Il panino
Milano, anni ’70. Pausa pranzo ad un giornata dei novizi dei Memores domini*. Non c’è il ristorante così si mangia al sacco. Don Giussani, in piedi nel piazzale, scarta il suo panino con dentro il prosciutto crudo. Intorno a lui duecento futuri Memores. Osservo che nessuno si avvicina al capo. Passano i minuti e mi chiedo: “Perché è lì solo in mezzo al piazzale col panino in mano? Adesso vado lì io”, ma una forza interiore mi paralizza. Uno strano timore. Penso che nessuno si avvicina perché avvertono lo stesso insuperabile blocco che sento io. Come me hanno timore, come me non osano. Si formano dei gruppetti di novizi, parlano tra loro a bassa voce, indifferenti al sommo capo rimasto lì da solo col suo panino sempre più corto. Situazione irreale, intorno a lui un cerchio vuoto, come quello che si disegna con le strisce gialle intorno ai macchinari pericolosi e lui lì in mezzo. Si rientra e riprende la lezione, nessuno dei novizi si è accorto che è stato lì tutto il tempo solo come un cane, ma lui si. Prende la parola e dopo cinque minuti il suo discorso vira sul tema dell’estraneità e di botto dice: “Come quella che avete voi con me!”. Se avessi avuto il coraggio dalla platea avrei alzato la mano per dirgli: “Era quanto più desideravo poter mangiare vicino a lei il mio panino con la mortadella, ma una forza dal profondo me lo ha impedito. E’ forse per timor di Dio che lei è rimasto solo, non per estraneità e indifferenza. Non avevo ancora vent’anni e per fortuna sono stato zitto. Oggi senza alzare la mano gli avrei risposto che ognuno ha quello che si merita, Kant però gli avrebbe argomentato meglio: “Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e di fatto è realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova. Precetti e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso, delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una permanente minorità. Se pure qualcuno riuscisse a liberarsi, non farebbe che un salto malsicuro anche sopra il fossato più stretto, non essendo allenato a camminare in libertà. Quindi solo pochi sono riusciti, lavorando sul proprio spirito a districarsi dalla minorità camminando, al contempo, con passo sicuro. “ Kant, Beantwortung der Frage: Was is Aufklaerung? in "Berlinische Monatsschrift"Bruno Vergani *Gruppo monastico di Comunione e Liberazione, in quegli anni era denominato “Gruppo Adulto”
Immagine: agosto 2009 prova aperta monologo teatrale "Memorie di un ex monaco" di e con Bruno Vergani regia di Vincenzo Todesco
Domani si vedrà
Di vita ce n’è una sola ed è questa sulla terra. Così dicono i miei amici atei mentre si danno da fare. Invece chi, come me, ha avuto un imprinting cattolico, anche se oggi non pratica religione alcuna sotto sotto pensa e vive come se di vite a disposizione ne avesse tante. Come se esistesse un dopo, un tempo che verrà, un domani dove i conti in sospeso, l’incompiuto personale e sociale potranno in qualche maniera misteriosa compiersi. Come se esistesse un posto e un tempo a venire dove realizzeremo gli amori pensati e non vissuti, ogni desiderio, dove incontreremo le risposte non trovate e gli ideali traditi saranno guariti e ricomposti.Questo atteggiamento di fondo, seppur inconsapevole, tende nel quotidiano a far procrastinare le scelte, a rallentare i percorsi, a non prendersi la paternità dell’azione, a non cercare soluzioni rapide e concrete. Un vivere il tempo come se il senso non è tutto qui e adesso porta a delegare, ci anestetizza e intiepidisce. Quando sarà, dove sarà, come sarà questa realizzazione cosmica? Non lo sappiamo tuttavia, come dentro un incantesimo tendiamo a comportarci come se accadrà. Questa atteggiamento di fondo si esprime talvolta come rassegnazione; con la mancanza di giudizi fortemente critici sulla situazione storica, con disimpegno e qualunquismo per la trasformazione del mondo. Talvolta con lo stato d'animo di chi è vagamente fiducioso negli avvenimenti futuri di cui, pur non conoscendo i contorni precisi e le esatte possibilità di riuscita, per motivi misteriosi rimane un po’ ottimista: il classico “speriamo” .L'escatologia (dal greco éskhatos=ultimo) è, nelle religioni, il pensiero che riconosce il destino ultimo degli uomini e dell’universo. Per quanto suesposto l'escatologia non è una disciplina astratta, in quanto le aspettative ultime dell'uomo determinano inevitabilmente il comportamento presente e quotidiano. Dall’aprire un conto corrente, all’acquisto di un prodotto, all’educazione di figli, al scegliere un partito che ci rappresenti. Speranza cristiana: virtù soprannaturale che si esprime come tensione astratta per aprire varchi di fiducia illusori. Un atteggiamento dell’animo, uno slancio che accarezza il sogno di continuare nel tempo, che veste il domani per sfuggire all’agguato della morte, ma che invece di fatto ci rende davvero poco virtuosi.Bruno Vergani
