Sono nei guai: Luigi Giussani è mio padre
Sono nei guai: Luigi Giussani è mio padre. Mentre il babbo biologico latitava, lui mi ha espanso il pensiero ed educato quando ingenuo mi formavo all’esistenza. Ora il suo corpo giace, all’interno di un fabbricato kitcsch d’acciaio e vetro, nel cimitero monumentale di Milano. Avevo chiuso formalmente con lui in modo netto e cruento quando era al massimo della gloria ed io al minimo, ma era tardi di lui ero ormai costituito ed ora alberga prigioniero dentro di me. Uomo strano mio padre, enigmatico, scomodo. Dicono che se il padre l’hai dentro le cellule hai una sola possibilità per liberarti di lui: farti venire un cancro. Emancipazione sconveniente: mentre fai fuori lui metaforicamente ti ammazzi tu materialmente. Però non c’è motivo per essere così drastici, parlano tutti bene di mio padre. Adriano Sofri nell’intravederne in lontananza la sagoma, lo ringrazia che sia esistito. Massimo Cacciari dopo averlo incontrato un paio di volte in tutta la sua esistenza, l’ultima ad una mostra di arte moderna, lo stima incondizionatamente. Faranno anche una film per la televisione con papà protagonista. Ho letto in un comunicato stampa dell’ospedale San Raffaele di Milano che mio padre, dopo esser stato lì curato, aveva manifestato personale riconoscenza regalando al nosocomio delle macchine sanitarie. Anch’io sono stato ben curato in un ospedale ecclesiastico, mi hanno tolto un calcolo dal rene sinistro. Se avessi avuto i denari non mi sarebbe dispiaciuto, invece di un modesto presente alla prosperosa caposala, elargire all’istituto una TAC nuova fiammante. Ma io lo avrei fatto altezzoso, volgare, novello Al Capone tronfio di pagare la cena a tutti. Meglio essere indigente se non sei distaccato da te stesso come lo era mio padre, che possedeva le cose in un modo diverso e viveva come non avesse niente pur avendo tutto. Chissà tecnicamente come sarà avvenuta la donazione del macchinario. Mio padre avrà firmato un assegno dal suo conto? No, non ce lo vedo. Non credo neppure disponesse di un conto personale. Avrà dato indicazione di attingere dai fondi della fraternità di CL sostenuti dal versamento degli iscritti, oppure dal conto dei Memores quello in cui versavo tutto il mio stipendio. Magari del mio salario di bidello, che guadagnavo pulendo la merda dei pargoli, è avanzato qualcosa nella cassa dei Memores e così anch’io senza saperlo ho pagato una minuta parte, una manopola, del mastodontico macchinario donato da papà al San Raffaele.
Mio padre che strano tipo, nel vederlo mi si ergeva l’istantaneo pensiero che l’Assoluto veniva nel tempo attraverso quella roca voce. Una volta gli ho portato dei sigari e lui nel prenderli mi disse: “Dobbiamo organizzare un pellegrinaggio a Lourdes di tutto il “Gruppo adulto”, così si chiamavano i Memores Domini, un nome giusto. Si, la Madonna. Il suo rapporto con il femminile, domanda sempre urgente ma nel contempo misteriosamente appagata, lo si sentiva guardandolo negli occhi che non soffriva per mancanze. Ricordo le sue incomprensibili esaltazioni, simpatiche frenesie, eccessi attorali che nell’ambiente ciellino contano numerosi e goffi tentativi di imitazione. Inopinate urgenze, traboccanti struggimenti. Il quotidiano vissuto con una misteriosa ansia, simile a chi chiede dov’è la toilette all’autogrill dopo otto ore di autostrada. Il suo intimo sistematico e impellente bisogno fisiologico mai sedato che severo indicava e supplicava. La voce roca era autorevole di per sé. Se avesse avuto una voce acuta? Davvero un grande mistero mio padre. Cosa c’era dietro? Cosa c’era dentro? Io non lo so se questa sua singolarità avesse a che fare con sue ombre non risolte o con Dio che si manifesta nel tempo. Una volta agli esercizi dei Memores, gente che abbraccia la dedizione totale a Dio, mio padre aveva detto che gli altri del movimento, quelli che si sposavano, servivano per produrre materiale umano. Ricordo bene: “Produttori di materiale umano”. Cosa vuol dire una affermazione del genere? “Materiale” al pari di un escremento? Così mi viene il dubbio che mio padre fosse un esaltato. Sono nei guai: legato indissolubilmente da una relazione vitale con uno che nella sua originalità elargiva messaggi così imprevedibili e diversi che non posso attribuirne un senso senza squalificarne un altro e nel contempo non mi è permesso eludere né commentare l'incongruità dei messaggi. Allora ho risposto con un salmo invece che cercar di comprendere e così m’era sembrato d’ aver trovato pace fino a quando ho letto sul Corriere una intervista a Don Luigi Verzé guida dell'ospedale San Raffaele, dove c’è la TAC con la manopola da me pagata, che parla di mio padre. “Sono stato grande amico di Giussani. L'ho curato per dieci anni, l'ho tenuto qui sino all'ultimo, gli portavo in camera Berlusconi. Si adoravano. Berlusconi si sedeva sul suo letto, si abbracciavano, si baciavano”. Padre dimmi che non è vero. Dimmi che sono equivoci per la senile memoria del narratore che come uno schiacciasassi continua : “Giussani aveva molte idee. Ora i suoi successori sono liberi di fare secondo la loro mentalità. Qui dentro però è San Raffaele; non è Cl. Facciamo come i gesuiti con i cappuccini: ognuno padrone a casa propria. Noi abbiamo una dottrina che non è quella di Cl. Facciamo scienza e cultura, grazie a un'università che è libera, non ecclesiastica. Odio che si adoperi Gesù Cristo per fare soldi”.Quell’attempato prete dice che mio padre ha molte idee e che i suoi figli sono dei ladri. Io ricordo che non aveva tante idee, come l’hanno i mediocri, ma un solo pensiero: Cristo. Don Verzé equivoca? O forse ignora il pensiero di Cristo, quello vero, quello giusto, quello corretto, quello che afferma che la Chiesa è una puttana ma è nostra madre. Che ci vuole nella Chiesa gente coraggiosa che non ha paura di sporcarsi le mani, che la morale coincide con la sequela all’autorità ecclesiastica non con l’onestà. Che occorre obbedire al Dio incarnato nella storia portando la Chiesa nella società con le sue contraddizioni, compromessi e disinvolti modi di fare, mica il comportarsi bene come fanno i boy scout. L’onestà nulla centra con la morale, il comportarsi bene è pensiero superficiale e violento dei senza Dio, quelli che ci condurranno nei GULag. E’ questo il pensiero di Cristo? Ho imparato bene papà?Sono pericolosi i santi del nostro tempo. Scappa se li incontri, scappa se sei giovane, scappa se sei ingenuo, scappa prima che ti sublimino l’adolescenza. Scappa se non è troppo tardi.Bruno Vergani
In missione per conto di Dio
L’apertura all’altro, l'accoglienza del diverso è tema rilevante. Nei gruppi religiosi cruciale. Accoglienza è una parola un po' buonista quindi insidiosa. Contiene subdolo un giudizio implicito di subalternità e di inadeguatezza di chi viene accolto e di presunta superiorità e verità di chi accoglie. Incontro è una parola meno ambigua. Nell’incontro con l’altro c’è un tu che non dovrebbe essere interpretato ma rispettato nella sua alterità unica e imprevedibile. Persone forti e sane che curiose incontrano l’altro, senza il desiderio di salvare chicchessia, escono rafforzati e migliorati dall’esperienza per salutare contaminazione.
