Da Pessoa al Rococò
Aldo Carotenuto ricordava nel suo libro “Il fascino discreto dell'orrore” che l’arte è eretica; Romeo Castellucci contestato a Parigi per il suo recente spettacolo sull’umanità di Cristo riafferma che: “L’arte è eretica, lo è sempre stata”.
Frase ad effetto che tira fuori dall’immaginario visioni di avanguardie artistiche che eroiche combattono regimi, omologazioni, dottrine.
Ad effetto svanito l’affermazione collassa: le rappresentazioni estetiche di forme, colori, parole e suoni che definiamo arte sono tra le più varie e contrapposte, libere e sovversive ma anche omologate, di regime, inibite, ipocrite. “Arte” dice tutto e nulla, da Pessoa al Rococò.
Identificarla, poi, nell’eresia è ingrigliarla e anche indottrinarla perché l’eresia tende all’ortodossia, reagisce ad una dottrina con un’altra, conserva invece d’innovare. L’arte è altra cosa non sopporta definizioni e aggettivi, manco eretico.
Stilemi
Non sopporto la tombola, però ieri mi era piaciuta. Croupier un pensionato tarantino che invece di riferire il protocollo della Smorfia: 32 'O capitone; 33 L'anne 'e Cristo… S’inventava, lì per lì, stilemi che abbinava ai numeri; ne ricordo uno: «30 I Fratelli “Karamatoc”».
Mi ero rilassato e un suggeritore interno aveva iniziato a regalarmi liberi abbinamenti:
38 Profeta gommoso;
24 Sciamano salernitano;
15 Bradipo esoterico;
12 Galassia introversa;
89 Urinar compunto;
76 Colon di Giuda;
4 Trottola magnanima;
11 Minchia vagante;
3 Ballerina antartica.
Si scrive olistico si legge occulto
Credere o non credere nell’efficacia terapeutica delle piante medicinali è contrapposizione anacronistica, lontani i tempi delle empiriche sperimentazioni cliniche che sostituivano quelle farmacologiche. Oggi si conoscono i principi attivi che procurano azione curativa, noti anche i meccanismi d’azione. Così la chimica farmaceutica ha sintetizzato molecole presenti in natura per realizzare farmaci anche molto attivi, viceversa le piante liberate dall’aurea di magia vengono sempre più utilizzate come complemento alle terapie farmacologiche.
Qualcuno ci è rimasto male. L’arte di curare banale faccenda di terpeni e polifenoli, tutto qui? Così tirati da una misteriosa nostalgia sono ritornati ai tempi passati quando alcaloidi, eterosidi e mucillaggini erano entità chiamate “energie”. Delusi da iridoidi e saponine preferiscono l’occulto. Da qui dottrine che, indifferenti alla biochimica e all’energia espressa in wattora, raccontano di energie “alte”, talvolta “profonde”, di rimedi veicolanti forze misteriose che esplicherebbero azione curativa.
Il pensiero erboristico nostalgico si esprime in due filoni agguerriti, spesso convergenti. Quello degli “Immacolati” che identificano l’origine della malattia, d’ogni malattia, nell’entità “Tossina”. Il novello diavolo non sono i noti cataboliti ma entità metafisica che, da fuori, ci intossicherebbe ontologicamente le viscere per il semplice fatto che esistiamo. Peccato originale da pulire con tisane coleretiche e digiuni ad oltranza.
L’altro è quello dei devoti ai rimedi “vibrazionali”, “soprasensibili”, olistici (si scrive olistico si legge occulto). Piuttosto clericali se contestati ti tengono il broncio.
Nella “Psicopatologia della vita quotidiana” Freud spiega che tutti i nostri comportamenti hanno un significato e definisce il superstizioso colui che proietta all'esterno una motivazione che andrebbe cercata nel suo intimo, “… il superstizioso non sa nulla della motivazione delle proprie azioni casuali, e perché il fatto di questa motivazione pretende un posto nel suo riconoscimento, egli è obbligato a sistemarla mediante spostamento verso il mondo esterno, a stabilire una siffatta connessione, difficilmente essa si limiterà all'applicazione singola. Credo infatti che gran parte della concezione mitologica del mondo, che si estende diffondendosi sino alle religioni più moderne, non sia altro che psicologia proiettata sul mondo esterno.”
La tossina c’è ma è endogena. Se rimanesse al suo posto e lì nell’intimo venisse affrontata invece che sparata fuori avremmo più pensatori e artisti e meno guaritori, omeopati e fiori di Bach. Un vantaggio per tutti.
A scatola chiusa
Il 26 dicembre la libreria del paese era aperta, tirato da una forza ignota allo scaffale dell’Adelphi avevo acquistato d’impeto:
1 Del Delitto;
2 La conoscenza del peggio, a dire della recensione “… opera filosofica fra le più notevoli dei nostri tempi”;
3 Dialogo teologico,
tutti e tre di Manlio Sgalambro.
