Sul carrozzone della Chiesa cattolica romana si celebrano riti, tanto diversi tra loro, che sembrano appartenere a confessioni differenti: da una parte la messa delle chitarre scordate, omelia interminabile e Comunione con le mani; dall’altra quella in rito tridentino, in latino, con Comunione sulla lingua in ginocchio e donne con il capo coperto. Talvolta, a messa finita, le due fazioni si accapigliano in complesse diatribe liturgiche. Non rammentiamo che Gesù di Nazaret mostrasse interesse alcuno per la liturgia, se non per contestare formalismi e ipocrisie dei farisei. In effetti il problema più che divino è umano: la riforma liturgica conciliare degli anni ’60 ha coinciso con un progressivo e costante allontanamento dalla Chiesa cattolica dei suoi praticanti. Le cause sono numerose e complesse, non sfuggirà tuttavia di constatare che numerosi praticanti cattolici non si sono allontanati dalla Chiesa per diventare atei e neppure agnostici, ma invece per abbracciare liturgie sacre ancora più precise, esigenti e vincolanti nel Buddhismo o nell’Induismo. Già Paolo VI, negli ultimi mesi del suo pontificato, si era reso conto che qualcosa non andava nel “modernismo” da Lui inizialmente favorito e da lì la simpatia per i conservatori è continuata nei pontefici succedutisi in quanto, dati alla mano, il conformarsi ai tempi, specialmente in ambito liturgico, ha inaspettatamente svuotato le chiese. Per un’istituzione eterna e divina, ma nel contempo storica e condotta da uomini, dovrà necessariamente essere curata la forma; su questa terra un valore senza forma non può esistere e anche se dovesse esistere non potrebbe, comunque, senza forma resistere: liturgie forti, precise, dettagliate, con sacerdoti curati negli abiti, che officiano con sobrietà non sono faccende di stile attinente al formale decoro, ma cruciali nella sostanza: se un valore senza una forma non esiste quando la liturgia è sciatta, debole, approssimativa non è più gesto che agisce, ma commemorazione inefficace, morta. Fin qui, dunque, comprensibile un’attenzione alla liturgia che curi con precisione il gesto nelle istituzioni religiose e nelle tradizioni sacre. Così pure nelle attività artistiche e anche sportive, in quanto ambiti che possono trarre pienezza di vita e di risultati da riti ben confezionati. Ciò che differenzia i conservatori della liturgia cattolica dagli esponenti delle altre liturgie non è la precisione e neppure la fedeltà alla tradizione e neanche la complessità dei riti o la fattura e preziosità degli arredi, ma che i non cattolici terminato il rito lo buttano nel posto che merita: la spazzatura. Liturgia come mero strumento, gioco circoscrittto che consente di raggiungere il massimo della consapevolezza, completezza, libertà, realizzazione e per alcuni anche euforia nel massimo della costrizione e disciplina formale. Quindi consapevole libertà dalle forme che apre al mondo, inclusiva mai elettiva. Invece, non di rado, i conservatori cattolici equivocano il significato con lo strumento per raggiungerlo; buttano il contenuto e tengono la confezione che diventa feticcio, idolatria, potere che giudica negativamente il diverso da loro, così attorniati da ostensori a raggiera, reliquiari e navicelle per incenso pontificano ieratici metafisiche idiote e politiche antievangeliche. Meglio la sciatteria.