Sovente nei gruppi religiosi le cose stanno in modo diverso. Gli appartenenti militanti si attivano organizzati ad accogliere l’altro, ad andarlo a cercare con singolare urgenza per “amarlo spiritualmente” e salvarlo miticamente. Missione e apostolato come necessità per occultare a loro stessi d’essere persone fragili, tenute insieme con lo scotch di concetti e preconcetti validi solo nel gruppo, ma assolutamente incongrui per tutti gli altri. Così il cercare e l’accogliere l’altro, il diverso che sta nel mondo, diventa una vera e propria dipendenza, alibi necessario per autogiustificare, nel suo assioma incontestabile e ammirabile, che non sono nell'errore ma nel giusto, che non sono fragili ma forti. Di fatto, in questo apostolato, non accolgono nessuno se non le idee del gruppo e così si autosostengono in un circolo vizioso che rafforza la dipendenza degli appartenenti al gruppo aumentando nel contempo la fragilità personale e la chiusura al diverso. Missione per esasperata difesa personale e del gruppo religioso potenzialmente minacciata dall'altro per il semplice fatto che c'è, che esiste con la sua diversità pericolosamente destabilizzante, specialmente se tutto sommato non sta poi tanto peggio dei missionari anche se miscredente. Il fragile attivista, in missione per conto di Dio, nell'accogliere l’altro per inglobarlo nel suo pseudomondo si metterà un po’ al sicuro dalle insidiose critiche e ironie del diverso, pericolosi grimaldelli alla sua presunta forza incapace di autocritica e autoironia. Se l'altro, cercato e accolto con sommo amore, non si adegua ai salvatori, per il semplice fatto che rimane sé stesso, viene allora inopinatamente combattuto e se persiste negato. Consiglio di visitare il blog di Gigi Cortesi, davvero interessante, che mi ha stimolato quanto suesposto: http://polisethoslogos.wordpress.com/Bruno Vergani
Il Carrozzone
Non mi piace identificare le persone con il gruppo di appartenenza. Credevo non esistessero i “ciellini”, piuttosto Marco, Antonio, Marisa... con le loro facce, percorsi, umanità. Mi son dovuto ricredere. Le “Memorie di un ex monaco” scritto autobiografico pubblicato in questo blog, piccolo tassello del mio variegato percorso esistenziale, ha procurato reazioni di persone che mi scrivono nell’anonimato senza esporsi nel blog: i “ciellini”. Solo uno, tra tanti, ha letto con interesse e mi ha raccontato della sua vita così siamo diventati amici. Per il resto poco confronto ma il perentorio giudizio: tu sei infelice perché andandotene dai Memores hai rifiutato la verità, riconosci il tuo errore e torna all’ovile. Sulla difensiva sembra ripetano parole di altri. Non spontanei. Prevedibili. Noiosi. Ideologici. Tristi. Mi sarebbe interessato il loro percorso umano, che invece appare asettico, scontato: basta salire sul carrozzone della corporazione ecclesiastica e rimanerci sopra. Così, in questo omettersi personalmente in una forzata apologia del gruppo, in questo misurare le parole per non discostarsi dalle indicazioni avute dai superiori, anestetizzano e banalizzano proprio ciò che vorrebbero difendere. Equivocano slealmente la mia urgenza esistenziale con un tormento infernale per aver preso le distanze da CL. Posizione miope, disonesta. La drammaticità del percepire nell'intimo un istinto d'eternità pur sapendo che dovrò morire dipende dall’essere nato, dall’esistere senza averlo chiesto. E’ domanda fondamentale che richiama Leopardi, Pessoa, Schopenhauer, urgenza per tutti gli uomini consapevoli dell’evidenza che fatti non sono “a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. E’ la domanda per cui molti abbracciano la fede, ma la risposta che ho incontrato nei Memores si è per me rivelata incongrua, goffa, talvolta comica anche se si ride a denti stretti perché nell’ovile, di tanto in tanto, sgozzano un qualche capro per il rafforzamento dell’organizzazione.
E’ plausibile che i “ciellini” che giudicano ieratici la mia storia ignorino cosa sia l’obbedienza nei Memores. Saliti con me sul carrozzone di Mammasantissima mentre loro passeggiavano di carrozza in carrozza, io ingenuo mi sono invece seduto al posto assegnatomi dal capotreno don Giussani, ma ho rapido avvertito un mal di pancia presumibilmente procuratomi da chi mi stava seduto vicino. In forza dell’evidenza che Cristo ha comunque ragione mantengo la posizione, ma la carrozza viene inaspettatamente adibita a cella per il trasporto di detenuti. Resisto ancora ma mi accorgo che il vagone è diventato un carro funebre, così d’istinto scendo dal treno. Peccato. Oggi i giussanologi mi informano che la carrozza contigua alla mia era probabilmente quella giusta per me, bastava che invece di andarmene avessi chiesto al capotreno, indifferente a tutto quello che mi aveva indicato fino a quel momento, cosa dovessi fare “che una soluzione l’avrebbe trovata”. Forse i tempi sono cambiati, ma ricordo che Don Giussani non era mica un Berlusconi che con nonchalance si rimangia ogni mezz’ora la minestra che vomita. La mia uscita netta e cruenta è stata indubbiamente più onesta e rispettosa per tutti.
Il giudizio che mi comunicano riguardo ai fuoriusciti dal gruppo monastico è comica. Superstiziosa. Sembra credano alle minacce dei parroci della bassa padana che, negli anni cinquanta, assicuravano completa cecità a seguito della masturbazione, così gli risulta assolutamente certo che i fuoriusciti dai Memores “si spengano dal punto di vista umano”. Quanto comunicano con i loro interventi stereotipati testimonia proprio il contrario. Al riguardo non sto ad ostentare il mio curriculum intimo e sociale pre e post Memores, già mi sono attardato in miei scritti sull’argomento. Conosco l’ambiente. Non dubito pregiudizialmente della buona fede di chi obbedisce e anche di chi conduce, rispetto i percorsi, ma chiedo a chi ha responsabilità come possa riuscire a dormire serenamente la notte, quando di giorno insegna e garantisce che Iddio si manifesta ai subalterni attraverso di lui. E’ davvero un grande mistero, non è escluso che Dio esista per davvero e in qualche modo, a me ignoto, li anestetizzi dalla consapevolezza dei danni che procurano. Vittima del mio temperamento conciliante lascio nella penna reazioni viscerali per tentare un confronto costruttivo, ma l’esperienza sul campo mi da torto. E’ il momento dell’indignazione. Bruno Vergani
Memorie di un ex monaco. Note sull'obbedienza
Sappiamo dei vantaggi e delle difficoltà nei gruppi umani. Il club sostiene, stimola e talvolta consola. Poi chiede il conto alle soggettività in gioco: adattamento, tolleranza, comprensione e qualche rinuncia in nome della causa comune. Ho osservato gruppi, atei o con fede, con soggettività assolutamente eterogenee rimaste stabilmente unite. Questione di bilancio: probabilmente il dare/avere raggiunge, per ogni singolo appartenente, un discreto equilibrio. La compagnia sacramentale è altra cosa. E’ permanenza di Cristo presente nel rapporto con l’autorità. Si esprime in una compagnia guidata da uomini che per processo analogico, direi misterico se non evocasse qualcosa di pagano, rappresentano Cristo stesso. Il mistero dell’autorità è il mistero di Cristo. Gli addetti ai lavori chiamano la modalità di questo rapporto carisma.