Nel Del Delitto leggo:
«… la ragione dà ragione all'assassino e alla sua vittima. L'assassino e la sua vittima sono inscindibili. “Ti sei interessato a me sino a uccidermi” ».
Sulla provinciale avevo messo sotto un gatto, ignoro quanto abbia apprezzato quel mio interessarmi a lui.
L’Autore dovrebbe pubblicizzare il postulato dentro i tribunali penali, proferirlo di persona ai familiari dei morti ammazzati per verificarne l’interesse.
Però dovrebbero affiggerlo un cartello in libreria:
“Avviso ai clienti: se tirati da forze ignote rimanete fermi."
Natale
Tra i luoghi più lontani dalla bellezza ci sono i negozi di giocattoli. Meglio un po' d'incenso e mirra, anche senz'oro.
biella e manovella
Talvolta sospetto che la sofferenza dell'umanità sia il carburante che fa funzionare Dio, che così alimentato arde ed esiste.
Nessuna musica dalle alte sfere ma rumore di fornace.
"L'affare Sokal"
In questo blog ho raggruppato miei brevi scritti dal taglio esistenziale nella categoria “Filosofia di strada” titolo di un libro del caro amico Augusto Cavadi, recensito qui. Ho rubato l’espressione perché condensa la posizione di quelle persone che, pur sprovviste - come me - di competenze filosofiche, si pongono domande sul significato dell’esistere e sui problemi che incontrano nel quotidiano e in questo pensare “dicono la loro”. Persone che, pur approfondendo per puro piacere il pensiero di alcuni filosofi, non avvertono la necessità di collocare le personali inferenze in una visione di pensiero globale e coerente, indifferenti alle potenziali contraddizioni che potrebbero emergere se si confrontassero con la storia della filosofia.
Siccome Augusto non si limita a questo pensare artigianale avulso dalla storia della filosofia, insomma è filosofo davvero, e il suo libro dal quale ho rubato il titolo è ben di più di quanto suesposto, gli avevo chiesto supporto riguardo a personali difficoltà nel comprendere i filosofi contemporanei, specialmente alcuni accademici postmodernisti che avvertivo ostici, complicati. Aveva risposto di non preoccuparmi più del necessario in quanto, dopo aver decriptato gineprai d’iperboli, non sempre si incontrano pensieri della massima importanza e utilità.
L’avevo ascoltato anche se mi era rimasta un po’ d’invidia per chi in questi autori ci pucciava disinvoltamente il pane.
L’invidia è passata quando mi è tornato alla mente “L'affare Sokal”. Per chi, come me, se lo fosse dimenticato è sufficiente un giro in Wikipedia.
In sintesi:
Nel 1996 Sokal professore di fisica alla New York University, propose un articolo che citava frasi di accademici postmodernisti scelte a capocchia mischiate ad affermazioni insensate, al giornale accademico Social Text.
Sokal riteneva che il suo articolo sarebbe stato pubblicato sebbene privo di senso, ma ossequioso nei confronti dell'ideologia dei redattori. L'articolo, dopo approfondita lettura accademica, venne pubblicato.
Maieutica
L’etnomedicina rendiconta di indigeni sudamericani che, per quieto vivere con i colonizzatori, frequentavano la loro chiesa e si facevano visitare dal medico missionario per poi, di nascosto, ignorarne le prescrizioni e curarsi dallo sciamano;
studenti simulano in classe interesse per i classici che poi a casa buttano in un angolo. Pigri? Irresponsabili? Anche.
Eppure c’è dell’altro in questo disobbedire non liquidabile in categorie meritocratiche e in giudizi di valore tradizionali per, invece, analizzare quella forza che tende a diffidare del sapere Altro e dell’altro, specialmente di nozioni, precetti e catechismi. Socrate ben la conosceva così, nell'insegnare, interrogava abilmente l’interlocutore per aiutarlo a mettere il luce il suo pensiero originale: “maieutica” arte della levatrice.
Lacan ne “Il discorso dell'università” si spinge oltre chiarendo come i tentativi di educare la pulsione (autoreferenziale) falliscono sempre perché c’è qualcosa del godimento singolare di ciascuno di noi che non si consegna al padrone. Governare, educare e psicoanalizzare sono tre professioni impossibili diceva Freud.
Monia Coltella ha elaborato una interessante sintesi del dicorso di Lacan analizzando la figura dell’Isterica:
“... nata per mettere in questione il padrone e per lei il sapere è il luogo di godimento; è alla ricerca di un sapere della verità, non si accontenta del sapere universale della medicina e per questo essa porta ad un nuovo sapere mettendo, come afferma Lacan, il sapere della scienza al puro servizio della verità, diversamente dal discorso universitario che invece rinuncia ad ogni elemento di innovazione e creazione poiché si limita a ripetere servilmente il discorso del Padrone. Il discorso universitario è il modello del discorso della conoscenza razionale.
