BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Sabato, 09 Ottobre 2010 18:52

Mutazione antropologica*

 

Una conoscente mi riferisce: “Mia cognato l’altra settimana si è buttato sotto il treno”. Poi aggiunge soddisfatta: “L’hanno detto alla televisione”. Anche per loro, famiglia anonima di provincia, è arrivato il momento di notorietà: dieci secondi nel TG locale dove hanno pronunciato il loro cognome. E’ stata dura ma adesso esistono anche loro.*"Mutazione antopologica" formulazione originale di Pasolini. Fenomeno omologante e tragico che consiste nella distruzione, attraverso i media e la televisione, di ogni carattere spirituale e dignità umana dell’individuo.

Pubblicato in Filosofia di strada
Martedì, 28 Settembre 2010 09:28

Ancora... Ancora... Ancora!

 

 Samuel Beckett nel monologo “ Rockaby” (nella versione italiana “Dondolo”) ha messo in scena una donna adagiata su una sedia a dondolo. E’ vestita di nero ed è lì lì per schiattare, ma non si arrende. Una voce fuori campo narra una storia, la sua storia e la sedia dondola. Quando la voce cessa, la sedia si ferma e la luce si abbassa quasi per spegnersi, a quel punto la donna implora: "Ancora"; la luce ritorna e la voce col dondolio riprendono. Così per più volte, poi la voce fuori campo tace. Il dondolio cessa. Buio.I bambini vogliono che il gioco continui e che la fiaba sia ripetuta, gli amanti che l’amplesso perduri e sia replicato e gli imprenditori sono spinti da impulso irrefrenabile a continuare sempre oltre gli obiettivi prefissati per superarsi in eterno. Tipologie di “volere ancora” socialmente accettate e talvolta ammirate.Se invece si eccede nel “volere ancora”, come gli antichi romani che si ficcavano il dito in bocca per svuotarsi lo stomaco e prolungare il piacere della tavola o chi, contemporaneo, fa fuori il patrimonio di famiglia al casinò, oppure è tossicodipendente, l’ostinazione a ripetere è giudicata in tali casi malattia, o peccato e talvolta reato.L’ ostinazione al “volere ancora” assoluto, del monologo beckettiano è la più radicata e diffusa, tuttavia la meno osservata e giudicata; indipendentemente dall’età e dalle condizioni fisiche usualmente si accetta e sottintende che è giusto, lecito e anche doveroso far di tutto per continuare, sempre e comunque, a vivere.Raro che si giudichi virtuoso l’ uomo che “venuto il momento” si apparti sotto ad un cespuglio e muoia rapido senza lagnarsi. Possibilità concessa ai gatti selvatici, per quelli domestici si chiama invece il veterinario per procrastinare ad oltranza l’epilogo. Non sappiamo se il felino, seppur domestico, desideri per davvero vivere ancora, in quanto non possiamo affermare, ma neppure escludere che il gatto lodi, indifferente al nostro amore per lui, un suo Signore per la sua sorella morte corporale (1). Non conosciamo, tuttavia riteniamo che “venuto il momento” non è faccenda che compete al destino, ma nostra. Così, pur consapevoli di perdere la partita, non ci si arrende e si fa di tutto, e anche di più, per tirare avanti e quando la partita è ormai persa si insiste ancora, pur di eternalizzare (2) in qualche maniera la persona. Ancora... Ancora... Ancora! Forse i gatti selvatici ridono di noi e dei nostri Dei e non lo sappiamo.(1) Francesco d’Assisi, Cantico delle Creature "Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale"(2) "La storia del cristianesimo è la necessità del fatto che una fede diventa essa stessa tanto vile e volgare quanto sono le esigenze che con essa si devono soddisfare"Nietzsche “la volontà di potenza” frammento 356

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Mercoledì, 22 Settembre 2010 20:15

Noi che...