Alcuni sperimentano il carisma in modo vago. Credono che il Papa rappresenti Cristo nella storia e così lo guardano con devozione al telegiornale delle 13 e un paio di volte nella vita vanno in piazza San Pietro a battergli le mani sotto la finestra. La modalità di relazione con l’autorità non determina significativi cambiamenti del loro vivere. Continueranno amando e lavorando come riterranno opportuno, ispirandosi di tanto in tanto a quella generica figura di riferimento, con la quale manterranno informe e intermittente fedeltà e obbedienza. Per altri la modalità di rapporto col Dio presente attraverso l’autorità assume maggior concretezza e precisione. Seguono un responsabile nel gruppo ecclesiastico a cui appartengono. Siccome la compagnia è guidata per adempiere al precetto si recheranno una volta al mese dall’autista, così a colloquio con il Dio che si manifesta attraverso il superiore metteranno sul tappeto le scelte di vita che decideranno di riferire al superiore, poi cercheranno di aderire alle indicazioni avute. Siccome non è proibito anche se non è necessario possiamo far sì che la verifica umano esistenziale del carisma si concentri maggiormente, per appurare quanto sia è plausibile che Dio si possa mostrare attraverso l’autorità di uomini. Addentriamoci nei pericolosi territori dove si fa esperienza del carisma al massimo grado. Alto dosaggio, concentrazione fino alla saturazione rifiutando modalità di rapporto con l’autorità generiche, intellettuali, vaghe e indeterminate. Esperienza fisica completa, attrito radente. Nella sala prova motori rasentiamo il fuori giri per appurare se il pistone grippa o si esprime in tutta la sua gloria. Carisma con oggetto reale. Vincolo netto. Fatti. Nomi. Carisma che concresce, che si rapprende e indurisce. La verifica al massimo dosaggio va pur eseguita, perché un po’ di veleno a bassissime dosi può anche curare, quindi ci sembrerà innocuo o assolutamente utile. Solo nell’aumentare la concentrazione capiremo se è mortifero o salvifico.
Ambiente di prova congruo all’esperimento: ambienti monastici. Lì nel ruolo di ultimo novizio, subalterno a tutti, potremo verificare sul campo quanto il carisma specifico, come modalità di rapporto assoluto con l’autorità, ci farà fiorire in umanità, energia, passione e vitalità. Il minimo sindacale che si possa chiedere ad un Dio incarnato che promette il centuplo quaggiù. La verifica sarà totale, assoluta, pragmatica e precisissima, così dai frutti riconosceremo l'albero. Escludiamo teologie o filosofie inquinanti, solo carne e sangue, nomi e cognomi: novizio Antonio, capo casa Gennaro. Dentro questa obbedienza materica full time verificheremo quanto Antonio nell’obbedire per davvero al capo casa Gennaro si realizzerà come uomo attraverso il carisma. Nel farlo non basta ad Antonio il far proprie le ragioni di Gennaro, individuando ed accogliendo e quindi eseguendo l'informazione di fondo che il capo esprime. Nella pratica quotidiana del novizio Antonio non basta accondiscendenza, accettazione e neppure identificazione con Gennaro. Antonio dovrà perlomeno appropriarsi dei contenuti, dei giudizi e delle opinioni di Gennaro per farle diventare intimamente proprie sentendone il valore in quanto Gennaro è Cristo presente. Ma questo non è ancora sufficiente, per Antonio urge- indifferente al grado di sensibilità, onestà e verità del capo- l’assoluta interiorizzazione di Gennaro per la sacramentalità dal capo espressa e significata. Le parole che accompagnano il processo appaiono affascinanti: carisma, analogia, segno, mistero, sacramento ma tutte significano una cosa: che Antonio abbia a dipendere ontologicamente da Gennaro. Ontologicamente vuol dire che è questione di vita o di morte. Anzi di più. La stessa percezioni d’essere di Antonio dipende dall’obbedienza a Gennaro. Il codice penale, che nulla capisce di queste cose, definiva tale dinamica plagio. Don Giussani che invece comprendeva la chiamava Mistero così si attardava a giocare col fuoco. Sapendo quanto il peccato originale rende i bambini e gli adolescenti ingenui dovevano alzare l’età di ingresso nelle case dei Memores almeno ai quarant’anni. Però, se ben ricordo, in quegli anni si chiamava “Gruppo adulto” un nome giusto. Quando ho eseguito l’esperimento ero giovane quindi ingenuo ma non innocente, perché già capace di far del male a me stesso. Dovrebbero scriverlo sulla porta delle case dei Memores: vietato l’ingresso agli ingenui. Però non è escluso che in qualche modo misterioso Iddio si veicoli agli uomini con la somministrazione di carismi specifici. Attenzione ai dosaggi.
domande e risposte sullo scritto autobiografico Memorie di un ex Monaco
Ho avuto richieste di chiarimento sullo scritto autobiografico Memorie di un ex monaco.Rispondo alle domande più frequenti.Bruno Vergani perché pubblicare questa testimonianza su internet? Se guardo indietro la passività è stata per me condizione primigenia. Per giustificarla ho nel tempo costruito un percorso avventuroso, un personaggio di animo sensibile e profondo, alla ricerca di un senso nella vita. Oggi qualcosa è radicalmente cambiato in me: non mi va più bene. Non sopporto più la mia passività. Questo è un tema molto interessante che Richiama Rilke, Hesse, Nietsche. Diventare ciò che si è. Uscire dalla passività, dalle costruzioni ideologico-religiose che nascondono un mero desiderio di protezione, ed affrontare la vita. Per questo ho iniziato da tempo un percorso artistico con scritti ed immagini dove sono protagonista e Memorie di un ex monaco è parte di questo percorso. L’ho pubblicato per ergermi di fronte al mondo, pacatamente orgoglioso di essere ciò che sono.perché oggi?Per due motivi. Il primo intimo: Il frutto per maturare necessita del suo tempo. Oggi, le scelte di una passività culturalmente e spiritualmente "alta" fondate non tanto su un lento e libero disvelamento quanto su una dolorosa necessità iniziale, si stanno in me sgretolando. E per una urgenza sociale: Il pensiero che, se non fossi andato via, potrei essere ancora lì connivente con l’attuale classe dirigente italiana, per la contiguità di CL con la stessa, mi fa rabbrividire e mi ha spinto ad espormi.dove hai rappresentato finora il monologo teatrale tratto dal testo letterario “memorie di un monaco”?Dieci annni fa il drammaturgo e regista teatrale Vincenzo Todesco, mi ha guardato in faccia e d’istinto mi ha proposto di mettere in scena “l’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett da lui diretto ed io, d’istinto, ho detto di si. Da lì, grazie a Todesco, è iniziato il mio percorso artistico. E’ un percorso un po’ zen, dove non si cerca il consenso ma la verità. Non ho sentito l’urgenza di intraprendere la carriera artistica, preferisco essere libero da qualsiasi condizionamento. Per campare faccio l’erborista, una bellissima professione. Da dieci anni ogni anno metto in scena un monologo. Negli ultimi anni miei testi piuttosto autobiografici. La prima messa in scena è di solito anche l’ultima. La rappresentazione come ripetizione esula dai miei interessi. Memorie di un ex monaco è stato rappresentato l’ultima estate all’interno di un trullo in Puglia. Un uomo su una sedia racconta e tace (talvolta le pause raccontano più delle parole). Addetti ai lavori apprezzano le rappresentazioni. Quest’anno hanno assistito Marco Baliani, Marco Bechis e Carlo Formigoni.chi, di quelli che conoscevi negli anni 70 ha fatto carriera, dentro il movimento e nel mondo?Non mi risulta si faccia carriera in CL, esistono responsabilità che dovrebbero essere vissute come servizio. I nomi non mi interessano, mi sa di gossip e qui stiamo parlando di faccende terribilmente importanti.come vengono "scelti" i memores che fanno carriera o acquisiscono posizioni di visibilità nel movimento (es. formigoni, lupi, ecc)?Ai miei tempi per capacità e competenze specifiche, suppongo sia ancora così.c'era un indirizzamento politico?L’anticomunismo