Perché mi ritrovo a cercar risposta al perché sono? Perché ho un istinto d’eternità pur sapendo che dovrò morire? Ci sarebbe la possibilità di non pensarci affatto a queste faccende, come del resto fanno tutti gli altri animali. Non sarebbe poi male uno stato di semplicità assoluta, diretta e fresca, tanto estrema che non conosce. Senza necessità alcuna di linguaggio, ne di realizzare Dio, ne di santificarsi e neppure di auto realizzarsi. Uno stato naturale dell’essere che forse gli uomini primitivi vivevano. Perché invece mi ritrovo condannato a cercare qualche altra cosa, perché mio malgrado inseguo istanze di liberazione, di cambiamento, di conoscenza ad oltranza e di realizzazione? Posso intuire questa pace animalesca, questa nostalgia di utero caldo ed umido, di uomo primitivo prima del peccato originale con la pupilla tersa perché inconsapevole di se stesso. Appena intuisco quello stato ne distruggo la spontaneità, lo traduco in cultura, nei termini delle miei particolari suggestioni e nel contesto del loro background. Ho nostalgia per quello stato di unità dove non hai la necessità di chiederti se l’universo è impersonale, aprogettuale e irresponsabile oppure personale, capace di intenzionalità e responsabilità. Buttar via tutto, per essere il figlio della donna sterile, immacolata concezione che non necessita di epistemologie. Forse se Dio fosse madre saremmo spontaneità, ma siccome è anche padre siamo intelletto, condannati a non separarci dalla cultura, ad essere prodotto della cultura, condannati ad un continuo movimento che ci spinge a cercare qualche cosa di diverso dallo stato naturale e perfetto in cui siamo. Meccanicamente occupati a cercare una cosa che forse non c’è. Bruno Vergani