 

 E’ sempre accaduto che si guardi al passato,  c’è chi ha raccontato storie di avi, o scritto autobiografie per comprendere chi era e nei momenti difficili è fuggito nostalgicamente indietro alla ricerca di valori dimenticati, per emanciparsi da un presente avvertito sterile e appartenere ad un passato degno, "monumentale" tanto forte e significativo da essere, nel qui e ora, più presente del presente stesso.In questi ultimi giorni il rapporto col passato ha preso invece connotazioni singolari, è in atto un processo di banalizzazione della memoria personale e collettiva che imperversa dai media al quotidiano vivere: “I migliori anni”, dove nei palinsesti televisivi o nella pubblicità di una birra, ma anche nella politica e nell’arte, si va verso un “prima” per rimembrare non tanto cultura, ma climi sociali, modi di vivere e svaghi del recente passato, che si idealizzano e nei quali emozionalmente ci si rifugia. Così la memoria personale e collettiva è ridotta ad un “Noi che ci mancavano sempre quattro figurine per finire l'album Panini”. La bocca parla della pienezza del cuore e se, nel presente, pienezza non c’è si racconta quel che si può e merita di ricordare, succede a sessantenni, a cinquantenni, ma anche a trentenni e non possiamo escludere che, quando si ricorda e racconta il niente, la vecchiaia sia definitivamente arrivata.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Sabato, 11 Settembre 2010 13:59

Professione mariologo

 

 Il tassista che con le sue sgommate riesce a recuperare il ritardo e a non farci perdere l’aereo perché ci siamo addormentati  e l’idraulico che ci spurga l’ingorgo fognario nottetempo, salvando l’inquilino del piano di sotto dai liquami che percolano dal soffitto, sono dei professionisti perché capaci ed esperti nella loro specifica materia, non c’è dubbio. Anche senza mani si può essere professionisti perché competenti in matematica, geografia o ingegneria; figure che, chi di mano, chi di testa, ci permettono di vivere meglio.E il teologo, lo psicoterapeuta e il filosofo sono dei professionisti? E gli artisti? Riteniamo di si; non solo perché esistono le corrispondenti scuole e discipline, ma perché figure professionali che operano in territori complessi, dove sono necessarie competenze specifiche; ma quando queste figure “professionali” mettono il naso nella dimensioni del vivere e del morire, nel significato stesso dell’essere uomini in questo universo, fino a che punto c’è ancora spazio per una scientificità specialistica e professionale?Possiamo osservare che gli uomini di pensiero competenti che si addentrano in queste faccende limite, ad un certo punto, perlomeno i più svegli, cominciano ad avvertire le personali competenze e qualifiche, seppur prestigiose, incongrue al percorso intrapreso, così prendono un po’ di distanza dalla personale professionalità per servirsene come mero strumento, come bussola. Il timone lo prende in mano l’uomo, la sua coscienza, la sua consapevolezza, la sua esperienza per spingersi oltre, là dove la parola arranca e il pensiero vacilla.Altri loro colleghi invece, perlomeno i mediocri, nel visitare le tematiche ultime dell’essere e del vivere, preferiscono percepirsi professionisti a oltranza, gli piace così tanto ritenersi “addetti ai lavori” in cose tanto importanti, da guardare pregiudizialmente, dall’alto in basso, quelli che considerano incompetenti in materia. In questa linea di separazione, da loro posta e difesa, oltre a inquinare direttamente il campo del loro spazio di lavoro che è la vita stessa, autorinunciano alla qualifica che gli spetterebbe per il compito che perseguono, quella di “uomini che cercano”. Preferiscono essere teologi: l’entomologo studia gli scarafaggi e loro Dio. A qualcuno gli scappa di peggio; ad un convegno un monsignore rubicondo aveva una targa davanti al suo immenso ventre con scritto sopra: mariologo. Scena comica, un po’ patetica, ma lui tirava dritto coi sui discorsi, convinto dell’utilità universale della sua specializzazione. Come dargli torto? Lui la sapeva lunga: era un esperto della Madonna. Senza pensiero che sia vita ed esperienza rimangono solo competenze mai originali, anche se in apparenza argute, perché elaborate attraverso la manipolazione di nozioni apprese, come quando mescolando colori differenti creiamo migliaia di altri colori, che possono essere riportati ai sette colori principali esistenti: sempre quelli, nient’altro che quelli.Poi queste rielaborazioni le chiamano idee originali (1), genio e anche intuizione, invece è erudizione e l’erudizione è memoria, assemblaggio di fotocopie indubbiamente utile, ma non indispensabile. La cultura è altra cosa: pensiero che è vita in presa diretta. E’ facile riconoscerla, quando si addentra in territori limite parla poco e sottovoce, poi fa silenzio; è comprensibile quasi a tutti, non annoia; parla sottovoce ma ti entra nel corpo, di solito nella pancia e fa ricircolare il sangue nelle vene.Tuttavia se questo non interessa e si preferisce optare per l’erudizione specialistica chi non crede in Dio, ma vuol essere un erudito sulle cose ultime, si può consolare con la professione di ontologo (2). L’ontologo può tenere agilmente testa al mariologo e talvolta, ma solo in particolari contesti, anche all’idraulico. (1) indicazioni provocatorie di Uppaluri Gopala Krishnamurti, filosofo e conferenziere indiano riguardo il copyright del suo pensiero:“Ognuno è libero di diffondere, interpretare, deformare ciò che dico e anche attribuirsene la paternità senza il mio consenso”.(2) Ontologo è il filosofo specializzato nello studio della struttura dell’essere.