Immagine: "Città ideale d’oro" di Paolo Polli. Per gentile concessione dell'autore
Figli di un Dio minore
Perché mi ritrovo a cercar risposta al perché sono? Perché ho un istinto d’eternità pur sapendo che dovrò morire? Ci sarebbe la possibilità di non pensarci affatto a queste faccende, come del resto fanno tutti gli altri animali. Non sarebbe poi male uno stato di semplicità assoluta, diretta e fresca, tanto estrema che non conosce. Senza necessità alcuna di linguaggio, ne di realizzare Dio, ne di santificarsi e neppure di auto realizzarsi. Uno stato naturale dell’essere che forse gli uomini primitivi vivevano. Perché invece mi ritrovo condannato a cercare qualche altra cosa, perché mio malgrado inseguo istanze di liberazione, di cambiamento, di conoscenza ad oltranza e di realizzazione? Posso intuire questa pace animalesca, questa nostalgia di utero caldo ed umido, di uomo primitivo prima del peccato originale con la pupilla tersa perché inconsapevole di se stesso. Appena intuisco quello stato ne distruggo la spontaneità, lo traduco in cultura, nei termini delle miei particolari suggestioni e nel contesto del loro background. Ho nostalgia per quello stato di unità dove non hai la necessità di chiederti se l’universo è impersonale, aprogettuale e irresponsabile oppure personale, capace di intenzionalità e responsabilità. Buttar via tutto, per essere il figlio della donna sterile, immacolata concezione che non necessita di epistemologie. Forse se Dio fosse madre saremmo spontaneità, ma siccome è anche padre siamo intelletto, condannati a non separarci dalla cultura, ad essere prodotto della cultura, condannati ad un continuo movimento che ci spinge a cercare qualche cosa di diverso dallo stato naturale e perfetto in cui siamo. Meccanicamente occupati a cercare una cosa che forse non c’è. Bruno Vergani
Deriva tribale
Leggo da più parti che la politica, le scelte partitiche, la prassi e gli obiettivi di Comunione e Liberazione sono determinati dalla ricerca di potere; gentaglia cinica disposta a tutto per raggiungere il potere ed esercitarlo a proprio vantaggio. il giudizio è banale. Chi conosce CL sa che la stragrande maggioranza di loro sono persone oneste e intelligenti che con abnegazione rischiano in proprio per promuovere la società, partendo da chi ha più bisogno. Non escludo che con loro si mimetizzati qualche mandrillo che cavalca l’onda bramoso di potere personale, ma sono una minoranza. La domanda è dunque questa: come e perché persone che che seguono lealmente Cristo fatto uomo nella Chiesa, desiderosi di promuovere l’umanità, che osservano precetti e tradizione divina dal libro della genesi all’apocalisse di San Giovanni, di fatto poi perseguono politiche, prassi e alleanze partitiche agli antipodi del vangelo? Perché disinvolti glissano se un proprio membro ruba, o fa carte false e invece lo considerano immorale se pur onestissimo si permette di contestare le scelte partitiche del movimento, o cambia sponda politica? Risulta evidente che per gli appartenenti a Comunione e Liberazione l’essere morali non è il comportarsi rettamente e onestamente ma un altra cosa. Cosa? Che etica perseguono? Conosco, quindi enucleo in sintesi l’etica politica ciellina. Punto di partenza è l’uomo; le sue necessità ontologiche, spirituali e pratiche, ideali e corporali. Da qui l’urgenza di trovare direzione, senso e assoluta realizzazione in una consapevolezza integrale: il senso religioso, questo è il valore e da qui i valori. Il potere è morale se permettere e sostiene tale umano desiderio altrimenti si riduce ad un pre-potente, ideologico ed anonimo, quindi disumano, desiderio di consenso di massa. L’urgenza che quindi avvertono i ciellini è che il potere sia innanzitutto al servizio di questo senso religioso integrale che coinciderebbe con la completa realizzazione umana. Questo è il valore politico degli appartenenti a CL e francamente, in linea teoretica, lo