito, nella Chiesa e non solo, come una svolta radicale. Se l’ovvio è stato avvertito come cambiamento quasi epocale c’è da chiedersi: com’è stata intesa fino ad oggi la giustizia per la Chiesa cattolica, come si è declinata e come si applicata? Più precisamente, il diritto nella Chiesa ha qualcosa in comune con quello della nostra civiltà o è roba dell’altro mondo?Non sono un esperto di diritto canonico ho però seguito, mio malgrado, le peripezie d’un parente che ha avuto a che fare con “leggi dell’altro mondo”; un anno dopo il matrimonio in Chiesa la moglie lo ha mollato e lui, dopo qualche anno, ha incontrato un’altra donna che voleva risposare in Chiesa. Siccome è vietato si è rivolto a un tribunale ecclesiastico dove i prelati, per trentamila euro, hanno viaggiato a ritroso nel tempo per aggiustare la faccenda. Sono andati nel passato e lì hanno annullato all’origine il primo matrimonio; annullare significa una cosa ben diversa dal cancellare; vuol dire letteralmente che sono entrati in un segmento di tempo passato per estrarre chirurgicamente quello specifico evento per farlo sparire e così, siccome il matrimonio andato storto non è mai accaduto, al mio parente è stato concesso di (ri)sposarsi in chiesa. La dissolvenza sempiterna del matrimonio storicamente accaduto fa si che i figli nati da quel matrimonio non siano mai nati anche se esistono; nessun gioco di prestigio, la teologia cattolica romana spiega: Dio ha preso un corpo che oggi vive nella storia grazie alla presenza della Chiesa, che pur realtà umana e istituzionale è nel contempo divina ed eterna. La Chiesa quindi parlerebbe, giudicherebbe e agirebbe col suo Magistero in nome e con i poteri di Dio stesso. Finché queste credenze, questi giochi di prestigio metafisici non si espandono coinvolgendo la società intera poco male, ma se nostro figlio viene violentato da un sacerdote e la Chiesa con il sacramento della penitenza (confessione) non solo perdona il prete pedofilo ma, indifferente alla vittima e alla giustizia sociale, lo purifica in un sol colpo e a tal livello che l’abuso non solo viene cancellato ma non è mai accaduto e la faccenda, in quanto metafisicamente risolta, finisce lì coperta ai mortali con omissioni, insabbiamenti, reticenze, connivenze e complicità è gravissimo, non solo per la vittima e i suoi familiari, ma per tutti noi perché la ferità rimane socialmente aperta. Non si passa col rosso anche se sei di fretta perché in missione per conto di Dio, questo modo anarchico di pensare e specialmente di fare è pericoloso. Molto pericoloso. Consente di bypassare con assoluta disinvoltura le norme che tutti noi ci siamo dati in nome di una autorità umano/divina che giudica e interpreta autoreferenzialmente il mondo. Che cosa sia il diritto in assoluto non lo sappiamo; problema aperto e ginepraio inestricabile, ma per fortuna nel nostro vivere quotidiano le cose sono sufficientemente definite: se parcheggi dove è vietato potresti prendere una multa e se rubi condannato ad una pena. Regole e norme codificate e condivise luogo della nostra identificazione sociale e politica, rimedio per lenire almeno un po’ le ferite e ricomporre il vivere insieme. Sembra che anche il Papa apprezzi e si stia lentamente adeguando.Bruno Vergani

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Giovedì, 18 Marzo 2010 16:21

La sana malattia

 