a tutti i costi.come si diventa capo della casa dei memores?Per una valutazione del Direttivo che applica criteri che francamente ignoro.chi era il ragioniere priore con conto segreto a vaduz? Lo si può leggere su “Repubblica” Inchiesta Oil for food. credi che la tua esperienza sia isolata?Si. Ci vogliono le palle per emanciparsi da costrizioni del genere.quali erano gli umori della casa e la vita con gli altri memores?Un gruppo di uomini che non si sono scelti ma che vivono tutti i giorni insieme, rinunciando al sesso e alla paternità. Che accettano una assoluta dipendenza ontologica da un altro uomo, un superiore che gli rappresenta cristo stesso, che si traduce nel chiedergli sistematicamente “posso?” anche su scelte o dettagli insignificanti. Che danno i soldi del proprio lavoro al gruppo. O cristo esiste davvero e ti dona una struttura affettivo ormonale dell’altro mondo o impazzisci. Io stavo male. Anche se l’essere aggiornato riguardo il bollettino medico degli attuali Memores non è, al momento, mia urgenza esistenziale, ho ricevuto numerose mail di appartenenti a CL che mi rassicurano: le cose stanno diversamente da quanto avevo testimoniato di me stesso e garantiscono che tutti stanno piuttosto bene. perché andato via?Un malessere profondo, financo fisico nel tradire la mia natura, direi la mia vocazione di uomo.conosciuto don Giussani?In "memorie di un ex monaco" racconto una micro storia personale, sullo sfondo si scorge il contesto sociale milanese degli anni '70 di cui voglio fare cenno per spiegare come funzionavano le cose e il mio rapporto personale con Don Giussani. Il materialismo ateo, così si chiamava tutto quello che non riconosceva cristo e la sua chiesa come centro della storia, era piuttosto dilagante a tutti i livelli. Ripensandoci oggi all'interno di questa galassia eterogenea era presente, insieme ad una minoranza ideologicamente miope e violenta, un umanesimo onesto e profondo. Don Giussani non la vedeva così e col suo temperamento focoso ha fatto fronte all'emergenza drasticamente. La casa brucia, diceva, anzi urlava. E se la casa bruciava mica si poteva andare per il sottile, mica si poteva dialogare con i presunti piromani, mica si potevano aspettare le indicazioni di un magistero ecclesiale dormiente e tiepido. Urgeva che l'avvenimento chiesa potesse sopravvivere fuori dalle sagrestie, che non fosse relegato a dimensione intimistica ma presente e protagonista assoluto nella storia e nella società a qualsiasi costo, anche quello di utilizzare il bisogno di senso esistenziale di ragazzi sensibili per farli diventare, a fin di bene, militanti obbedienti per la nobil causa. Dinamica accaduta, con le debite proporzioni, anche nella sinistra estrema con conseguenze nefaste. Don Giussani, con la bontà nel cuore, ha fatto questo. Occorreva agire con urgenza. Non si poteva star lì a perdere tempo nel rispettare la sensibilità del singolo che entrava nel movimento, nell'accoglierlo così come era, con la sua personalità e espressioni. Serviva manovalanza attiva per spegnere l'incendio, così siccome il fine giustificava i mezzi questi ragazzi sono stati programmati all'obbedienza militante me compreso. Io mi ero innamorato di Don Giussani, come si innamorano gli adolescenti sani ad una proposta forte e totalizzante. Ancora oggi se leggo alcuni suoi interventi li avverto condivisibili e coinvolgenti. Ma proprio obbedendo a quelle parole affascinanti mi sono ritrovato nel supplizio dell’obbedienza. Cercavo un senso esistenziale e mi sono ritrovato a distribuire volantini contro il divorzio, ad obbedire a persone che mai avrei frequentato, a dare tutto me stesso per appoggiare la campagna elettorale di tizio e caio che nulla centravano con il significato dell'essere, con lo svelarsi del sacro, con i motivi di fondo per cui avevo abbracciato una dedizione totale a dio. Una teoria ineccepibile e affascinante che poi mi conduceva nel quotidiano in un labirinto per me disumano e Don Giussani ne è stato responsabile.qual era il fascino dell'obbedienza?Un fascino teorico ma potente: la possibilità di emanciparsi da se stessi. Un io detronizzato che abbraccia l’Assoluto diventato carne e così, fusi in questa alterità, potersi percepire definitivamente liberi dalla finitudine. Poi di fatto l’obbedienza era di uomini ad altri uomini che, a loro dire, rappresentavano l’Assoluto stesso. Un bell’equivoco. perchè tanti giovani oggi aderiscono al movimento?Se ti arriva la notizia che Colui che ha fatto tutto ha preso un corpo e ti invita a cena sarebbe stupido non accettare.era facile fare proseliti?Quando la proposta è totalizzante e con un pizzico di esaltazione i giovani accorrono. che tipo di incontri "politici e culturali" frequentavate?Incontri nell’ambiente sociale, nella politica e nelle istituzioni a partire dalle indicazioni del Magistero ecclesiastico. No al divorzio. Punire penalmente una donna che abortisce. No al marxismo. No al preservativo. Si alla scuola cattolica sovvenzionata dallo Stato e così via. Quando arrivavano le indicazioni dall’autorità si obbediva nel sostenerle e divulgarle ad oltranza senza grado di dubbio e senza rispetto per la ragioni altrui. Non si considerava se era saggio vietare l’uso del preservativo nel terzo mondo, od era opportuno sanzionare penalmente una donna che abortiva. In quegli anni non esistevano tecniche medicali di rianimazione come le attuali, tanto sofisticate da differire il momento della morte, così potevi congedarti senza chiedere il permesso al vescovo. Non si rifletteva ma si obbediva, in quanto la dottrina sociale dell’autorità ecclesiastica era la volontà di Dio stesso. E Dio ne sapeva sicuramente di più della mia piccola mente. Quindi si obbediva cercando di far proprie le ragioni di fondo che motivavano le indicazioni della Chiesa e se le ragioni non si trovavano si obbediva lo stesso, utilizzando stratagemmi retorici e ogni mezzo disponibile per modificare la società alle direttive avute.come si entrava nei circoli di potere politico in Cl?Non lo so non ci sono mai entrato. Ero un manovale della base.memores mediamente colti? buona istruzione?Si. Le università sono le roccheforti.casa di sofferenti, evidenti problemi di salute.Statisticamente, rispetto alla media italiana, ricordo di si. Io tra questi.quanto tempo rimasto?Tra movimento di CL e monaci una decina d’anni. Proprio quelli della mia formazione umana. Se non sono venuto troppo male forse qualche merito glie lo devo riconoscere.chi esce rimane nel movimento?Nel Memoriale ho scritto: “Andato via una mattina. A freddo. Rapido. Senza preavviso. Dopo una notte un po’ insonne dove, tirando onestamente le somme, ho concluso che la Chiesa e forse anche Dio erano una invenzione umana, una cattiva idea.” Siccome non sono parole di un intellettuale illuminista, si può comprendere quanto sia umanamente devastante una simile esperienza. Comprendo chi va via dal gruppo monastico ma rimane ciellino. Io non sono riuscito, mi sarei sentito disonesto con me stesso, ma comprendo chi sia rimasto. hanno saputo della tua testimonianza pubblicata. come hanno reagito?Prima di pubblicare il memoriale l’ho trasmesso per conoscenza all’attuale responsabile dei Memores, con il quale avevo avuto un buon rapporto. Mi ha risposto parole di vicinanza umana e di augurio spero sincere, che ho apprezzato e che condivido. Per il resto dei messaggi a me personalmente diretti di appartenenti a CL che hanno preferito non esporsi nel blog. Rispettosi, non di rado arguti e a tratti sinceramente vicini al mio percorso umano hanno contribuito ad un confronto costruttivo. Punto contestato è stato come ho descritto l'obbedienza all'autorità. Contenti loro.in che modo questa esperienza ha cambiato il tuo rapporto con la fede?Con la fede non si ha un rapporto. O c’è o non c’è. In Dio quello della rivelazione non ci credo più. Credo in una vocazione umana, in un Destino al quale preferisco non dare nome.