condivido perché pensiero dignitoso e giusto specialmente quando constato l’anestesia della libertà di coscienza procurata, oggi più che mai, dal potere attraverso i media. Non abbiamo quindi a che fare con faccendieri spregiudicati, ma con pensiero giusto e corretto? Con gente che lotta contro il potere e l’omologazione? Che intende rispondere alle domande cruciali del nostro esistere censurate dai poteri forti? Ma allora come è possibile che partendo da questi presupposti condivisibili donne vicine a CL scrivano, con taglio di genere (proprio in quanto donne), una lettera aperta a Berlusconi per comunicargli stima e ammirazione assoluta? La lettera aperta a cui mi riferisco è un po’ datata, tuttavia mette i brividi al cuore e all’intelligenza, per chi ne avesse il fegato la può leggere alla fine di questo post*. Veniamo al punto. Per un appartenente a CL chi è oggi Gesù Cristo? Dov’è? Nella Chiesa? Non proprio; Cristo è concettualmente, teoricamente nella Chiesa, ma di fatto è e si esprime in quel pezzo di Chiesa che il ciellino ha incontrato: Cl stessa; non mi risulta che Formigoni abbia come riferimento il "suo" Arcivescovo Tettamanzi e obbedisca a lui, tutt’altro. Capita talvolta che l’autorità ecclesiastica sia vicina alla sensibilità del movimento come gli ultimi due Papi, in tal caso la dimensione ecclesiologica del movimento si espande. Gesù Cristo si esprimerebbe quindi nelle autorità del movimento, coinciderebbe con l’autorità del movimento, tutto il resto è giudicato astrazione ideologica; bibbia, vangelo, etica inclusi. In questa teologia tribale il senso della cose e della vita, la morale, la cosa pubblica non sono temi da perseguire, da decifrare con imparzialità e confronto con tutto e tutti in quanto si presume di possedere, perché prescelti dal destino, il significato ultimo di tutto e di tutti in maniera integrale e indiscutibile: la presenza di Cristo che vive nella storia attraverso la loro compagnia. Cristo coincide con loro. La verità coincide con loro, il senso della storia pure, il bene pubblico anche. Qui sta l’equivoco, qui sta la patologia si chiama fondamentalismo e integralismo. Quindi Se per un cristiano non tribale la morale è l’adesione a Cristo seguendo il vangelo, confrontandosi con tutti gli uomini di buona volontà in un percorso umile, quindi intelligente, che tiene conto della correttezza e onestà personale e giudica nel merito fatti e scelte, per l’identità tribale ciellina significa invece obbedire con tutto il proprio essere all’autorità che lo guida. Punto. Più obbediscono e più si sentono nel giusto perché appartenenti a una realtà umana che pur nella storia la trascende e giudica, avanguardia e modello del bene di tutti. Quindi puoi essere competente, onesto, integerrimo ma se non obbedisci alla compagnia sei considerato all’interno di CL falso e amorale anche se ti comporti come Teresa di Calcutta. Se invece sei un condannato, indagato, imputato e rinviato a giudizio perché ladro o corruttore, o sei puttaniere ma, in qualche modo, favorisci la compagnia sacramentale alla quale appartieni obbedendo alla linea partitica e alla dottrina sociale indicata sei morale. E’ evidente che all’interno di CL chi è un minimo sensibile avverte che c’è qualcosa che non va, ma siccome è stato programmato all’obbedienza invece di dissentire, per far quadrare il cerchio, reagisce stringendosi ancor più nel gruppo, affidandosi ai capi per farsi incessantemente guidare attraverso incontri, momenti e riti autoreferenziali nel tentativo di sostenere l’inumana fatica del dover continuamente ricapitolare la società alle soggettive credenze tribali. Il sistema di supporto dato dal gruppo è tanto stringente e sofisticato da riuscire a far credere a chi è dentro davvero di tutto, così seguono Cristo e votano cani e porci. Una infinita fragilità che diventa arroganza. Non possono funzionare in modo diverso, così sono stati programmati da cattivi maestri. Le autorità cielline nelle alleanze partitiche, indifferenti ai principi evangelici e a direttive etiche sceglieranno semplicemente chi darà maggior spazio e potere decisionale alla loro teologia tribale e agli uomini che la rappresentano. Per ottenere un occhio di riguardo alla scuola cattolica da parte dello Stato, un po’ di attenzione alla famiglia tradizionale e normative che vietino di morire in pace indifferenti al progetto sociale dei compagni di viaggio