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 07 Settembre 2010 13:15

Riti collettivi

 

 Cinquecento persone nello stesso luogo, nessun pregiudizio di sesso, razza e opinione.  Lì insieme, ognuno per quello che è in intima e collettiva armonia, indifferenti ai ruoli sociali, emancipati da personali opinioni, reciprocamente noncuranti del sapere e del reddito personale.Un  rito collettivo autentico, dove si sperimenta fisicamente di appartenere a un popolo, all’umanità tutta e forse a qualcosa di più grande ancora. Dove ciò che conta è la propria umanità, così insieme ci si espande in silenzio, si va oltre sé stessi senza perdersi e la verità è lì tangibile, proprio perché non la si nomina e possiede. Non era un concerto rock e neppure un comizio a Mirabello, ma l’ultimo saluto ad un amico caro. Ma possibile che oggi per trovare un minimo di qualità del vivere insieme bisogna andare ad un funerale? 

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 25 Agosto 2010 19:44

125 Special

 

 Sulla provinciale che porta al paese mi imbatto in una rarità,  è una Fiat “125 Special” davvero ben tenuta, nonostante sia fuori produzione da alcuni decenni.Va a quaranta all’ora, ma non posso superarla per una serie di curve. Considero: “Sarà di un amatore, appassionato d’auto d’epoca”. Finalmente lo sorpasso e vedo, aggrappato all’enorme volante, un ottantenne; occhiali spessi modello anni ‘70, camicia bianca, panciotto e cappello neri.Non è un appassionato di cimeli ma il primo ed unico proprietario della “125” acquistata a cambiali nel 1971 e finita di pagare nel 1973. Guida rigido, un po’ in mezzo alla strada, mentre guarda il panorama. Dall’interno dall’abitacolo rimane indifferente alle auto che lo superano, per lui il traffico è rimasto agli anni ’70; mentre la vita andava avanti lui si è mummificato, pietrificato,  “cosificato” nel suo cimelio. Il mondo intorno a  lui mutava radicalmente, ma lui da dentro alla sua “125 Special” non se ne accorgeva. Nell’abitacolo sono ancora vivi, insieme a lui, Berlinguer e Almirante; se gira la manovella e tira giù il finestrino puoi sentirne l’odore. Una fotografia in bianco e nero ma in tre dimensioni e che si muove pure, stimola in chi la osserva da fuori un certo “effetto zoo”, ma lui non lo sa, lui ignora il punto di vista esterno, lui è lì fermo dentro il suo perimetro spazio-temporale, lui non conosce cambiamento nel suo circoscritto e immodificabile continuo infinito presente.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 25 Agosto 2010 01:39

Lo immagino così forte che lo vedo

 