Testamento di un artista
TESTAMENTO DI UN ARTISTAE’ tempo di riconoscere la realtà delle cose così come sono; mondo, società, famiglia, lavoro e corpo fisico nell’infinita pace presente in questo momento.Se ritorno ai primi pensieri di quando ero infante ricordo che ero in pace e non desideravo cambiare perché non avevo obiettivi da raggiungere, ma crescendo mi hanno insegnato che dovevo essere diverso da ciò che ero, al fine di raggiungere un ipotetico meglio. L’idea di una realtà trascendente o comunque superiore, oppure semplicemente diversa per sé e per tutti, è un’innaturale invenzione dell’uomo, un condizionamento sociale. Il virus del duale, cioè del giudicare, confrontare e paragonare, mi aveva infettato pertanto, già da adolescente mi chiedevo: “si cresce, si studia, poi si lavora e ci si sposa e poi si muore. Possibile che sia tutto qui?” La questione che mi ponevo non nasceva spontanea, ma suggerita da palesi e subliminali condizionamenti che hanno trovato virulento sviluppo grazie al favorevole substrato di coltura geneticamente ereditato. Biologicamente e socialmente condizionato ho allora tentato di emanciparmi da questo “tutto qui?” creandomi solo guai, smarrendo un rapporto di armonia con me stesso e le cose che mi circondavano. Quanto è invece ricco e completo quel “tutto qui” che comprende il semplice senso di essere che genera la realtà oggettiva e come si sono rivelate goffe, artificiose ed inutilmente dolorose le tensioni ideali per sfuggirlo. Ora accetto l’evidenza che non c'è niente, proprio niente, che possa fare per sperimentare una realtà diversa, superiore o trascendente, eccetto la realtà inconfutabile che esisto e della biografia come si è imposta. Le cose come si sono imposte sono che per campare ho la necessità lavorare. L’unica iniziativa ed impegno sono quindi riservati al livello primario e pratico dell’esistere, constatato che nel caso non si abbia nessun aiuto esterno, si dovrà prendere iniziativa, come faccio ogni giorno per tutto il giorno, lavorando per sostentarmi, ma per il significato dell’esistere e quindi artistico reputo inutile e dannoso attivarmi.Osserviamo le comunità ancestrali o tribali oppure i miserabili del mondo, si impegnano per mangiare e scaldarsi e questo gli basta. Possono anche vivere tensioni ideali o religiose, magiche o superstiziose, ma sempre funzionali al soddisfacimento dei bisogni primari: la richiesta di un buon raccolto, di acqua e di fertilità. La patologica ricerca di senso e significato è invece bizzarra peculiarità di chi ha la pancia piena e si annoia, oppure è angosciato dai sensi di colpa o di vendetta.Esiste atteggiamento più intimamente sano e socialmente sovversivo di far cessare il desiderio di voler essere diversi da ciò che siamo? Esiste forse di meglio dell’abbandonare il traguardo che ci siamo preposti, la meta che abbiamo irragionevolmente accettato di raggiungere e che abbiamo accettato come desiderabile? Non è nichilismo ma una minaccia esistenziale per chi cerca quella cosa ridicola ed inesistente chiamata realizzazione. Paradossalmente manchiamo l'obiettivo della “realtà ultima” -chiamiamola così anche se in questi termini non esiste- proprio a causa della volontà di comprenderla e raggiungerla. La tensione ideale, in verità, è lo stratagemma che usiamo per sfuggirla e per rendere permanente il nostro io. Patetico gioco di auto- perpetuazione.Alla fine le tecniche, i sistemi e i metodi che stiamo usando per raggiungere l’obiettivo di emancipazione personale o di assenza di ego, o di laica realizzazione idealistica, sono tutti prettamente egoistici, compreso questo scritto, che nell’esprimersi tradisce quanto afferma.Tutti i valori che noi accettiamo e coltiviamo, sono inventati dalla mente umana per auto-mantenersi, auto-perpetuarsi. Il fatto di avere un obbiettivo è ciò che ci rende possibile continuare, ma in questa tensione non otterremo proprio nulla.Quanto ho artisticamente realizzato o l’ipotetico prossimo evento non serviranno a nulla nella fase di gestazione e realizzazione, se non un accumulo di tensione ed il conseguente rapido e circoscritto stato euforico sperimentabile dopo la rappresentazione, dovuto fondamentalmente al cessare improvviso della tensione accumulata, e mi sarà sicuramente dannoso nella fase di post-produzione. Post-produzione che brutto termine, ma la chiamano così , come nei prodotti industriali realizzati in serie in catena di montaggio.La speranza che un giorno, casualmente od impegnandoci oppure attraverso l'aiuto di qualcuno, potremo raggiungere la meta è ciò che ci tiene in movimento, ma di fatto non otterremo nulla.Ho realizzato in qualche modo, durante questo percorso, che qualsiasi cosa stia facendo non mi conduce da nessuna parte. Dannoso provare altri sistemi, una ricerca inutile e senza risposta geneticamente indotta e ereditata da migliaia di anni di sforzi e di volontà ad un solo scopo: puro intrattenimento per dare un senso alla esistenza che invece non ce l’ha, essendo essa stessa il significato. Non abbiamo via di uscita perché anche la volontà di abbandonare lo sforzo è ancora sforzo. Uno stato senza sforzo è la totale assenza di volontà e di sforzo, di ogni tipo e sempre, è qualche cosa che evidentemente non può essere raggiunto attraverso un atto volitivo.Ne consegue che ciò che ho realizzato artisticamente ha un solo significato: l’aver compreso che il lavoro svolto è assolutamente privo di senso. Posso cambiare le tecniche, posso cambiare i maestri, ma di fatto gli insegnamenti che uso e l’impegno che alimento per raggiungere la meta sono essi stessi l'ostacolo per raggiungerla.La vera comprensione è l'assenza della richiesta di comprendere. Nel presente non c'è necessità di comprensione. La comprensione è sempre proiettata nel futuro. Nell'istante attuale non ho necessità di comprendere.Accetto di essere una persona normale, ordinaria.Alla fine, nell’esistenza e nell’arte l'unica possibilità che abbiamo di enunciare un pensiero che sia davvero nostro è, per forza di cose, solo apparente, perché lo possiamo ottenere unicamente attraverso la manipolazione dei pensieri che esistono già. Esattamente come quando, mescolando colori differenti, creiamo migliaia di altri colori, ma in pratica quelle migliaia di colori possono essere riportati ai sette colori principali presenti in natura. Poi queste rielaborazioni le chiamiamo idee, genio, sensibilità o intuizione. Tutta l’arte è assemblaggio di fotocopie.Coraggio. Occorre solo il coraggio della sempicità per essere qui ed ora, inevitabilmente e realmente soli, nella verità delle cose così come sono, senza i compromessi che inducono la necessità, pur nella consapevolezza del non senso, di fare, di fare e di fare ancora. Questo Vuoto mi sarà di conforto e non mi potrà incenerire se lo guardo in faccia. bruno vergani