faranno alleanza con politiche egoiste, individualiste corporative, edonistiche, ciniche, anarcocapitalistiche, campanilistiche, corrotte e razziste, insomma antievangeliche, poi daranno indicazioni di voto al gregge dei subalterni e la macchina elettorale ciellina si metterà in moto. Bruno Vergani *Le donne votano Berlusconi. Con una lettera spiegano perchè Con una lettera aperta inviata a Silvio Berlusconi centinaia di casalinghe, operarie, imprenditrici italiane spiegano perchè il 9-10 aprile voteranno la CDL: «La preferiamo per sostenere la forza positiva, libera e laboriosa del nostro popolo, per difenrdere la vita, il valore della famiglia, l'alleanza uomo-donna, la libertà di educare i nostri figli.» Numerose sono già le adesioni all'appello, aderisci anche tu! Egregio Signor Presidente, siamo un gruppo di donne quotidianamente impegnate nel mondo del lavoro, dell'educazione e della famiglia. Non facendo parte di nessuna élite intellettuale, televisiva e giornalistica, al fondo maschile, se non maschilista, anche quando mette la gonna, ed essendoci stancate dell'immagine distorta che di noi viene sempre data, ci rivolgiamo a Lei, che con noi condivide la passione per la battaglia, e le vogliamo dire con chiarezza che è vero, difficilmente lasceremmo famiglia e lavoro, cose che facciamo molto bene e con passione, per entrare nel mondo politico. Dovremmo rinunciare a molto di ciò che ci costituisce, ma non si sa mai, riusciamo in cose che paiono impossibili! Non siamo una quota rosa e non siamo l'apparenza senza senso che la tv rappresenta di noi. Siamo donne, siamo madri, siamo lavoratrici, siamo 'signore', come dice Lei. Siamo del popolo, e se il far politica è occuparsi del bene comune, noi lo facciamo vivendo negli ambienti in cui siamo con inventiva, passione e creatività. Abbiamo fatto nascere e lavoriamo per opere sociali, scuole, associazioni, cooperative; gestiamo aziende, siamo insegnanti, operaie, artigiane, impiegate, medici, casalinghe. Ci occupiamo di figli e nonni, malati e nipoti, soprattutto educhiamo nuovi uomini. Affrontiamo l'avventura della realtà, nella normalità delle sue sfide, tessendo quello che oggi la politica sembra aver dimenticato: i rapporti tra e con la gente. Sappiamo di essere il cardine di ciò che dà spessore e connessione alla nostra società: la famiglia; siamo preoccupate per essa e per il mondo in cui stanno crescendo i nostri figli. La nostra non è la lamentazione di chi vorrebbe il futuro garantito o il diritto ad un lavoro sicuro, senza assunzione di responsabilità che comporterebbe rischi e fatica. Sappiamo bene che mancanza di ideali e cultura dell'effimero generano inconsistenza e fragilità soprattutto nei giovani, ma anche negli adulti e in chi ha posizioni di responsabilità e portano a uno svilimento e indebolimento della famiglia che, da origine del vivere comune, viene ridotta a essere sterile in tutti i sensi, dal fatto che non si fanno più figli al suo ritirarsi tra quattro mura di solitudine. E lì, dove le famiglie si ritirano, che cosa succede? Vogliamo ricordarlo con un esempio: quando le mamme con i bambini hanno iniziato ad abbandonare i giardinetti delle nostre città, sono pian piano arrivati gli spacciatori. Dove la famiglia arretra, lo spazio viene occupato dalla devianza, dalla stranezza che diventa normalità; quando la famiglie ci sono, sono presenti, e fra esse si creano, legami, solidarietà, cooperazione, nasce un nuovo bene, una nuova prosperità per tutti gli uomini. Questo la politica dovrebbe sostenere, in questo Le diamo atto di aver cominciato a lavorare, (avendo per esempio introdotto la possibilità di destinare il 5 per mille della propria dichiarazione dei redditi al settore no-profit, alle associazioni a scopo sociale, fondazioni, onlus) a differenza dei Suoi avversari che vorrebbero uno Stato che gestisce in prima persona la felicità di tutti, 'dalla culla alla bara'. La nostra preoccupazione non è dunque per un futuro ipotetico, né per ciò che manca, ma è per il presente, perché noi e i nostri figli possiamo affrontare la vita oggi, come sempre hanno fatto le generazioni prima di noi: non solo un privilegio per pochi, ma un compito e una responsabilità per tutti. Per questo, consapevoli della Sua insistenza sul valore della famiglia tradizionale, (specificazione necessaria per distinguerla da altri patti che il Suo avversario politico e la corte dei