Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Circuito chiuso, aperto, cortocircuito
Charles Bukowski, precettore di strada, leggeva qualche suo scritto - a suo dire per mero lucro - in circoli e scuole di scrittura creativa. Diceva, ebbro, di mutande di femmina, di feroci masturbazioni estemporanee. Qualche docente se ne andava sbattendo la porta.
A domanda sull’utilità delle scuole di scrittura Bukowski vedeva gli studenti fottuti a priori:
il desiderio di essere istruito prova certa di personale miseria umana e artistica.
Sentenza congrua, quella di Bukowski, alle scuole di scrittura dei suoi tempi e delle sue nordamericane parti, o universale? Corrivo generalizzare, utile trattenere l’annotazione per riconoscere e rifiutare ingrigliamenti educativi inibenti l'autorale pensiero. Se creativa l’istituzione è il partecipante, meglio non chiamarla scuola fa cortocircuito.
DSM Manuale Diagnostico
Chissà com’è che al neurologo è concessa - anzi imposta - facoltà di diagnosticare depressione, ma all’oculista è proibito identificare un occhio concupiscente.
Cadaveri
La Natura talvolta sa di morte
i laghi lombardi e
i cimiteri monumentali
si assomigliano come gemelli.
L'Esaltato
L’esultante salterella come un capriolo, dicesi anche imbaldanzito. Il suo ballonzolare non dura più del necessario, Spinoza nell’Etica osserva che è atteggiamento derivante da raggiungimento insperato di un traguardo.
L’esaltato invece non saltella, balza agitato all’insù e non torna più giù. Per farcela a rimanere crocifisso lassù è condannato a dimenarsi a oltranza, se si rilassa gravita giù. Sforzo immane, consumo chilometrico enorme. L’esaltato non va a benzina, va a nemici. Li incontra ovunque e se non li trova se li inventa, più li interpreta pericolosi meglio funziona.
Affezioni
“Affezione” può delineare passione amorosa oppure stato morboso.
Oggi, in un suo scritto, G.B. Contri, psicoanalista, toglie l’“oppure” individuando vicinanza tra innamoramento e ira. Dopo aver fornito condensata dimostrazione dei caratteri comuni, annota:
«In Italia si dice “femminicidio”, ma avete mai letto un giornalista che tira in causa l’innamoramento?: dietro il femminicidio c’è Sanremo [imperversare del de-cantato innamoramento, nota mia]».
Mica dice che le canzonette sono criminogene, lo è la celebrazione dell’innamoramento assoluto, ipnotico, dove l’altro viene divinizzato-reificato a sagoma che indossa l’ideale dell’io.
Esagerato correlare tale gravità alla canzone “leggera”? Propongo un paio di testi di canzoni d’“amore”1, estrapolati tra migliaia di analoghi, invitando a straniarli dal lieve contesto canzonettistico per trasporli alla cronaca nera. Lì risulteranno sinistramente tempestivi e congrui, propriamente contigui a stati mentali di potenziali o reali assassini pre o post delitto:
«Occhi spenti nel buio del mondo
per chi è di pietra come me […]
Perduto per sempre! Non ha più ragione la vita.
La mia salvezza sei tu […] Pugni chiusi non ho più speranze
in me c'è la notte più nera […]
Io come un albero nudo senza te
senza foglie e radici ormai […];
Mi manchi come quando cerco Dio
il dolore è forte come un lungo addio […]
E l’assenza di te è un vuoto dentro me […]
In ogni lacrima tu sarai per non dimenticarti mai.
E mi manchi, amore mio così tanto che ogni giorno muoio anch’io […]
Grido il bisogno di te perché non c’è più vita in me.»
Nevvero?
1Pugni chiusi, Ribelli; In assenza di te, Laura Pausini
Lì per lì
Cercava su Facebook il compagno di scuola che non vedeva da quarantadue anni e non c’era, ma un giro su Google immagini e ecco apparire la faccia: una cosa, lì per lì, orribile.
Ma cosa gli era successo? Cosa gli avevano fatto? Possibile che il vivere faccia così male?
Aveva ripreso a guardarlo: più lo osservava e più la vecchia faccia diventava valorosa. Un valore discreto e strano. Lì per lì non si era accorto.
Un fico secco
Deus sive Natura? Però se la foglia secca di Tiglio non la raccattavo da terra acquisendo l’immagine con uno scanner mica mi accorgevo dei suoi bei frattali.
Forse anche Iddio fa come me.