l’identica situazione, lo stesso luogo, il medesimo contesto possono essere percepiti e vissuti in modi molto differenti. Ieri sera due mie amiche sono state invitate ad una festa in maschera; oggi le ho sentite prima una e poi l’altra: la prima era entusiasta e divertita, l’altra invece non si è travestita, non ha ballato e si è annoiata, poi questa mattina al risveglio ha scritto dei versi, che su mia insistenza mi ha comunicato:“Osservo gli altri divertirsi. Nel dimenarsi in allegra libertà s' illudono d' esorcizzare la morte in semplicità. Nel farlo tutti insieme non si accorgono di mentire. Un po' invidio il puerile stratagemma, l'anestetico per bambini, ma non giudico loro e neppure la mia diversità: quel sottrarsi almeno un poco così da poter vedere”.Sommariamente possiamo ripartire le persone in due categorie: gli estroversi e gli introversi. Sembra che i primi siano l’ottanta per cento della popolazione. E’ agevole riconoscerli: oltre a divertirsi alle feste in maschera parlano costantemente al cellulare, il mondo è loro, fanno il buono e cattivo tempo imponendo il loro modo di essere come parametro della normalità. L'introverso invece è un individuo riflessivo, critico e creativo. Lì in un angolo prima osserva, poi giudica in profondità e inventa soluzioni, poi forse le mette in pratica, nel frattempo gli altri hanno già reagito e lui rimane indietro, sempre perdente. La settimana scorsa sono andato all'ufficio anagrafe, una impiegata parlava al telefono. Volume della voce alto, ben vestita, perfettamente inserita nel contesto sociale conversava disinvolta, probabilmente con la sorella, riguardo la pasta condita col pesto che doveva cucinare; il tema verteva con passione sul dilemma di utilizzare le penne rigate in sostituzione delle trenette esaurite al supermercato. Nell'aspettare il mio turno osservavo sugli scaffali impolverati i volumi delle morti e un signore anziano in coda con me mi ha guardato negli occhi, poi indicandomi l’impiegata che blaterava ha commentato a bassa voce: “ Anche lei finirà in una di quelle cartelle, in un trafiletto con la sua data di nascita e di morte”. Ammirato dell’anziano e divertito per la sentenza sono andato a prendermi un caffè al bar della piazza. Solo. L'ho gustato con calma proustiana e nel farlo mi sono istantaneamente reso conto che simpatizzo per gli introversi. Quando ho chiesto il conto del caffè una persona seduta nel bar, della quale ignoro il nome, mi ha salutato con calore e ha pagato per me, ma il barista ha prontamente rifiutato offrendomelo lui. Anche quel barista, a me assolutamente estraneo, stranamente mi conosce. Chissà perché la gente mi vuole bene. Probabilmente a questo mondo c’è posto per tutti, introversi ed estroversi, ma purtroppo per l’introverso il vedere le cose “per quello che sono” invece che “di come sono per la maggioranza”, lo mette fuori gioco. Il paradosso è questo: gli artisti, gli scrittori e le persone creative in genere (generalizzando gli introversi) sono allo stesso tempo psicologicamente "più malati" sono cioè al di sopra della media in un'ampia gamma di misurazioni psicopatologiche e nel contempo psicologicamente "più sani" in quanto “si caratterizzano per tassi molto elevati di fiducia in se stessi e di forza dell'Io” (Jamison, 1993).Se Fernando Pessoa, uno dei poeti più rappresentativi del XX secolo, venisse oggi letto da un individuo estroverso, digiuno di quei testi e ignorante dell’autore, come reagirebbe? E uno psicoterapeuta cosa diagnosticherebbe? "Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo"."...ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno".“Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto” Stessa cosa per Borges... e chi è quest’altro povero diavolo che ha perso il senso del Sè?:"Sono quest'albero. Albero, nuvole; domani libro e vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori vagabondo. Muoio ogni attimo, io, e rinasco di nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori". E’ Pirandello nelle pagine finali di "Uno, nessuno, centomila" Introversi e estroversi, ognuno ha il suo orientamento forse scritto nel DNA. Tuttavia la superiorità numerica e l’agire rapido, perché non non riflessivo, permette agli estroversi di dominare la vita pubblica. Forse tale predominio è una perdita per tutti perché non possiamo escludere che gli introversi sono la minoranza nella popolazione normale, ma la maggioranza nella popolazione dotata.Bruno Vergani

Immagine: drawing di Paolo Polli "Lo spettro del tempo" per gentile concessione dell'Autore

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Sabato, 13 Marzo 2010 18:02

Caso Englaro

 