novella Il Fungo
Anni '80 Argentina. Una famiglia torna a casa dalle vacanze estive. Padre, madre e la figlia di tre anni percorrono in auto i quattrocento chilometri di rettilineo che congiungono Mar del Plata a Buenos Aires. La bambina piange, serve una sosta. Seduti ai bordi della strada, mangiano qualcosa. Ammirano la pianura sconfinata. E' tornato il sereno dopo il temporale del giorno prima. Migliaia di piccoli funghi, cresciuti nella notte tappezzano i campi. Ripartono. La bambina vomita. Diventa fredda. Si fermano nel primo paesino. Il medico condotto li rassicura, non è niente. La madre racconta dei funghi, ma il medico garantisce che i funghi di quelle parti non sono velenosi. Arrivano a Buenos Aires. La bambina è in coma. Diagnosi avvelenamento acuto da Amanita phalloides. Serve un trapianto di fegato. La madre è compatibile. Asportano una sezione di fegato alla madre per impiantarla alla figlia, ma la bambina muore durante l'intervento. La madre è colpita da una infezione post operatoria e muore dopo una settimana. Il marito fa causa al medico condotto. Il perito botanico conferma che i funghi presenti nell'area studiata non sono velenosi, trattasi prevalentemente di Amanita caesarea e la possibilità di incontrare Amanita phalloides sono una su cento milioni. Assolto.bruno vergani
memorie di un ex monaco TESTO COMPLETO
novella Il Musicista
IL MUSICISTAdi bruno verganiPeriferia di Milano. Luigi ha dodici anni e suona il pianoforte. Da grande vuol fare il musicista ma il padre lo vuole ragioniere. Luigi non ci sta sceglie il liceo classico, poi si iscrive al conservatorio di Milano e si diploma a pieni voti in composizione. Trova impiego precario come esperto musicale in scuole elementari. Due ore il martedì a Seregno, tre ore il mercoledì a Busto Arsizio e tre ore il giovedì a Saronno. Quanto guadagna lo spende in benzina, ma non si scoraggia perché da tempo ha presentato domanda di assunzione a una cinquantina di conservatori e prima o poi qualcuno lo chiamerà. Nell'attesa, siccome la fidanzata vorrebbe sposarlo e metter su famiglia costa, nei giorni liberi dall'insegnamento musicale lavora nel piccolo studio di consulenza del lavoro del padre, e si diploma ragioniere in una scuola serale.Finalmente la musica, quella seria, lo chiama. Conservatorio di Cagliari. Sei ore di supplenza a settimana per l'intero anno accademico distribuiti in tre giorni. Sperava di più, ma così può continuare il suo lavoro nello studio del padre e risparmiare per il matrimonio. Il volo settimanale Milano Cagliari gli costa esattamente quanto guadagna al conservatorio, ma non molla. E' fiducioso che vadano a buon fine la richiesta di trasferimento che ha presentato al conservatorio di Milano e specialmente quella recente domanda al Ministero della educazione, dove chiedeva di essere trasferito in qualsiasi conservatorio purché più vicino a casa. Allegro ma non troppo Luigi si sposa e arriva il primo figlio, il trasferimento no. Continua a fare il ragioniere e il pendolare della musica, finché dopo quattro anni arriva una raccomandata dal Ministero. E' il trasferimento: da Cagliari a Sassari. Eh si, la burocrazia è infallibile, in linea d'aria Sassari è più vicina a Milano. Peccato che a Sassari non c'è l'aeroporto. Luigi ha quarant'anni ma non demorde. Ogni settimana prende l'aereo e percorre, con un'auto a noleggio, i duecentotrenta chilometri che separano l'aeroporto di Cagliari dal conservatorio di Sassari. Spende più di quanto guadagna da quelle supplenze, che però gli alzano il punteggio che forse gli faciliterà l'assunzione al conservatorio di Milano. Fa prima a morire il padre che ad arrivare il trasferimento a Milano e Luigi, siccome deve campare, rinuncia alla musica per dedicarsi a tempo pieno a salari, paghe e contributi. Ma c'è un problema. Non è iscritto all'Albo dei consulenti del lavoro e senza iscrizione non può esercitare. Per essere abilitato, non basta essere figlio di chi ha già svolto la professione, occorre superare degli esami in regione. Si iscrive per la prova scritta in compagnia di milleduecento aspiranti che ambiscono ad ottenere le centocinquanta licenze annue che la regione Lombardia concede. Bocciato. Riprova, bocciato. Ritenta bocciato. Sono passati tre anni e Luigi per mantenere la famiglia lavora come dipendente in un altro studio. Si ripresenta all'esame per la quarta volta. Risponde meglio di tutti, ma viene classificato non idoneo. Tutto da rifare. Però nei corridoi della sede d'esame girano voci che in alcune regioni italiane, specialmente al sud, i candidati non sono così numerosi e forse è possibile superare gli esami. Ma come fare? Per sostenere l'esame di abilitazione occorre legalmente risiedere nella regione sede degli esami e Luigi non può lasciare famiglia e lavoro per trasferirsi in meridione. Però al sud conosce qualcuno. Giuseppe, non ricorda se Riccardi o Ricciardi il suo compagno di banco delle medie, quello originario di un paese dal nome che non si dimentica, Acquaviva delle Fonti in provincia di Bari. Sono quarant'anni che non sente l'amico, ma sa che è ritornato dove era nato. Nell'elenco telefonico della provincia di Bari Acquaviva delle Fonti c'è per davvero e ci sono anche sei Giuseppe Riccardi, ma nessun Ricciardi. Chiama il primo della lista e gli risponde il compagno di banco in persona. Luigi spiega e Giuseppe ascolta senza mai parlare, poi dice tre parole: non ti preoccupare. Luigi non sa come, ma senza far nulla e senza mai essere stato in Puglia dopo cinque giorni risulta residente nel barese e immediatamente convocato dalla regione Puglia per sostenere gli esami di consulente al lavoro. Miracoli del sud. Si presenta. Idoneo. Adesso Luigi fa il consulente del lavoro nello studio che era di suo padre. In paese i clienti rimpiangono il papà, lui si era un lavoratore non come il figlio che alle cinque del pomeriggio ha già chiuso lo studio. A quell'ora di ogni giorno Luigi è nella palestra della scuola per le prove del coro parrocchiale. Pezzi polifonici scritti da lui, con alcuni passaggi riadattati e semplificati perché riesca a cantarli l'unico tenore di cui dispone, il portalettere del paese.
