Essere o divenire?
Nel Tetragramma biblico è rivelato il nome proprio di Dio: Yahweh "Io sono ciò che sono"; così, l’individuo fatto a immagine e somiglianza di quel Dio può affermare il “dato” che gli regala inequivocabile e stabile identità: “Io”.
Eppure, pur accorgendoci di essere noi stessi per deduzione immediata come suggerisce la Bibbia, osserviamo che la struttura dell’Io e le dinamiche che creano l’identità personale risultano complesse. Constatiamo che l’io è mutevole, inafferrabile, proteiforme, più vicino ad una costruzione narrativa, ad un processo in svolgimento, che a un dato oggettivo immodificabile ed inequivocabile.
La dialettica tra i due approcci ha caratterizzato la storia del pensiero e il rapporto conflittuale tra visioni religiose integraliste e umanesimo laico, fino a quando Yahweh - nome che nella tradizione ebraica è giudicato troppo sacro per essere pronunciato - è diventato, nella versione inglese "I Am What I Am", il motto della campagna pubblicitaria dell’azienda leader mondiale di scarpe da ginnastica. Il messaggio della multinazionale invita i giovani a riscoprire ed abbracciare la propria individualità unica e irripetibile perché test di laboratorio certificano che indossando le loro scarpe “... si genera un'attivazione dei glutei fino al 28% maggiore rispetto a una comune scarpa da ginnastica grazie ad un sistema di capsule di bilanciamento all’interno della suola della scarpa che crea una naturale instabilità ad ogni passo”.
Un 28% per cento in più di tono al culo che permette finalmente di affermare: "Io sono io". Potevano dirlo prima.
In buona compagnia
In un testo teatrale avevo scritto:
"Pietrificato scendo giù fino al lago di dolore, per contemplare i relitti che galleggiano nel silenzio";
esperienza che, di per sé, potrebbe essere condizione lapidea espressione di delirio personale, eppure nel momento che la si pensa e scrive ci si trova amici dell’esperienza umana universale: Eco che piange fino a rinsecchirsi e ridursi a un sasso in prossimità di uno specchio d'acqua; Medusa che trasforma in pietra chiunque la guardasse negli occhi; la moglie di Lot tramutata in una statua di sale.
Proficuo pensare e raccontarsi; utile leggere alcuni libri della Bibbia e le Metamorfosi di Ovidio come se parlassero ad ognuno di noi.
Forse un giorno
Nelle cose importanti quasi sempre avevo obbedito ai sentimenti, alle emozioni, e talvolta mi ero poi ritrovato a sprofondare in paludi dalle quali mi liberavo con l’atto del pensare. Avrei voluto vivere pensando invece avevo vissuto amando. Pensiero come istituzione fondante di me? Avrei voluto ma non riuscivo e ancora non riesco, forse un giorno guarirò e alla notizia del terremoto con migliaia di morti reagirò con un pensato e razionale: “Bene, eravamo in troppi”.
Indole e ambiente
Quando frequentavo l’ultimo anno dell’asilo di tanto in tanto veniva a farmi una iniezione “la tedesca”, una vicina di casa originaria della Germania dell’est. Quando vedevo entrare in stanza quel donnone con i capelli biondi cortissimi urlavo e fuggivo, per riuscire a farmi l’iniezione mi dovevano bloccare in tre. Siringhe di vetro enormi e bollenti, aghi dolorosi. Per qualche anno avevo creduto che “i tedeschi” erano quelli che facevano le iniezioni.
Quanto siamo determinati nel nostro pensare e agire dalle vicende della vita? Quanto dall’indole? Karl Marx figlio di un rabbino di Treviri; Bertold Brecht di un fabbricante di carta; Voltaire di un notaio; Berlusconi di un impiegato di banca, se fosse stato figlio di un rabbino, di un fabbricante di carta o di un notaio sarebbe venuto meglio?
Autoeditto bulgaro
Appese alle pareti di qualche negozio o laboratorio artigianale può capitare di leggere la “comunicazione di servizio”: “Prima di azionare la bocca inserire il cervello”; l’artigiano avvisa ed invita i clienti ad essere amici del pensiero per emanciparsi da pretese insensate. Diffusa l’involontaria indifferenza al pensare e qualche cartello che la ricordi potrebbe anche essere utile; meno conosciuta invece la consapevole e perseguita inimicizia al pensiero.
Sappiamo che la differenza tra un corpo cadavere e uno vivo è che il primo non pensa, eppure c’è chi s’impegna ad interrompere il personale pensiero convinto che, invece di ritrovarsi cadavere, raggiungerà una sorta di realizzazione, di illuminazione. La definiscono "meditazione recettiva" e mira proprio alla distruzione del pensiero. Esperienze picco di questa voluta ostilità al pensiero le troviamo in frange spiritualistiche new age che mal riferendosi a tradizioni mistiche, si sforzano di distruggere il pensare attraverso esercizi mirati, appresi da manuali - solitamente di autori americani - proposti in libreria. Seduti a gambe incrociate si rilassano cercando di fermare la mente e quando il pensiero si attiva gli mitragliano addosso mantra ripetitivi per stroncarlo sul nascere. Poi, non ancora soddisfatti, la notte invece di dormire tentano il “sogno lucido”: come sentinelle resistono al sonno e quando il sogno spontaneamente cerca di attivarsi per aggiustare i danni procurati dalle pratiche masochistiche diurne, gli risparano addosso meccanismi di controllo per governarlo. Dopo la notte insonne scesi dal letto finalmente si rilassano digiunando, mentre si sottopongono ad enteroclismi purificatori.