Questo discorso non riguarda solo l’insegnamento universitario ma ogni pratica discorsiva d’istruzione. Secondo Lacan esso rappresenta il passaggio del discorso del padrone antico a quello moderno. Qui, il saper fare del servo, viene trasformato in sapere teorico (o sapere del padrone), sprovvisto del godimento che gli era proprio come sapere del servo. Lacan parla di questa sottrazione in termini di “furto”. La decadenza del discorso del padrone, che può intendersi anche come un declino della funzione paterna, e il suo rimpiazzo con il discorso universitario, fa sì che la società funzioni come se fosse un università. Così gradualmente, il tecnico, lo specialista hanno rimpiazzato il capo come padrone antico e anche il padre. Secondo Lacan il sapere della scienza si è burocratizzato e la stessa burocrazia cerca infatti di supplire il nome del padre che è in declino. Questo rappresenta il tentativo, condannato sempre a fallimento, di normalizzare il godimento attraverso tecniche che misurano il comportamento, ecc.. Il matema del discorso universitario mostra come, dietro a un tentativo di insegnare una certa conoscenza, c’è un tentativo di comando, governo dell’altro a cui è attribuito un sapere. In questo discorso il sapere è morto, perché si studia l’altro avendo scartato il problema del godimento e della soddisfazione. Il discorso universitario, sotto la forma delle argomentazioni degli esperti, ha cominciato a organizzare ciò che è più intimo nella vita privata e anche ciò che è pubblico; persino i politici giustificano le loro azioni sostenendo che le loro decisioni poggiano sulle conoscenze degli esperti e non perché controllano i fili del potere.
L’isterica è colei che mette in questione il sapere universalizzato per difendere la sua singolarità. In questo senso, il discorso isterico costituisce il rovescio del discorso universitario nel quale il sapere è agli ordini del potere. Lacan rapporta il discorso universitario con la scienza facendo notare la base su cui essa poggia. Tale sapere formalizzato s’indirizza allo studente (o astudato) come oggetto. Il sapere accumulato è un sapere tecnico e comandato dai significanti padroni, perciò ogni verità che punti all’apertura di un sapere, risulta ostacolata dall’imperativo del padrone che spinge ad accumulare più sapere. Come afferma Foucault in “Sorvegliare e punire”, ciò che è proprio dell’”età moderna del potere” è la convergenza tra sapere e potere.”
Il Dio delle donne?
La lotta per l’emancipazione dall’oppressione di genere del femminismo italiano è storia complessa; ad ondate cicliche si sono sviluppati “femminismi” liberali, socialisti, anarchici, radicali, lesbici.
In questa galassia eterogenea singolare il pensiero di Luisa Muraro, figura centrale del femminismo italiano, che ad esempio di emancipazione e realizzazione femminile propone donne della tradizione mistica cristiana.
Proprio nella Chiesa cattolica luogo dove, secondo altri femminismi, imperverserebbe un universo simbolico e liturgico misogino la Muraro indica, al contrario, figure femminili uniche e singolari di monache e sante che avrebbero testimoniato e realizzato gli obiettivi che il femminismo stesso si prefigge. Dall' incontro con la figura della mistica Margherita Porete annuncia così il «Dio delle donne» sfida teologica e filosofica, dove la donna si realizzerebbe dribblando il confronto con il maschile (dentro e fuori di lei) per fondersi nell’allegoria dell’Assoluto, nel rapporto con un “Altro” che non è l'uomo. La singolarità femminile verrebbe salvata nel perdersi in un Oltre indicibile che regalerebbe godimento nuovo e assoluto, esperienza di un sapere inaspettato.
Chi è questo “Dio” che permetterebbe alle donne di “esserci” senza più, finalmente, ripetere servilmente il discorso del Padrone, del Capo, del Padre? La Muraro lo evoca ma non lo svela, lascia spazi aperti, vuoti indicibili, invita all’occulto.
Le perplessità appaiono evidenti per due ragioni. La prima nella discrepanza del Dio fantasticato dalla Muraro e quello del Magistero ecclesiale: déi incompatibili che non possono coabitare; donne mistiche che pontificano a Papi e vescovi esistono solo nei salotti degli intellettuali, la storia della Chiesa è un’altra, così pure l’esperienza delle donne che vivono sul campo tentativi di emancipazione all’interno della Chiesa cattolica.
La seconda è che la dimensione mistica è evidentemente universale, non di genere e neppure di confessione.
Singolare che l’esperienza di femministe laiche amiche del pensiero siano poi approdate all’abbraccio di teorie presupposte, di idee confuse, invitando alla sospensione della vita e della soggettività nell’oblio mistico, nell’annullamento del soggetto nella fusione, rapite da un dio che non c’è.