miracoli che l'accompagna vorrebbero legalizzare), della Sua costante valorizzazione dell'intraprendenza e del lavoro come positiva capacità di costruzione, e visto il Suo impegno per l'educazione e il mondo della scuola, ci rivolgiamo a Lei, che vediamo propositivo e positivo di fronte all'immagine petulante, lamentosa, moralista e negativa dei Suoi avversari, perché con più decisione ed efficacia - sindacati permettendo - renda politicamente praticabile ciò che ci sta a cuore. Fondamentalmente, l'affermazione della centralità della famiglia - riconoscendone il ruolo decisivo nell'educazione della persona, e quindi di un popolo - non solo a parole ma con leggi che la favoriscano: reali agevolazioni fiscali, libertà di scelta della scuola, statale o non statale che sia, con lo stesso trattamento economico; difesa della vita fin dal suo concepimento, contro ogni tipo di manipolazione; poi, il sostegno all'intraprendenza e al rischio nel mondo del lavoro, in modo tale che i nostri figli crescano con l'idea di poter costruire, creare qualcosa di positivo, innovativo e duraturo per il mondo; tutela e valorizzazione del patrimonio di bellezza cultura e arte che la nostra tradizione ci ha consegnato, frutto della coscienza di un popolo che sapeva perché vivere, gioire e anche morire, e che noi amiamo e sentiamo il compito di tramandare. Coscienti dell'importanza del voto alle prossime elezioni, nelle quali si giocherà una diversa concezione di persona e popolo, ci impegniamo a votarLa e sostenerLa a patto che possa far Sue con più forza e decisione le nostre richieste, sperando che anche quanti sono demotivati e forse un po' delusi, e ne incontriamo molti, possano vedere in Lei e nella Sua coalizione l'unica possibilità, politicamente parlando, di costruzione libera e positiva, oggi. Questo patto vogliamo stipularlo con Lei e non col prof. Prodi: la sua campagna fatta di 'serietà' e 'sacrifici' non ci piace, ci intristisce e ci fa un po' spavento. E noi signore lo lasciamo volentieri perdere. 'La bellezza salverà il mondo'. Con stima Le promotrici: Giovanna Belardinelli, Luisa Chiesa, M. Grazia Fertoli, Barbara Piscina, M. Cristina Sculco, Cristina Turati, Annalena Valenti, Annunciata Viganò
Immagini: Titanic di Paolo Polli. Per gentile concessione dell'autore
Per comprendere il pensiero dell'altro
Per comprendere il pensiero di un altro faccio così: opero inevitabilmente una soggettiva costruzione di significato su quanto espresso dall’altro a partire da ciò che sono io; dal pensiero di cui dispongo e di cui sono capace.Da lì definisco proprietà e relazioni che costruisco con azione organizzante, così sistemizzo l’altrui pensiero per renderlo compatibile (comprensibile) al mio in un processo di costruzione dei significati. Se il processo lo esegue anche il mittente la comprensione è facilitata. Utilizzando miei costrutti, verità inventate parziali e soggettive, non posso conoscere appieno il pensiero dell’altro ma solo la mia interpretazione. Non è il massimo ma non so altre modalità di comprensione e di comunicazione; ignoro la possibilità di un sapere che non dipenda dal soggetto che conosce. Il processo di ascolto e comprensione dell’altro è talvolta faticoso. Molto faticoso. Troppo faticoso. Se capita; visto che, in ogni caso, la nostra comprensione del pensiero dell’altro è parziale ed incerta; se proprio non reggiamo lo sforzo del processo suesposto, e l’altro non si da una mossa per venirci incontro possiamo sentenziare rapidi sul pensiero altrui, ad esempio con un: “Suona falso come una campana a tre chilometri di distanza”. E’ lecito farlo, non a posteriori ma anche a priori, beninteso dopo aver ascoltato o letto per almeno due minuti. Non è pregiudizio, non è disonesto e neppure peccato, anzi è virtuoso mandare rapidi a fanc... l’oratore o lo scrivente ma solo se presenti almeno tre delle seguenti condizioni:quando lo scrivente o l’oratore pontifica ieratico verità che presume assolute;quando parla degli uomini e di Dio con vocaboli che ci procurano uno stato d’animo simile a quando, nostro malgrado, dobbiamo leggere per intero un contratto di polizza assicurativa fideiussoria;quando nello scrivere si attarda in sintassi misteriose, gerghi e lingue immaginarie, prestiti linguistici e per attacco di claustrofobia per una lingua inadeguata alla potenza del suo pensiero, spacca e nel contempo riunisce (poteva lasciarle com’erano) tutte le parole con un trattino per farne emergere la Parola, il Verbo, evocato dall’antica etimologia che solo lui può far risorgere per elargircela; quando eccede con personali neologismi, che per interpretarli devi studiare tutti i suoi scritti degli ultimi decenni;quando recita;quando, se è in vita, lavora sistematicamente in progress così che quanto ha detto la settimana scorsa non vale più oggi però pretende tu lo conosca;quando, se dopo averlo ascoltato o letto, ti imbatti con uno che soffre e senti nel profondo che quello che ti ha comunicato nulla centra, nulla dice, nulla spiega, nulla aiuta in quell’accadimento. Bruno Vergani