 Lontano da casa senza legami di sentimento vago in solitudine.  E’ notte, come una telecamera registro ciò che incontro nella città: discoteche, giovani ubriachi, divertimento. Sono attratto da una strada laterale male illuminata,  a metà via una palazzina di tre piani, all’ultimo una luce accesa. Dietro al vetro smerigliato s’intravede una flebo, ma non si vede il corpo che la riceve. Sull’ingresso dell’edificio c’è scritto: “Santa Maria clinica geriatrica”. Immagino il paziente, lo immagino così forte che lo vedo. Ha novantadue anni, è magro e sdentato, la pelle è color giallo cadavere e ha l’odore del pollo incellofanato del supermercato.  La luce è accesa perché il paziente in giornata si è aggravato e il medico ha detto all’infermiera del turno di notte di dargli, di tanto in tanto, un’occhiata. Lei guarda un telefilm e quando arriva la pubblicità va a vedere se il vecchio è ancora vivo o è morto.Musiche sovrapposte arrivano dai locali mentre la condizione umana è tutta lì, al terzo piano.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Martedì, 24 Agosto 2010 17:23

Padre

 

I miei due i miei figli sono diventati maturi tre anni fa, era scritto sul diploma del liceo che erano maturi.  A loro è andata meglio di me;  mio padre era ricco di cuore ma povero di denari e a quindici anni sono andato a lavorare vicino a dove abitavo, nel profondo nord. Il primo giorno di lavoro mi hanno battezzato, mi hanno cambiato nome, mi hanno chiamato “Cudiu” che in brianzolo vuol dire “porco dio”. “Cudiu ven kì! Caneda de veder descantes!”  che vuol dire: “Porco dio vieni qui, cannetta di vetro sbrigati”. Cannetta di vetro sono i fannulloni che non possono piegare la schiena.  Finito il primo giorno di lavoro mio padre e mia madre mi hanno chiesto:  “Com’è andata?” E io: (col magone)  “bene...”  Mica potevo dirgli che mi avevano cambiato nome e mi chiamavo Cudiu. E così sono andato avanti per  anni, lavorando di giorno e frequentando la scuola serale. No. Mai e poi mai permetterò che i miei figli soffrano così. Grazie a me loro hanno potuto fare il liceo, anzi il liceo classico, col loro nome. Ieri mio figlio doveva laurearsi, ma è rimasto indietro. Ha fatto metà degli esami. Mi ha spiegato che non si trovava nell’ambiente giusto, ma ora cambierà università, perderà qualche credito e costerà di più, ma dice che con solo due anni di ritardo prenderà la laurea triennale. Se tutto va bene in cinque anni farà la laurea triennale. Ho speso un sacco di soldi per il divorzio e la ex moglie come contributo per gli studi dei ragazzi ha dato zero, letteralmente zero. Ho detto ai figli che sono in difficoltà e che quindi devono studiare perché non potrò mantenerli a vita. Suona il telefono Drin... e sento:  “Sei bigolo. Moralmente bigolo”.Era la ex moglie, la madre. Sei bigolo...? Lei è sud americana voleva dire: “Sei piccolo, moralmente piccolo”. Forse ha ragione lei, lo dice anche il Codice che sono bigolo:“L’obbligo dei genitori di mantenere i figli, ex art. 147 e 148 Codice Civile, sussiste per il solo fatto di averli generati...”... Per il solo fatto di averli generati... “... E prescinde da specifica domanda; tale obbligo non cessa automaticamente con la maggiore età od oltre un dato limite della stessa , ma si protrae sino a quando il figlio abbia raggiunto una propria dipendenza economica."Eh si è obbligatorio e si protrae in automatico.... si protrae.... si protrae... si protrae... Fine pena mai? E poi se smetto di pagare di pagare i ragazzi potrebbero smarrirsi, cadere in depressione...  