BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Mercoledì, 21 Marzo 2012 09:58

Eclisse del Dio Unico

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Il saggio di Parazzoli scaraventa in prima fila e senza preavviso in una pièce beckettiana: Iddio si sta liquefacendo, si scioglie per davvero, si scioglie tutto. Gli attori, immersi nel vuoto, girano ebeti su sé stessi e pucciano le scarpe nella pozzanghera. Non siamo a teatro e neppure spettatori, ma nella realtà e protagonisti: l’Occidente, dimenticate le narrazioni mitiche che l’avevano costituito, orfano del dio che si era inventato, vaga in un nichilismo epidermico, «la pappa del niente».

Gente sveglia gli occidentali, gente creativa, Parazzoli cita, insieme all’invenzione del dio unico quella del «Grattaschiena telescopico». Non fa lo spiritoso, la faccenda è drammatica e si ride a denti stretti [l’oggetto esiste davvero, i curiosi e gli interessati nel sito D-Mail potranno trovarlo agilmente. L’arnese, telescopicamente allungabile, permette di grattarsi la schiena fino ai glutei].
Tempo addietro eravamo più creativi, prima sciamani che divinizzavano oggetti grazie alla potenza eroica dell’intenzione poi, ad Est, siamo stati così fantasiosi da brevettare un dio antropomorfo, il dio, che annoiato di albergare nelle alte sfere sceglieva un pugno di eletti, i suoi autori e registi, per entrare impetuoso nella storia: monoteismo tribale culla dell’occidente. Bei tempi quelli dei miti, quelli del non avrai altro Dio all’infuori di me, dove gli atei erano davvero atei e il nichilismo assoluto, coraggioso e dinamico, oggi degradato ad un «tutto è uguale a tutto poiché tutto è niente».

Non curante delle sistematizzazioni, non propenso a procedimenti dimostrativi Parazzoli va rapido a enucleare nascita, gloria ed eclisse del dio unico. Lo stile è originale: brevi racconti, incursioni poetiche in un linguaggio diretto, quasi primordiale, che ti arriva allo stomaco. Pensieri improvvisi folgoranti. Estemporanei frammenti autobiografici: l’Autore, uomo colto, scrittore erudito, che ha speso l’esistenza nella ricerca di senso, ricoverato in rianimazione dopo un infarto, lì lì per schiattare, indifferente ad ogni escatologia, senza nessuna idea superiore sulla vita e sulla morte, pensa solamente a dove mai avranno messo le scarpe che calzava prima del malore. Autoironia feroce e magistrale. In alcuni passaggi, lontano da intellettualismi, fa emergere il suo percorso di scrittore, versione moderna dello sciamano e del sacerdote: «Linguaggio mezzo di comunicazione tra orizzontale e verticale, tra ragione e mistero, società e mito». Rifiuta il teismo e il nichilismo,  dopo la morte di dio l’emancipazione dal nulla è data dal pensiero, dal linguaggio, dall’atto artistico, dalla scrittura che decodifica il mondo.
Opera strana. Sana. Condensata ma non criptica. Un libro bello, onesto, duro, per coraggiosi, che come sottotesto costante sembra affermare con Pilato: «Quel che ho scritto ho scritto»; questo è il mio pensiero: prendere o lasciare.

Marcello Veneziani nella sua recensione si attarda sulla «conversione al rovescio» di Ferruccio Parazzoli: «Scrittore cattolico per una vita, direttore di case editrici e collane d’ispirazione cattolica, firma di punta di Avvenire, Famiglia Cristiana e Jesus, vicino alla Conferenza episcopale e all’Opus dei, in età grave si è ribellato al cliché ma ha fatto anche di più, ha disdetto Dio».
Pettegolezzi di sottofondo che nulla aggiungono e nulla tolgono alla persona e alla sua opera, tuttavia – ad onor di Parazzoli – non sfuggirà che di solito accade proprio il contrario nel diffuso, e tutto italico, abbraccio della consolazione religiosa di atei e agnostici al tramonto dell’esistenza.

Vito Mancuso arranca in una articolata prefazione, sostenuta più da affetto personale per l’Autore che per amicizia al suo pensiero. Tenta una sistematizzazione ingrigliando il pensiero di Parazzoli nel «panteismo, nel senso che il suo Dio (il principio primo, il fondamento) diviene qui il mondo stesso».
Classificazione asfittica, che non considera la potenza autosostenente, autogiustificante, creatrice di senso, che l’Autore manifesta nel dire la sua e nel dirla in quel modo. Mancuso tenta anche una sistematizzazione dell’Autore collocandolo nello «scisma sommerso che sta attraversando la Chiesa cattolica», ma ingabbiarlo nello scismatico significa indottrinarlo perché lo scismatico tende all’ortodossia, reagisce ad una dottrina con un’altra e conserva invece d’innovare. Parazzoli è altra cosa, non sopporta aggettivi, manco scismatico.

Ferruccio Parazzoli
Eclisse del Dio Unico
Il Saggiatore 2012
160 pagine, 13 euro

Ultima modifica il Venerdì, 23 Marzo 2012 17:34

2 commenti

  • Link al commento Augusto Cavadi Venerdì, 09 Agosto 2013 14:59 inviato da Augusto Cavadi

    Grazie della segnalazione, Bruno. Avevo sfogliato il libro in qualche libreria, ma le tue righe mi aiutano a coglierne meglio il peso. Per ora sto proprio riflettendo sull'ipotesi che il Dio unico possa essere una "cifra" (in senso jaspersiano) del divino...

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  • Link al commento Bruno Vergani Venerdì, 09 Agosto 2013 17:55 inviato da Bruno Vergani

    Lo stile del libro è davvero fresco, piacevolmente bizzarro, indica il trascendente senza mai possederlo, indifferente alla Rivelazione e alle Istituzioni che lo rappresentano dice di Dio in presa diretta sulla base della relazione, dell’Autore, con l'esistenza stessa attraverso metafore, simboli, audaci giochi semantici e narrativi.
    Di quel poco che avevo letto dell’ostico Jaspers ancor meno avevo compreso, se la sue cifre sono simboli che a partire dalla relazione con l'esistenza indicano il trascendente attraverso il simbolico evitando di oggettivarlo, questo saggio di Parazzoli è qualcosa che indaga in quei territori e che gli assomiglia.

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