Riflessioni sul Senso della Vita di Ivo Nardi, www.riflessioni.it intervista a Bruno Vergani
Riflessioni sul Senso della Vita di Ivo Nardi Non porsi domande sul senso della vita significa rinunciare alla possibilità di comprendere pienamente la nostra esistenza. Una risposta non esiste solo quando non è possibile formulare la domanda. Riflessioni.it è il luogo ideale per fermarsi e riflettere sul senso della vita e lo faremo attraverso le risposte che persone di cultura hanno dato a dieci domande da me formulate. Buona lettura. Ivo Nardi Interviste sul Senso della Vita 15) Le risposte di Bruno Vergani - Erborista da più di trent'anni. Ex membro dei Memores Domini, il gruppo monastico di Comunione e Liberazione. Scrive e fa teatro. http://www.riflessioni.it/senso-della-vita/bruno-vergani.htm 14) Le risposte di Gianluca Magi - Uno dei massimi orientalisti italiani, fondatore e direttore della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, docente di Storia e filosofia della religione indiana all'Università di Urbino. Scrittore di successo, tra le sue pubblicazioni, il longseller I 36 stratagemmi; Il dito e la luna; La Via dell’Umorismo.13) Le risposte di Isabella di Soragna - Scrittrice, traduttrice, ricercatrice delle similitudini tra le varie scienze moderne, dalla fisica quantica alle neuro-scienze, dall’astrologia transpersonale alle mistiche di oriente ed occidente, dallo sciamanesimo di varie culture alla medicina cinese, per trovare il nucleo che immancabilmente le riunisce tutte in un unico centro.12) Le risposte di Silvano Agosti - Regista, scrittore, poeta. Il suo cinema Azzurro Scipioni, nel quartiere Prati di Roma, è un punto di riferimento per il cinema d’arte e per quello impegnato.11) Le risposte di Giovanni Domma - Maestro Massone, esoterista, erborista, appassionato di informatica, la sua poliedrica personalità richiama alla memoria gli Umanisti del Rinascimento.10) Le risposte di Robert Bauval - Autore di fama internazionale, appassionato di egittologia, deve la sua notorietà al best seller "Il mistero di Orione" scritto con Adrian Gilbert nel 1994.09) Le risposte di Aldo Strisciullo - Autore della rubrica "Riflessioni sul Sufismo".08) Le risposte di Parabhakti das - Responsabile di Villa Vrindavana, sede toscana dell'ISKCON "Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna" meglio conosciuta come "Movimento Hare Krishna".07) Le risposte di Elena Frasca Odorizzi - Autrice della rubrica "Riflessioni sull'Alchimia".06) Le risposte di Luigi Pruneti - Docente, saggista, esoterista e Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, Obbedienza di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi.05) Le risposte di Luciano Peccarisi - Autore della rubrica "Riflessioni sulla Mente".04) Le risposte di Gabriele Mandel Khàn - Docente universitario, scrittore, pittore, psicologo, vicario generale per l’Italia della Confraternita Sufi Jerrahi-Halveti.03) Le risposte di Giacomo Bo - Autore della rubrica "Salute e alimentazione naturale".02) Le risposte di Alberto Viotto - Autore della rubrica "Riflessioni sulle Scienze".01) Le risposte di Daniele Mansuino - Autore della rubrica "Riflessioni sull'Esoterismo". Prossimamente interviste a: - Paola Giovetti, scrittrice e giornalista, ha pubblicato una trentina di saggi su tematiche esoteriche e spirituali. Ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e collabora a testate nazionali (periodici Rizzoli, il mensile Astra e il settimanale Visto) e al mensile "Il Giornale dei Misteri". E' redattrice di "Luce e Ombra", la più antica rivista italiana di parapsicologia. - Lama Paljin Tulku Rinpoce infaticabile propugnatore del Buddhismo e promotore di numerose iniziative umanitarie in Ladakh, India, Nepal , Etiopia, Perù.