Uno psicoterapeuta mi aveva detto:“Quanto a suo  figlio, mi pare che oggi sia "normale" il ritardo che ha. Lo incoraggi, gli dica "bravo", senza ma e senza però. Non è per nulla facile vivere nella sua generazione. Noi padri possiamo dare solo due cose ai nostri figli: festa gioiosa e conferma incondizionata. Ogni critica che posiamo fare su di loro, i nostri figli se la sono già fatta. Lo incoraggi. Me lo saluti con una bella pacca sulla spalla.”La pacca sulla spalla non glie l’ho data però ho lavato la mia auto, che siccome sono qui in vacanza stanno usando loro, ho buttato via quattro bottiglie di birra vuote; tre sotto il sedile ed una nella tasca della portiera di guida. L’altra settimana ne avevo buttate sei. Birra Corona, la più cara. Ho rifatto anche la frizione. Il meccanico ha sentenziato che qualcuno mentre guida tiene un po’ schiacciato il pedale e così si è bruciata. Forse hanno ragione gli amici, quelli che non hanno avuto figli ma danno consigli ai padri: bisogna essere severi, saper dire di no, metterli in riga. Tutto il ’68 da buttare nella spazzatura. Tutte minchiate contestare la figura del padre padrone... Dovrei fare il vigile urbano che sanziona severo anche le stupidaggini. No. Non non ce la faccio a fare il severo, non mi piacciono i vigili urbani, preferisco immolarmi. Mia figlia è rimasta anche lei indietro... Ha ragione: dalla campagna si è trovata in una città ricca di cultura. La notte va con gli anarchici a strappare i manifesti del PDL . Mi ha detto che la Digos è venuta a prendere uno che abitava con lei... E certo è difficile dare gli esami in quelle condizioni... E poi ogni critica che possiamo fare sui nostri figli se la sono già fatta, vanno incoraggiati con una bella pacca sulla spalla e bonifici per le tasse universitarie e ricariche delle carte di credito. Sulla tomba di mio padre al posto della fotografia ho messo un pianta grassa. Forse meglio una pianta di una faccia. Il custode del cimitero ha spruzzato il diserbante e l’ha seccata. Non cade foglia che dio non voglia: era scritto nel libro dell’esistenza che la pianta doveva morire. Perché opporsi al destino? Io Sto fermo e aspetto. E se mi ammalo proprio per questo? Uno dio straniero mi dice: “Attento a te, se non pensi alla tua realizzazione di uomo ti scoppierà un rene...” Però a me viene proprio spontaneo accettare le circostanze esattamente così come sono, cos'altro posso fare se non accettare la realtà così com’è? Perché dovrei cambiarla?Ieri mio figlio ha tamponato uno; duemila euro di danni, dieci giorni senza auto. Gli ho detto che da subito dovrà andare a lavorare per pagarsi gli studi. Io gli darò la metà di quello che necessita per ancora un anno, al massimo un anno e mezzo. Mi ha risposto con frasi corte, poi con sillabe di vaga approvazione, almeno così mi sembrava. Quando è andato via mi si è gonfiata la pancia... gonfia, sempre più gonfia. Le viscere emettevano gorgoglii che si sentivano anche ad una certa distanza, oltre i quattro metri dalla pancia. Poi diarrea acuta e stanchezza, poi attacco di sinusite dolorosissima... sarà l’umido, il caldo umido di agosto, o un qualche virus? Sono stati gli spiriti spiriti delle regioni celesti che mi hanno fatto venire la diarrea perché sono egoista? Perché voglio pensare a me invece che agli altri?O forse un dio straniero mi fa ammalare il corpo perché devo smetterla di accudire il prossimo per pensare a me stesso? Quando il  fornaio tira fuori il pane dal forno per mantenere la famiglia forse il nostro Dio lo applaude, perché fa tutti i giorni il suo dovere, perché in semplicità obbedisce alle circostanze. Perché mai un dio straniero si vuole intromettere? Da che parte è arrivato? Come si permette? Chi è?

