In questo blog ho raggruppato miei brevi scritti dal taglio esistenziale nella categoria “Filosofia di strada” titolo di un libro del caro amico Augusto Cavadi, recensito qui. Ho rubato l’espressione perché condensa la posizione di quelle persone che, pur sprovviste - come me - di competenze filosofiche, si pongono domande sul significato dell’esistere e sui problemi che incontrano nel quotidiano e in questo pensare “dicono la loro”. Persone che, pur approfondendo per puro piacere il pensiero di alcuni filosofi, non avvertono la necessità di collocare le personali inferenze in una visione di pensiero globale e coerente, indifferenti alle potenziali contraddizioni che potrebbero emergere se si confrontassero con la storia della filosofia.
Siccome Augusto non si limita a questo pensare artigianale avulso dalla storia della filosofia, insomma è filosofo davvero, e il suo libro dal quale ho rubato il titolo è ben di più di quanto suesposto, gli avevo chiesto supporto riguardo a personali difficoltà nel comprendere i filosofi contemporanei, specialmente alcuni accademici postmodernisti che avvertivo ostici, complicati. Aveva risposto di non preoccuparmi più del necessario in quanto, dopo aver decriptato gineprai d’iperboli, non sempre si incontrano pensieri della massima importanza e utilità.
L’avevo ascoltato anche se mi era rimasta un po’ d’invidia per chi in questi autori ci pucciava disinvoltamente il pane.
L’invidia è passata quando mi è tornato alla mente “L'affare Sokal”. Per chi, come me, se lo fosse dimenticato è sufficiente un giro in Wikipedia.
In sintesi:
Nel 1996 Sokal professore di fisica alla New York University, propose un articolo che citava frasi di accademici postmodernisti scelte a capocchia mischiate ad affermazioni insensate, al giornale accademico Social Text.
Sokal riteneva che il suo articolo sarebbe stato pubblicato sebbene privo di senso, ma ossequioso nei confronti dell'ideologia dei redattori. L'articolo, dopo approfondita lettura accademica, venne pubblicato.