video ENTRONAUTA note di regia
Sinossi : Bari luglio 1999. Un corpo in un appartamento. Stava lì mummificato da dieci anni, ma nessuno si era accorto di vivere vicino ad una mummia.La notizia di cronaca conduce il protagonista ad indagare sul significato ultimo dell’esistenza. "Entronauta" note di regia di bruno verganiSettembre 2001 Turchia. L'amica Isabella Di Soragna adocchia in una camera d'albergo una vecchia pagina di Panorama. Legge e la conserva. Al ritorno nella sua casa in Svizzera mi invia il soggetto dell'articolo:Vito Carella, l'uomo che fu trovato morto dopo cinque anni - per la sua vita 'insignificante' .Isabella aggiunge "per me con un valore immenso !" Non comprendo più di tanto, ma spinto dalla stima per Isa ed intrigato dalla strana storia sospendo i consueti impegni quotidiani per affrettarmi nella ricerca in Internet. Pochi secondi e dall'universo WEB appare il testo integrale. Racconta della scoperta avvenuta a Bari nel luglio del 1999 di un corpo in un appartamento. Stava lì mummificato da cinque anni, forse dieci. Ma nessuno si era accorto di vivere vicino a una mummia. Evidente lo squallore delle nostre città, dei palazzi, dei nostri sguardi egoisticamente assenti che scivolano distrattamente su una vita o una morte.Prendo parte allo sdegno, ma subito mi fermo perplesso. Vito Carella non voleva essere cercato, guardato o catalogato all'anagrafe. Forse per lui questa rarefazione é stata una libera scelta. Non ha inscenato drammi come quella ragazza di 26 anni di Seattle, Stato di Washington, che voleva suicidarsi, buttandosi giù da un ponte, ma non ne aveva il coraggio. Quattro ore è rimasta sulla spalletta del ponte, dritta in piedi, tremando e piangendo. La polizia non sapeva come fermarla, aveva bloccato il traffico, incanalando le auto su una sola corsia. Ebbene: i guidatori di queste auto, rallentate dalla suicida, imprecavano: "E buttati subito, falla finita, ma lasciaci passare". La stessa polizia dice di aver provato vergogna. Dopo quattro ore la ragazza s'è scagliata giù, quaranta metri di volo. Ossa, braccia, gambe rotte; è in coma, non si sa se vivrà. Per Vito è invece un'altra storia. E' stato proprio lui a voler vivere e morire così, per niente avrebbe voluto zelanti assistenti sociali a sorreggerlo o i parenti ad infastidirlo.Non procurava molestia alcuna per questo nessuno desiderava escluderlo o ghettizzarlo. E' stato lui a scegliere di diventare invisibile.Questo suo morire da vivo non è evidentemente sanabile esortandoci a diventare più solidali. Neppure biasimare il contesto sociale risponde al giudizio che da quella salma si diffonde implacabile, come il suo puzzo, su tutti noi.Il caso esige risposte radicali e intimamente sovversive.L'omino di Bari altro che emarginato, l'assenza da vivo, consapevolmente e volutamente abbracciata, rievoca un monaco Zen e per questo la sua icona da morto attualizza miti ancestrali. Soli di fronte al Destino è un fatto che ci riguarda.Lui al pari di un Saniasi indiano ha preferito non accettare l'appagamento dei desideri che strappati al mondo sono appena simile all'elemosina, che oggi tiene in vita il mendico perché domani ancor soffra la fame. La sua rassegnazione somiglia invece alla proprietà ereditata, che libera per sempre il possessore da tutte le angustie.In lui la volontà appare allora libera, ma la sua condotta diviene opposta al comportamento comune.la negazione della volontà di vivere, la quale è quel che si chiama rassegnazione completa o santità, proviene sempre dal quietivo della volontà, ossia dalla cognizione dell'intimo dissidio a questa inerente, e della sua essenziale vanità, che si manifestano nei dolori d'ogni essere vivente.Alla fine l'Icona del destino era là mummificata nell'appartamento a fianco il nostro, contigua al televisore e all'impianto stereo a tutto volume. Separata soltanto da un'esile parete divisoria in tufo di venti centimetri. Stabile ed impassibile nell'osservare le nostre frenesie umane.Vito ha realizzato la sua vocazione da vivo e da morto: una cerimonia in chiesa, un loculo al cimitero? No grazie preferirei di no. Non accetto d'essere anche in questo omologato, teneteveli per voi i riti pacificatori. Io il destino ve lo butto in faccia spoglio da mediazioni consolatorie. Vito era come una telecamera che ti osserva senza giudicare, che testimoniava del reale, senza commenti, pareri ed opinioni. In fondo lui esisteva eternamente nell'assenza di vita, che si è trasformata fluidamente in morte, in eterna scomparsa. La sua puzza in decomposizione é stato l'unico contatto temporale col mondo. Il suo modo di parlare. Paradossalmente, la natura l'ha beffato, restituendogli prepotente presenza anonima in quel tanfo senza nome. Si è inabissato nella materia.In vita era impersonalmente consapevole, senza alcun senso di giustificazione, potrebbe apparire piuttosto negativo, ma non è negativo. Dopo tutto se vogliamo comprendere qualcosa dobbiamo avere un atteggiamento passivo. Non possiamo mantenere il pensiero fisso su di un problema speculando e analizzando.Dobbiamo essere abbastanza sensibili da percepirne il contenuto, come una pellicola fotografica.In questa dinamica Carella ha rifiutato le relazioni umane. Relazione non è però sinonimo d'integrazione. Un monaco solo nel deserto verosimilmente è in relazione col tutto più di un pendolare milanese nella calca del metro. Il desiderio volontario di sparire da vivi, inteso come rifiuto d'integrazione sociale, è più diffuso e desiderato di quanto appaia. "No grazie preferirei di no" si può attuare in mille modi, dall'uso di sostanze psicotrope al rinchiudersi in un monastero di clausura a sparire nel virtuale. Grazie ad Internet non si esce da casa neppure per fare la spesa: si puo' fare anche quella nella rete. E nel simulmondo c'e' tutto quello che serve, a dannatissima portata di mano: le donne (gli uomini), le informazioni, il gioco, le immagini. E Il tempo passa in fretta e senza troppa noia. E non ci sono caldo e freddo, bellezza e bruttezza, lavoro e sudore, pioggia o bel tempo. Le migliori menti della nostra societa' occidentale hanno deciso di sparire.Nauseate da quello che chiamiamo mondo reale non hanno più voglia di cercare di cambiarlo come succedeva negli anni sessanta. Semplicemente lo ignorano. Il mondo "reale" per loro non c'e' più. Idoneo alla sparizione da questo mondo anche il DMT l'ultima novità nel campo degli allucinogeni. Dicono sia pericoloso solo se hai paura di morire per lo stupore. La sostanza non sembra influire sulla mente. In altre parole, non cambi, non diventi una persona più gentile, né ti perdi nel filo di saliva che ti scende dall’angolo della bocca mentre te ne stai seduto. Tu non cambi. E’ il mondo che viene completamente sostituito istantaneamente. Virtuale e sostanze psicotrope procurano, in ogni caso, sparizioni soggettive. Ti credi sparito, ma intanto tutti ti osservano. Sparizioni volontarie oggettive, anche nella forma, si possono invece attuare ritirandosi in un convento di clausura scegliendo la povertà come opzione di libertà da cupidigie, accumuli ed egoismi. Quanto minore è la quantità di possesso e compagnia, tanto maggiore si staglia l'autenticità della personale identità.Ma anche in questa ipotesi rimarrà ancora qualche parente a casa che ti pensa e un po' d'amici che, da lontano, ti ammirano. Per di più, anche nella clausura più estrema, vivrai all'interno di regole e ambiti comunitari.L'abilità geniale ed acuta di Carella, rispetto alle prassi consuete di rarefazione volontaria passiva, appare dunque evidente. Lui se n' é andato rimanendo. Senza ingurgitare molecole psicotrope, scansando computer, eludendo voti di castità. Dissolvendosi nella sua Bari, senza nemmeno cambiare domicilio. Opera davvero intricata trasformare un appartamento barese in un palco beckettiano, com'è possibile attuare "tecnicamente" l'impresa?Per prima cosa occorre essere percepito dagli altri come soggetto del tutto integrato, "normale" che per la società odierna significa non essere causa di seccatura alcuna.Il pregiudicato, il tossico, l'omosessuale o semplicemente il malato o il povero lercio