In solitudine guardo una mia vecchia radiografia. In una radiografia si vede una persona in trasparenza. Si vede dentro, si vede tutto, eppure non c’è niente di particolare da vedere. Potrebbe essere quella di un cadavere. Potrebbe essere quella di un altro. I corpi, mio o tuo, vivo o morto, dentro sono tutti uguali. Anche i respiri sono tutti uguali. Qualcuno continua, qualcuno cessa, qualcuno inizia. Guardo una mia fotografia, avevo due anni, l’occhio era consapevole, come quello di una mia fotografia recente. Negli anni il corpo è cambiato, ma l’occhio è lo stesso; forse l’anima esiste davvero, è quella cosa lì dentro gli occhi che fa dire: “Si, è lui”. In mezzo alle due foto ci sono tanti anni, tante vicende, quel bambino che sembrava disperso oggi è tornato, è rimasto nascosto per poi manifestarsi ancora; ma allora a che serve il percorso se conduce alla partenza? Forse la comprensione non è un processo ma percezione istantanea. Forse non sono un mortale. Cosciente il bambino, cosciente l’uomo, continuo infinito presente? Nelle fotografie entrambi osservano qualcosa. Cosa? Vedono che esistono e comprendono che è atto potente? Sembrano andare oltre l’apparato psicosomatico che li contiene; indizio d’immortalità? Eppure non sono mistici rarefatti, sono invece individui, persone pensanti. Forse nei labirinti della psiche per emanciparsi dall’ego bisogna rafforzarlo. L’io non è solamente un pronome personale, se Dio esiste è quella cosa lì, o qualcosa che gli assomiglia.