Il registratore
Mia cugina per alleviare la sofferenza per la tragica e prematura morte del figlio si è comprata un registratore. Si siede in una stanza silenziosa, appoggia sulle gambe il minuscolo registratore, schiaccia record e pensa al figlio. Poi ascolta. Una volta, in mezzo ai rumori di fondo, è convinta di aver sentito dall'oltretomba il suo Paolino. Me l'ha fatto sentire anche a me. Un cigolio gracchiante in rapida successione: "so' praoolììì- praoolììì". Così la madre lenisce il suo dolore e io non saprei consolarla più di quel gracchiare, ma il parroco del nostro quartiere, uno stimato teologo, invece lo sa.Dopo aver fatto presente a mia cugina quanto sia ridicolo, umiliante, irrispettoso e delirante equivocare l'anima di suo figlio con un rumore, la esorta ad abbandonare quelle pratiche superstiziose per recuperare la fede nel Signore risorto che farà resuscitare i morti. Cita sicuro il catechismo cattolico: "la risurrezione della carne significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri corpi mortali riprenderanno vita. Il come avverrà supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede."Assisto alla scena. Mia cugina rimane in silenzio. Penso, strana posizione, non mi sembra mica tanto diversa che del mettersi con fede sulle ginocchia un minuscolo registratore e credere, al di là di ogni ragionevole immaginazione, che il figlio morto ci parli dentro. Però al teologo non glie lo dico, perché quelli che accendono il registratore per sentire i morti sono pochi, invece quelli che credono alla cosa del Parroco sono un paio di miliardi, poi magari qualcuno si offende.Bruno Vergani
Immagini: drawings di Paolo Polli. Lingam; Coppia di lingam. Per gentile concessione dell'autore
Avatar
Forse l'uomo non ha un ‘Io’ assolutamente certo, identificabile e permanente. Il suo io non si sa dov’è, non si sa cos’è. Si sa che cambia rapido con i pensieri, con i sentimenti e gli umori e non è escluso che si commetta un errore profondo, quando ci consideriamo come se fossimo sempre l’unica e stessa persona. Similmente agli eteronimi di Pessoa ci vediamo continuamente differenti, sempre diversi da quello che eravamo un momento prima. Per non sparire, per non con-fonderci dobbiamo darci un nome che ci identifichi, che ci rassicuri, che ci definisca, che ci distingua da tutto il resto così da non annegare nel fluido magma dell’impersonalità. Un nome preciso, inequivocabile, per garantirci che ci siamo, per simulare che siamo persone uniche, irripetibili e forse eterne. Eterne? Se l'io non è un fatto oggettivamente e stabilmente osservabile, come possiamo personalizzare, come possiamo definire, come possiamo dare un nome ad un eventuale creatore, se tale precisa identità personale non possiamo darla neppure a noi stessi? Però per semplificare le cose è sicuramente concesso e forse opportuno dare un nome anche a Lui.Diamo un nome all’Assoluto e immaginiamolo creatore quel che basta per simulare una parvenza di figli, di essere importanti ed eterni. Inventiamoci un Dio antropomorfo che si rivela e, per cinque minuti di consolazione, riduciamo l’Assoluto ad un pronome personale così da poter interloquire con Lui come facciamo col nostro vicino di casa. Il panteismo (Dio è tutte le cose) è forse un approccio all’Assoluto meno comico. Così per placare l’inquietudine metafisica invece di adorare il Santissimo Sacramento e obbedire al Papa possiamo andare tutti al cinema a vedere Avatar, impeccabile apologia del panteismo, fede che rende Dio uguale alla Natura, e chiama l’umanità ad una comunione religiosa con il mondo naturale. Chiesa o Avatar in 3D? Non so cosa sarebbe più comico e incongruo per rispondere a ciò che siamo. Non credo più alla retorica, alla tecnica di rendere congrua una esistenza con i racconti. Meglio lavare i piatti in silenzio, osservare i gatti in silenzio, realizzare un erbario. Non per le cose in sé ma per quello che succede mentre le faccio. Succede che, se non penso, dal silenzio prende forma un messaggio. Non so chi lo invia e forse neppure chi lo riceve, non ricordo cosa dice ma è la notizia che più mi interessa. Bruno Vergani Herbarium Mediterraneum ©brunovergani
William Congdon
L’ho incontrato a metà degli anni settanta nei Memores Domini, io novizio e lui monaco. A suo dire la mia faccia ventenne assomigliava a quella del Cristo di Manoppello, così m’ha preso in simpatia e da confratelli siamo diventati amici. Meglio amici che confratelli. Meglio emanciparsi da teologismi che assicurano scontata unità per la circostanza d’appartenere alla medesima corporazione.
Bill era appena tornato da una serie di viaggi per il mondo. Qualcuno, piuttosto arguto, aveva suggerito alle autorità monastiche, dalle quali Bill dipendeva, che quell’artista quasi settantenne non poteva comportarsi come gli altri monaci e se avesse perseverato nell’obbedienza, con le rigide modalità che il carisma del gruppo esigeva, sarebbe morto. Morto artisticamente. Le autorità a lui prossime avevano pertanto allargato, per un momento, le maglie della rete ed il leone era uscito dalla gabbia nella quale si era chiuso. Se gli fosse capitato un priore burino e brianzolo con pensiero baldante e prepotente, impedito a sperimentare direttamente la vita ed i suoi movimenti chissà come sarebbe andata a finire, ma forse la provvidenza esiste davvero. Dentro quelle gabbie non nascono artisti ma lui lo era da prima, così agli esercizi spirituali rompeva il silenzio imposto dalla regola per raccontarmi come raschiava i davanzali di Milano per raccogliere lo smog, pigmento materico che utilizzava nei i suoi dipinti. Avevo terminato il noviziato e da monaco lo incontravo con maggior frequenza.