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero” recita l’inizio dell’articolo 21 della Costituzione, ma a loro non interessa. Preferiscono l’autocensura radicale obbediente a "linee editoriali" misteriose, pericolose, malate.
Io coobo; tu coobi; lui/lei cooba
COOBARE distillare ripetutamente un liquido versandolo ogni volta sui residui delle precedenti distlillazioni al fine di arricchirlo di principi attivi (Dizionario Garzanti). Probabilmente da una voce semitica. Verbo da rubare alla chimica perché lemma del percorso artistico e dell'esistenza.
le tre ferite narcisistiche dell'antropocentrismo
Uomo:
il suo pianeta è uno dei tanti (Copernico);
deriva dalla scimmia (Darwin);
non è padrone in casa propria (Freud).
Lavastoviglie virtuose
Amici mi hanno chiesto quanto attraverso la scrittura autobiografica sia riuscito a rischiarare zone oscure della mia vita e quali; se la scrittura sia riuscita a farmi compensare occasioni perse; se mi ha fatto meditare sugli errori e se ho saputo chiedere perdono; quali vizi capitali ho trasceso e quali virtù ho saputo conquistare; e per finire in che cosa sono meglio di prima dopo aver scritto la mia storia.
Domande che un po’ evocano lo schema dell’esame di coscienza della confessione sacramentale cattolica. Non comprendendo se gli amici facessero gli spiritosi o sul serio ho comunque risposto:Luce? Tenebre? Rischiarare? A mezz’ombra vegeto meglio.Sto alla larga da valzer compensatori e talvolta ringrazio le occasioni perse.La storia insegna che chi si impegna nel conquistare virtù è pericoloso per tutti e che le sanzioni fanno sovente meglio del perdono.Il mio vizio capitale è stato lo sforzo personale per essere virtuoso, ma ho poi realizzato che “migliori di prima” sono solo i computers e le lavastoviglie ultimo modello.
Animali complessi
Oggi è nato il figlio di amici cari e ho sorriso e quando qualcuno che conosco muore mi rattristo.
Soddisfatto di cosa? Triste per cosa? Così fan tutti ed io con loro. Bisognerebbe conoscere come si svolgerà una esistenza per sorridere del suo inizio e rattristarsi del suo cessare invece, a prescindere, un qualcosa suggerisce che è proficuo nascere e svantaggioso morire. Forse questo desiderio di essere, noncurante dello svolgimento esistenziale, è faccenda non sacra ma biologica; conservazione della specie: come gli animali preferiamo esserci.
Qualcuno vedeva le cose in modo diverso: Schopenhauer e anche Buddha. Il primo per la sua lucidità nel diagnosticare la condizione umana intrinseca al dolore e il secondo, d’accordo con il primo, impegnato però ad escogitare una via d’uscita. Qualcun altro di fronte al dolore estremo ha sfidato i decreti biologici per scegliere di non essere più. Un altro aveva detto "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Non tutti sono come animali, siamo molto più complessi e non sono sicuro che sia sempre un vantaggio.
New generations
Difficile la vita per le nuove generazioni. Oggi chi frequenta l’università, il più delle volte, invece che conferme intravede alla fine del percorso un punto interrogativo che incombe.
Dagli anni Cinquanta ai Settanta il messaggio che la società comunicava ai giovani era invece confortante e motivante. In alcune aree d’Italia c’era lavoro per tutti e chi non trovava il lavoro giusto poteva impegnarsi in qualcosa che gli assomigliava, cadendo comunque sempre in piedi senza farsi male. Ricordo che alle superiori avevo frequentato qualche giorno, non mi piaceva e avevo mollato per andare a lavorare da un meccanico, mio padre non mi dava denari ma mi permetteva di fare quello che preferivo. Avrei ripreso gli studi dopo qualche anno nello stesso istituto tecnico, corso serale, mentre di giorno lavoravo in un ospedale. In pochi anni avevo cambiato numerosi posti di lavoro, era agevole nella Lombardia di quei tempi trovarne di nuovi. Avevo provato la catena di montaggio, ma dopo due giorni mi ero licenziato. Non riuscivo a comprendere come facessero a resistere i miei compagni di lavoro, lì per otto ore a ripetere lo stesso movimento. La serenità di qualcuno l’avvertivo così incomprensibile che mi procurava inquietudine. Atteggiamento che rivisto oggi appare meritevole di sanzione.Se non mi piaceva un lavoro, o mi erano antipatici i compagni cambiavo posto. Una battuta antipatica di un collega, un’alitosi di un datore di lavoro e me n’andavo. Mentre lavoravo in un posto altri datori di lavoro mi proponevano di interrompere per recarmi da loro, offrendomi condizioni migliori, la situazione sembrava precaria perché non trovavo quello che davvero mi piaceva, eppure mi muovevo all’interno di una rete di rassicurazioni sistematiche. Ero un privilegiato ma non lo sapevo.