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 24 Agosto 2010 11:17

Misuratori di anime

 

Si può conoscere con precisione lo stato di salute di un corpo? Se l’azotemia raggiunge i 10 mg e non supera i 50 vuol dire che stai bene.Ma in quali parametri deve rientrare un’anima per essere considerata sana? Forse i teologi lo sanno. Loro sanno tutto. Anche gli psicanalisti, quelli con approccio medicale, lo sanno. Anche le ideologie lo sanno.Sanno cos’è il male, sanno qual è il bene; il bene assoluto.Sanno la verità, ne hanno appreso i valori di riferimento e da lì misurano se stessi e tutto ciò che incontrano. Ipotizzano la malattia e osservano l’ambiente con sospetto, alla ricerca di sintomi che confermino la diagnosi precostituita, poi sentenziano.Tutto sanno ma nulla conoscono.     

 

Pubblicato in Sacro&Profano
Giovedì, 08 Luglio 2010 12:20

Filosofia di strada

 

 Ricordo quando i mie figli frequentavano il ginnasio e talvolta erano esistenzialmente confusi ed io mi guardavo intorno in cerca di supporto per poterli aiutare.  In un colloquio scolastico colsi rapido l’occasione per chiedere alla loro professoressa di filosofia se la materia da lei insegnata potesse, in qualche modo, aiutare gli studenti a vivere meglio. Ricordo che l’insegnante mi guardò in faccia in un risoluto silenzio che comunicava la sentenza inappellabile: domanda inammissibile e bizzarra. Poi mi disse la motivazione: “Qui non si fa filosofia, ma si insegna storia della filosofia”. Ricordo il suo tailleur grigio che puzzava di naftalina.La professoressa faceva il suo mestiere e la sua risposta era legittima, la mia domanda forse confusa nel metodo e inopportuna nel contesto, tuttavia nel merito ritengo stesse in piedi: se oggi la nuova generazione, a differenza di quelle precedenti, non sa che ci sta a fare su questo pianeta, è urgente e conveniente conoscere il pensiero di chi ci ha preceduto, di tutti quelli che in onestà, profondità e competenza hanno indagato a fondo sull’uomo e la sua esistenza; conoscere la filosofia, i suoi esponenti, i suoi metodi non per  mera erudizione, ma per per mettere alla prova quel pensiero oggi, per declinarlo qui e ora, applicando quei  percorsi e contenuti, verificando nel quotidiano se e quanto rispondono alle domande fondamentali dell’essere, dell’esistere, del realizzarsi e del morire, per inventare ipotesi originali e iniziare percorsi inesplorati.La filosofia pratica, in estrema sintesi è proprio questo. Una sorgente di acqua, antica e nuova insieme, che lava via la puzza di naftalina ed offre strumenti per renderci attori consapevoli del percorso umano che l’esistenza personale esige.La professione da alcuni decenni si sta diffondendo in occidente e Cavadi, pioniere della materia, spiega e testimonia in questo saggio cos’è e come si pratica. Fatica (pp. 350) specialistica ma nel contempo di indubbio interesse per molti. Specialistica perché insegna le origini della filosofia pratica, rendiconta gli sviluppi e le applicazioni sul campo, approfondisce in dettaglio il  confronto dialettico con gli esponenti storici delle diverse “pratiche filosofiche” e delle relative scuole. Affronta in profondità il rapporto, talvolta ostico, con le discipline contigue, analizzando le possibilità di alleanza e i confini teoretici, pratici e deontologici; le sinergie e reciproci rischi di ingerenza rispetto a figure come lo psicologo, lo psichiatra e, razza in via d’estinzione tuttavia trattata, i direttori spirituali.Approfondimenti specifici utili anche per i non addetti ai lavori che per analogia possono agilmente trasporre le tematiche specialistiche in contesti allargati o più prossimi; essendo il campo di lavoro il pensiero umano stesso, di fatto la filosofia pratica è applicabile a tutto e a tutti: dimensioni personali e collettive, familiari e sociali, professionali e artistiche, spirituali e politiche. Qui sta, per il non addetto ai lavori, l’opportunità ma anche il rischio: un fai da te inevitabilmente approssimativo e autoreferenziale, senza un compagno di viaggio competente, può condurre all’equivoco, alla confusione, alla perdita di tempo, allo smarrimento. La filosofia pratica non è banalizzazione, non è un approccio “new age” alla filosofia. Qui Cavadi tira fuori gli attributi del filosofo e chiarisce in profondità, spacca il capello in quattro esponendo con rigore scientifico la disciplina della filosofia pratica attraverso puntuali ed esaurienti connotazioni epistemologiche. Non so se oggi per la strada si affrontino le faccende dell’essere, dell’esistere e del relazionarsi con questo metodo e competenza, comunque l’Autore così ha titolato: “Filosofia di strada”. Poi ha aggiunto “La filosofia-in-pratica e le sue pratiche” il titolo vero.Libro assolutamente da leggere e vivere.“Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche”, Di Girolamo Editore, Trapani 2010, euro 28,00.Distribuito in Italia dalle Dehoniane di Bologna.

Pubblicato in Recensioni

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