seminerebbero innumerevoli indizi, promuovendo una potenziale diffidenza, che è poi una forma d'attenzione.E' probabile che se al primo piano di Via Ravanas fosse abitato, invece di Vito, un drogato noto scippatore, nonché ricoverato un paio di volte per overdose nel vicino ospedale, ebbene, in tal caso sarebbero stati sufficienti pochi giorni, forse ore, d'assenza per scatenare tutto lo zelo civico dei condomini con conseguente arrivo fulmineo di un paio d'assordanti volanti, seguito da repentino scardinamento della porta dell'appartamento per mano di energumeni vigili del fuoco.Una volta attuato il progetto di mimetismo sociale, opera alla quale Vito a consacrato accuratamente numerosi anni di accanito impegno, occorre poi impegnarsi nella relazioni umane, quel tanto che basta per sopravvivere. Approcci rigorosamente strumentali, come parlare al fruttivendolo soltanto per acquistare mele. Contatti rapidi ma non nevrotici. Bisogna dar l'impressione che si avrebbe piacere di soffermarsi, ma che non ci si può attardare a causa d'impegni urgenti ed improcrastinabili. Opera inattuabile in ambiente rurale, agevole in quello urbano. "Spiacente ma preferirei di no, devo andare, mi sono successe alcune cose" e gentilmente si dileguava com' era venuto.Poste le colonne del mimetismo sociale e dell'evitare relazioni intime ora occorre vedersela con i bisogni primari. Carella ha avuto la strada spianata: una piccola rendita e l'appartamento avuti in eredità.Ultimo passo la burocrazia. Soluzione: annientare il superfluo. Banditi telefono, TV, conto corrente, pensione, riscaldamento centralizzato. Stringi, stringi e ti resta l'energia elettrica e l'acquedotto che paghi in contante alla posta, prelevando le banconote arrotolate dal barattolo del caffè. Rimarrebbe ancora la dichiarazione dei redditi relativa alla rendita catastale, (l'ICI probabilmente non era ancora in vigore quando Carella era in vita) una cifra irrisoria, che Vito verosimilmente non ha mai versato e la cui pratica si è evidentemente dileguata nei meandri della burocrazia barese. A quel punto si tratta solo di mettere in atto qualche piccola attenzione, evitando di sporcare i pochi gradini ed il pianerottolo in modo che la vicina pulisca senza lamentarsi. Togliendo il nome dalla propria casella postale condominiale per offrirla al vicino, tanto poi se arrivasse della corrispondenza il postino la infilerebbe sotto la porta.Tutto è compiuto. Ora puoi lasciarti crepare. Allorquando, perché cadavere, non pagherai l'energia elettrica, dopo il primo avviso d'insoluto riposto sotto la porta, arriveranno i tecnici dell'Enel, suoneranno due, forse tre, volte e poi taglieranno i fili. Eccellente; la tenue lampadina dimenticata accesa nel bagno e visibile nottetempo dalla strada non desterà mai più attenzione e sospetto alcuno. Stessa sorte per l'allacciamento idrico. Chiuderanno il rubinetto.Ed i vicini? Disinvolti penseranno, per un momento e con indifferenza, che ti sei trasferito.Poi i fetori. Siamo realisti, come almanaccare che originino da cadavere umano? Il sipario si chiude e l'unico commento adeguato rimane il silenzio.Non sappiamo se Vito abbia trascorso un'esistenza serena. E' plausibile visto che non si attardava in accanimenti, rabbie e lamenti.Troppo comodo? La quiete consapevole di Vito nulla ha che fare con un atteggiamento tranquillo e l'ignavia.Si avvicina piuttosto alla consapevolezza passiva degli eretici quietisti. Nel panorama spirituale secentesco, permeato per un verso dalla necessità di ravvivare il sentire religioso, per un altro da accese controversie intellettuali coinvolgenti i piani della morale, della dottrina e della teologia, s'inserì, con peculiarità diverse dagli altri movimenti filosofico-religiosi, il Quietismo. Sulla scia del risveglio mistico dei secoli precedenti riemerse un’antica forma di preghiera, l’orazione mentale od orazione in quiete, che divenne il valore centrale e peculiare della pratica quietista. Insegnavano il raggiungimento della perfezione cristiana al di fuori di atti esterni. Affidando a Dio incondizionatamente la propria volontà, il devoto rimaneva in attesa che la Grazia avesse operato e si fosse sostituita a qualsiasi sua iniziativa. Ora domandiamoci, per quale ragione questa rarefazione in vita ed in morte di Carella non ci lascia indifferenti?Impossibile passare indenni da quanto accaduto. La storia inaspettatamente ci coinvolge. Di fronte a quella mummia assomigliamo a quanto leggenda e storia raccontano del Che Guevara. Abbiamo nel profondo la medesima espressione smarrita degli ufficiali che lo attorniano nella scuola dove è stato ucciso, non si legge quell'aria d'indifferenza, tipica dei cacciatori di taglie che hanno abbattuto la loro preda. Quel giovane argentino, bello anche da morto, che si era addossato il dramma umano, rendeva tutti consapevoli della propria miseria e risvegliava le coscienze inaridite.Così, suo malgrado, anche per Vito. Eroe passivo che invita a guardare la nostra esistenza per quello che é. Esorta a lasciare le innumerevoli credenze con le quali ci identifichiamo e ci teniamo insieme. Gli ideali, i valori, le religioni, intrattenimenti che ostacolano la comprensione di noi stessi. Ogni credenza è espressione del bisogno di sicurezza interiore, di punti fermi di fronte all'evidente precarietà ed assurdità dell'esistenza. Fa sgomento rinnegarli. Cosa rimarrebbe se smettessimo di credere in qualcosa? Rimarrebbe quello che é. La consapevolezza d'essere vivi ma senza identificazione alcuna, neppure con noi stessi. Non più identificati con il corpo-mente, non più vulnerabili alla sofferenza e al dolore. Fuori dalla mente c'è soltanto l'Essere, non l'essere uomo o donna, padre o figlio, questo o quello.Oltre lo spazio tempo, in contatto con loro solo nel punto del qui e ora, ma altrimenti oltre il tempo, oltre lo spazio, invulnerabili da qualunque esperienza. Si potrebbe far presente che Carella poco ha a che fare con i temi dell'essere e non essere. Si potrebbe vederlo come un povero malato di quell'antica inerzia depositata nella profondità dei retaggi di specie, che Freud ha chiamato pulsione di morte (thanatos). In psicoanalisi, a partire dallo scritto di Freud, si è definita pulsione di morte la tendenza fondamentale di un essere vivente a ritornare allo stato inorganico. Si tratterebbe di una forza che tende alla riduzione completa delle tensioni e ad uno stato di quiete totale. La pulsione di morte esprime altresì la tendenza inconscia e coattiva - si ripete incessantemente sotto la spinta di una coazione (coazione a ripetere) - a conservare, a non perdere, a non modificare alcunché; opponendosi alle pulsioni di vita, essa tende a realizzare una condizione di totale fissità, un'immobilità simile a quella della materia non vivente (stato inorganico della materia). Vito può essere anche questo. Dipende da come noi guardiamo, deriva dall'angolo di visuale. Dipende da quanto abbiamo la fermezza di fissare intensamente quella mummia come pura immagine o se preferiamo cedere al procedimento argomentativo. Secondo Graves, la poesia -come noi la conosciamo- sarebbe una immagine estremamente sbiadita di antichi linguaggi che s'imponevano per la loro capacità di convincere. E questo perché non facevano ricorso alla metafora né al procedimento dimostrativo, ma si presentavano come pura immagine. Solo grazie a questo un linguaggio poetico primordiale diventiamo capaci di vedere. Ritornando con la memoria al primo ricordo, alla prima esperienza di questa nostra esistenza quanto è cambiato in noi. Un solo fondamento è rimasto immutato. Il senso di essere. In questo istante so che sono vivo come lo sapevo da adolescente e da infante. Questo "sapere" immediato e spontaneo di essere è il linguaggio poetico primordiale che ci permette con mente silente di vedere. La storia di Vito è una tela immacolata che ognuno può colorare come sceglie. E' uno specchio terso che ci riflette. Agli opposti estremi, si confrontano differenti ipotesi: Carella fu un monaco Zen oppure fu vittima della pulsione verso l'inorganico, od olocausto di una società impietosa? Che ciascuno risponda.