Recentemente sono stato a Milano, dodici ore di treno. Nello scompartimento due ragazzi marocchini. Ho preso iniziativa e si dialogava serenamente. Vista la confidenza ho chiesto: “Sono stato in Marocco e all’ingresso delle moschee ho visto dei cartelli con scritto: vietato l’ingresso ai non musulmani”, con tono rispettoso, ho aggiunto “Invece qui in Italia, anche i non cristiani possono entrare nelle chiese”. I ragazzi si sono irrigiditi. Lungo silenzio, poi uno sbotta: “Nel Corano c’è scritto che tu non puoi entrare nella moschea perché non sei musulmano”. Io rispondo, ma perché? e lui “Perché sta scritto!” E mi ha citato il versetto. Poi fino a Milano mi hanno tenuto il broncio. L’illusione di possedere la verità ultima in modo definitivo e assoluto (integralismo e fondamentalismo) genera, nei gruppi e nel singolo, giganti con i piedi d’argilla. Una pseudoidentità prefabbricata incapace di abbracciare e di confrontarsi con l’esistenza che produce illusione di pienezza, ma che invece, perché basata sul falso, è fragile e vuota. Per potere stare in piedi la pseudoidentità integralista ha bisogno di trovare ragioni per autosostenersi, tra queste il nemico da combattere. Grazie ad una fantomatica minaccia proveniente dall’esterno la pseudoidentità riesce ad autosostenersi; si autocrea, prende senso, motivo e vigore. Non è peculiarità di una minoranza islamica; la possiamo incontrare in in certo laicismo miope e intransigente e anche nelle altre religioni monoteistiche, cristianesimo incluso. Il “caso Englaro” insegna. Un padre, una madre, una figlia in coma da più di 16 anni. Situazione intangibile, dove per qualsiasi persona ragionevole e a maggior ragione per un cristiano l’unico intervento adeguato poteva essere rispetto, intima vicinanza e silenzio. Come è potuto accadere, da parte di un certo cattolicesimo e non solo, tanta invadenza, tanta distorsione, tanta violenza con giudizi così grossolani quanto ingiustificati e inspiegabili, assolutamente incongrui a quello che di fatto accadeva? Come e perché un padre che nell’amare sua figlia nel modo che solo la loro intimità poteva contemplare è stato giudicato assassino, punto d’origine e grimaldello di catastrofi planetarie inenarrabili?Il fondamentalismo integralista è un pallone vuoto che può rimanere gonfio solo grazie all’aria continuamente soffiata da pseudopericoli imminenti, da pseudominacce incombenti. Il fondamentalista per riempire il vuoto su cui poggia si percepisce come il bambino olandese con il dito nel buco della diga, lì vigilante 24 ore su 24 a difesa dell’umanità. Sempre pronto alla mobilitazione generale immerso nel suo egoriferimento ipertrofico e monomaniacale. Vede la sua casa e allucinato la immagina bruciare, incendiata dai nemici. Non può mai rilassarsi rimarrebbe faccia a faccia con il vuoto delle sue credenze che lui e i suoi amici seguono. Identificato con il gruppo di appartenenza e con il suo pseudoideale, come il cane con l’osso tra i denti, non può mai mollare. Solo Appartenendo al gruppo e lottando per difenderlo può esistere altrimenti il nulla. Da qui le sue apprensioni ingiustificate, il suo sospetto sistematico. Divisione certa tra buoni e cattivi. Pensiero fragile che per resistere prende rigida forma nell’assoluta convinzione di essere nel giusto. Pregiudizio in una intensità d'attenzione sempre prevenuta e continua, mai libera, mai ironica, mai autoironica. Stretto nel suo gruppo con iperintenzionalità cerca ogni indizio che possa confermare le sue credenze minacciate dal nemico, talmente sicuro della sua visione da non conoscere discernimento riesce a trascurare contraddizioni evidenti del suo pensiero e del come stanno per davvero le cose. Sempre sconvolto da potenziali elementi inaspettati che lo possano sorprendere. Per lui tutto ha uno scopo preciso. Non fa nulla per gioco. Mai spontaneo, ipervigilante indaga ciò che lo circonda come un militare in missione speciale, con gli occhi fuori dalle orbite e la faccia tesa. Effettua un monitoraggio serrato e riesce sempre ad interpretare in persone innocue e distese un nemico, che accuserà di tremende responsabilità con nefaste conseguenze eterne. Con urgenza e argomenti stringenti butterà addosso al diverso tutta la patologia che ha dentro. Solo così è spiegabile la lapidazione di un padre, proprio nel suo momento estremo, da parte di alcuni “cristiani”.Bruno Vergani

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Martedì, 09 Marzo 2010 20:32

Il panino

 