Non ripeteva, non imitava, non ridiceva, dettagliava la sua ultima esperienza; quella di entrare in una abitazione abbandonata dove carnalmente abbracciava, in un continuo infinito presente, chi lì era vissuto secoli addietro. Disegnava le montagne che avevamo davanti senza mai staccare la matita dal foglio per poi regalarmelo. Peccato che nell’andarmene dai Memores, nella foga, abbia lasciato nella mia camera-cella quei segni sacri. I suoi autoritratti: i crocifissi. Un amore così forte che dava un po’ di sofferenza. Un mix di amore e sofferenza. Orfano scendeva nella voragine, giù fino al lago di dolore per contemplare i relitti che galleggiano nel silenzio. Nessun uomo, nessun animale, nessun Dio e nel contempo con un guizzo risuscitava. Metamorfosi di nuclei infernali, di larve nere, di carne morta e viva insieme, da contemplare in silenzio ma che un movimentista cattolico ha appiccicato con lo scotch, in dozzinale replica stampata, sui muri del parlamento di Strasburgo. Lo ha fatto per difendere la presenza dei crocifissi di plastica appesi nelle scuole e nelle mense statali. Gesto basso, osceno. E poi inaspettato un campo di terra grassa con in mezzo uno smeraldo. Mozzafiato.
Non so se la sua fecondità artistica sia stata possibile grazie o nonostante la stringente appartenenza alla Chiesa. Grande lo era prima e grande è rimasto, ma io, per non morire, me ne sono andato. Cinque anni insieme e senza preavviso sono sparito. So che mi ha cercato, ma dalla gabbia non poteva uscire ed io non volevo entrarci. E’ rimasto nella nebbia ed io sono migrato nei suoi posti: India, sud America, Turchia, nord Africa. Poi un un giorno mi sono trovato a Providence, ospite dei genitori di una cara amica ricca borghese del Rhode Island e lì mi sono ricordato di lui, ho chiesto e chi mi ospitava era proprio stato suo compagno di classe. Strani sincronismi. L’undici settembre e il quadro di Bill, New York City, explosion, del 1948 che mi ritorna al cuore e sconquassa la pancia.
Empatia
Di tanto in tanto la sera mentre leggo ascolto musica alla radio. Ieri leggevo che secondo Robert von Ranke Graves, “la poesia -come noi la conosciamo- sarebbe una immagine estremamente sbiadita di antichi linguaggi che s'imponevano per la loro capacità di convincere. E questo perché non facevano ricorso alla metafora né al procedimento dimostrativo, ma si presentavano come pura immagine. Solo grazie a questo linguaggio poetico primordiale diventiamo capaci di vedere.”
Alla radio la musica viene interrotta, il programma continua e una conduttrice intervista una signora. Chiacchierano dicendo nulla. Nell’ascoltarle mi torna alla mente quando bambino giocavo nella mia camera mentre voci petulanti arrivavano dal soggiorno, dove mia madre si intratteneva con le amiche. Luoghi comuni, banali sillogismi, voci sovrapposte, volume immotivatamente alto, assenza di pause. Quando qualcuna, per bisogno fisiologico, prendeva fiato l’istante di silenzio veniva rapido violato dalla voce delle comari. Unica nota interessante il profumo di caffè che arrivava dal soggiorno, ma dalla radio neppure quello. Sto per spegnere ma riprende la musica e così considero, pensando al linguaggio poetico primordiale di Graves, che anche se nel corso della mia esistenza molto è in me cambiato un fondamento è rimasto immutato: il senso di essere. In questo istante so che sono, come lo sapevo da adolescente e da infante. Questo "sapere di essere” (metto tra virgolette in quanto sapere non intellettuale) immediato e spontaneo è forse il luogo intimo per esprimere quel linguaggio poetico primordiale. Lì possiamo con mente silente vedere per davvero e dire per davvero. Intanto alla radio la musica sfuma e riprende il dibattito. La conduttrice rivolgendosi alla signora la chiama “Ministra”. Penso ad uno scherzo, invece è vero, la signora è Ministra per davvero. Si, oggi quella tipologia umana non si intrattiene più a chiacchierare con le amiche ingurgitando caffè ma governa l’Italia. La conduttrice chiede della miseria di chi perde il posto di lavoro, dal tono e dalla semantica che utilizza si capisce che non sa di cosa parla. La miseria non sai cos’è se non la subisci senza volerla. Ma alla conduttrice poco importa d’essere empatica, d’altronde perché chiederle tanto quando solo un Dio riuscirebbe a sprofondare senza intellettualismi nella sofferenza altrui. La Ministra risponde con baldanza e butta lì una stupidaggine, poi come procedimento argomentativo opta per una metafora calcistica ed io per un istante sperimento l’odio. Dura poco, ma capisco cos’è, quel giusto che basta per riconoscerlo e circoscriverlo.Bruno VerganiImmagine: drawing di Paolo Polli "IL DELFINO" per gentile concessione dell'autore