Per comprendere il pensiero di un altro faccio così: opero inevitabilmente una soggettiva costruzione di significato su quanto espresso dall’altro a partire da ciò che sono io; dal pensiero di cui dispongo e di cui sono capace.Da lì definisco proprietà e relazioni che costruisco con azione organizzante, così sistemizzo l’altrui pensiero per renderlo compatibile (comprensibile) al mio in un processo di costruzione dei significati. Se il processo lo esegue anche il mittente la comprensione è facilitata. Utilizzando miei costrutti, verità inventate parziali e soggettive, non posso conoscere appieno il pensiero dell’altro ma solo la mia interpretazione. Non è il massimo ma non so altre modalità di comprensione e di comunicazione; ignoro la possibilità di un sapere che non dipenda dal soggetto che conosce. Il processo di ascolto e comprensione dell’altro è talvolta faticoso. Molto faticoso. Troppo faticoso. Se capita; visto che, in ogni caso, la nostra comprensione del pensiero dell’altro è parziale ed incerta; se proprio non reggiamo lo sforzo del processo suesposto, e l’altro non si da una mossa per venirci incontro possiamo sentenziare rapidi sul pensiero altrui, ad esempio con un: “Suona falso come una campana a tre chilometri di distanza”. E’ lecito farlo, non a posteriori ma anche a priori, beninteso dopo aver ascoltato o letto per almeno due minuti. Non è pregiudizio, non è disonesto e neppure peccato, anzi è virtuoso mandare rapidi a fanc... l’oratore o lo scrivente ma solo se presenti almeno tre delle seguenti condizioni:quando lo scrivente o l’oratore pontifica ieratico verità che presume assolute;quando parla degli uomini e di Dio con vocaboli che ci procurano uno stato d’animo simile a quando, nostro malgrado, dobbiamo leggere per intero un contratto di polizza assicurativa fideiussoria;quando nello scrivere si attarda in sintassi misteriose, gerghi e lingue immaginarie, prestiti linguistici e per attacco di claustrofobia per una lingua inadeguata alla potenza del suo pensiero, spacca e nel contempo riunisce (poteva lasciarle com’erano) tutte le parole con un trattino per farne emergere la Parola, il Verbo, evocato dall’antica etimologia che solo lui può far risorgere per elargircela; quando eccede con personali neologismi, che per interpretarli devi studiare tutti i suoi scritti degli ultimi decenni;quando recita;quando, se è in vita, lavora sistematicamente in progress così che quanto ha detto la settimana scorsa non vale più oggi però pretende tu lo conosca;quando, se dopo averlo ascoltato o letto, ti imbatti con uno che soffre e senti nel profondo che quello che ti ha comunicato nulla centra, nulla dice, nulla spiega, nulla aiuta in quell’accadimento. Bruno Vergani