Milano, anni ’70. Pausa pranzo ad un giornata dei novizi dei Memores domini*. Non c’è il ristorante così si mangia al sacco. Don Giussani, in piedi nel piazzale, scarta il suo panino con dentro il prosciutto crudo. Intorno a lui duecento futuri Memores. Osservo che nessuno si avvicina al capo. Passano i minuti e mi chiedo: “Perché è lì solo in mezzo al piazzale col panino in mano? Adesso vado lì io”, ma una forza interiore mi paralizza. Uno strano timore. Penso che nessuno si avvicina perché avvertono lo stesso insuperabile blocco che sento io. Come me hanno timore, come me non osano. Si formano dei gruppetti di novizi, parlano tra loro a bassa voce, indifferenti al sommo capo rimasto lì da solo col suo panino sempre più corto. Situazione irreale, intorno a lui un cerchio vuoto, come quello che si disegna con le strisce gialle intorno ai macchinari pericolosi e lui lì in mezzo. Si rientra e riprende la lezione, nessuno dei novizi si è accorto che è stato lì tutto il tempo solo come un cane, ma lui si. Prende la parola e dopo cinque minuti il suo discorso vira sul tema dell’estraneità e di botto dice: “Come quella che avete voi con me!”. Se avessi avuto il coraggio dalla platea avrei alzato la mano per dirgli: “Era quanto più desideravo poter mangiare vicino a lei il mio panino con la mortadella, ma una forza dal profondo me lo ha impedito. E’ forse per timor di Dio che lei è rimasto solo, non per estraneità e indifferenza. Non avevo ancora vent’anni e per fortuna sono stato zitto. Oggi senza alzare la mano gli avrei risposto che ognuno ha quello che si merita, Kant però gli avrebbe argomentato meglio: “Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e di fatto è realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova. Precetti e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso, delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una permanente minorità. Se pure qualcuno riuscisse a liberarsi, non farebbe che un salto malsicuro anche sopra il fossato più stretto, non essendo allenato a camminare in libertà. Quindi solo pochi sono riusciti, lavorando sul proprio spirito a districarsi dalla minorità camminando, al contempo, con passo sicuro. “ Kant, Beantwortung der Frage: Was is Aufklaerung? in "Berlinische Monatsschrift"Bruno Vergani *Gruppo monastico di Comunione e Liberazione, in quegli anni era denominato “Gruppo Adulto”

Immagine: agosto 2009 prova aperta monologo teatrale "Memorie di un ex monaco" di e con Bruno Vergani regia di Vincenzo Todesco

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Lunedì, 08 Marzo 2010 19:18

Domani si vedrà

 

Di vita ce n’è una sola ed è questa sulla terra. Così dicono i miei amici atei mentre si danno da fare. Invece chi, come me, ha avuto un imprinting cattolico, anche se oggi non pratica religione alcuna sotto sotto pensa e vive come se di vite a disposizione ne avesse tante. Come se esistesse un dopo, un tempo che verrà, un domani dove i conti in sospeso, l’incompiuto personale e sociale potranno in qualche maniera misteriosa compiersi. Come se esistesse un posto e un tempo a venire dove realizzeremo gli amori pensati e non vissuti, ogni desiderio, dove incontreremo le risposte non trovate e gli ideali traditi saranno guariti e ricomposti.Questo atteggiamento di fondo, seppur inconsapevole, tende nel quotidiano a far procrastinare le scelte, a rallentare i percorsi, a non prendersi la paternità dell’azione, a non cercare soluzioni rapide e concrete. Un vivere il tempo come se il senso non è tutto qui e adesso porta a delegare, ci anestetizza e intiepidisce. Quando sarà, dove sarà, come sarà questa realizzazione cosmica? Non lo sappiamo tuttavia, come dentro un incantesimo tendiamo a comportarci come se accadrà. Questa atteggiamento di fondo si esprime talvolta come rassegnazione; con la mancanza di giudizi fortemente critici sulla situazione storica, con disimpegno e qualunquismo per la trasformazione del mondo. Talvolta con lo stato d'animo di chi è vagamente fiducioso negli avvenimenti futuri di cui, pur non conoscendo i contorni precisi e le esatte possibilità di riuscita, per motivi misteriosi rimane un po’ ottimista: il classico “speriamo” .L'escatologia (dal greco éskhatos=ultimo) è, nelle religioni, il pensiero che riconosce il destino ultimo degli uomini e dell’universo. Per quanto suesposto l'escatologia non è una disciplina astratta, in quanto le aspettative ultime dell'uomo determinano inevitabilmente il comportamento presente e quotidiano. Dall’aprire un conto corrente, all’acquisto di un prodotto, all’educazione di figli, al scegliere un partito che ci rappresenti. Speranza cristiana: virtù soprannaturale che si esprime come tensione astratta per aprire varchi di fiducia illusori. Un atteggiamento dell’animo, uno slancio che accarezza il sogno di continuare nel tempo, che veste il domani per sfuggire all’agguato della morte, ma che invece di fatto ci rende davvero poco virtuosi.Bruno Vergani

Immagine: "Città ideale d’oro" di Paolo Polli. Per gentile concessione dell'autore

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