A modo mio
Era là nello scaffale dimenticato chissà da chi e l’avevo aperto. Nella premessa c’era scritto che l’Autore è un gigante e il libro opera per lettori non troppo pigri e con un livello di cultura almeno medio. La lettura della premessa fluiva, poi improvviso il testo, quello vero. Lì un senso di repellenza si impossessava rapido di me, facevo finta di niente ma la struttura geometrica del testo mi immobilizzava, con mente e ventre paralizzati facevo la faccia da saggio per dare prova al mondo che non ero troppo pigro e neppure troppo deficiente. Una telefonata mi liberava dal supplizio, con la faccia neutra avevo rimesso il libro nello scaffale come un cadavere nel loculo, però ogni volta che ripassavo da lì sentivo voci, una specie di coro dentro una qualche parte del corpo:
«Morirai senza averlo letto, pigro deficiente».
Siccome il coro iniziava a rodermi anche quando non passavo da lì avevo fatto un giro su YouTube per vedere gli addetti ai lavori dire dell’opera, forse il raggiungerla aggirandola mi avrebbe, prima o poi, permesso di affrontarla per dare prova al mondo di non essere troppo pigro e troppo deficiente. Gli esperti la citavano disinvolti e più erano spigliati e più sentenziavano quanto fossi deficiente per davvero. Dopo un paio di giorni l’avevo ripresa in mano come si prende un topo putrefatto e avevo resistito a leggere dalla pagina 2 alla 7, ma esausto di definizioni, assiomi, proposizioni e scolii, l’avevo rimessa nel loculo per prendermi un libro di interviste a Bukowski così da vivere ancora. Ieri sera la svolta: l’ho aperta a capocchia e mi sono letto una riga per ruminarmela nella nottata, oggi un'altra riga. Che strano, è buonissima mangiata a piccolissimi frammenti. Domani continuerò l’Etica di Spinoza a modo mio, il suo non mi piace.
Esaltata Contrizione
«Ogni tragicità è fondata su un conflitto inconciliabile. Se interviene o diviene possibile una conciliazione, il tragico scompare»
J. W. Goethe, Colloqui con Eckermann
Osservo una precisa eccezione all’affermazione di Goethe, quella religiosa salvifica dove la divina conciliazione nell’estinguere il peccato rafforza, nel contempo, la condizione tragica del peccatore. Conciliazione tragica: presupposta divina onnipotenza nella reale umana impotenza produttrice di esaltata contrizione. Note versioni tragicomiche.
Immagine: Giotto di Bondone, Lamento sul Cristo morto, 1304-06. Particolare
La grassa terra del riso
Stringato ma proficuo scambio epistolare con Padre Piero Gheddo sulla mia recensione alla biografia “Vita di don Giussani” di Savorana che gli avevo proposto, letta con interesse pur non condividendo parecchi dei miei giudizi.
Anche se distante su valutazioni non secondarie ho sentito Gheddo amico.
Sarà per la sua visione universale e inclusiva? Per la saggezza dell’età avanzata? Per l’approccio umano invece che ideologico? Forse. Eppure sono convinto che, ancor prima, tra le cause di simpatia la comune infanzia rurale.1
Vicende importanti quelle dei bambini che catturano serpi. Esperienze costitutive in apparenza rimosse nell’età adulta ma che impregnano, invece, tutta l’esistenza. Al suo finire carsiche ritornano potenti per ricondurci alla meta, là dove tutto è iniziato.
Mica dico che i bambini metropolitani siano svantaggiati anche se, forse, più raramente potranno cogliere quello strano sentimento di costitutiva alleanza.
1Gheddo scrive in una presentazione autobiografica:
«La risaia, vista in fotografia, non ispira. Invece, vissuta da ragazzi avidi di scoperte e di avventure, la grassa terra del riso, intersecata da canali e da fossi, con i solenni aironi dal lungo collo e le ampie ali, che planavano come piccoli aerei sulla terra appena arata e preparata per accogliere le acque della seminagione, era la nostra scuola e il nostro campo di apprendimento per la vita. Conoscevamo i nomi degli alberi (pioppi, conifere, robinie, pini, platani), dei fiori (mughetti, ciclamini, rose, margherite, ortensie, viole, papaveri, crisantemi, gigli, fiordalisi, garofani) e degli animali; eravamo presenti quando si svuotavano le risaie delle acque, mettendo grossi cesti al bocchetto per raccogliere carpe e tinche, rane e bisce acquatiche.»
Dalla mia autobiografia:
«Boschetti di robinie, lucertole, grilli, bande con le fionde. A cinque anni ero basso di statura e magrissimo, non mi piaceva tirare sassi ai nemici preferivo fare lo stregone. Avevo un paio di assistenti, il più capace l’avevo soprannominato “Ciulino”, l’avevo scelto perché catturava orbettini, piccole serpi lisce e quasi cieche, che infilava nel naso per farle uscire dalla bocca. […] Io mi limitavo a mangiare qualche zampa di cavalletta e formiche. Quando la banda catturava un nemico ordinavo agli assistenti di tenerlo fermo, così potevo pungerlo con le ortiche e poi impiastrarlo con l’intruglio d’acetosella; mi dava soddisfazione vedere il corpo del prigioniero diventare verde, un piacere intimo di una qualità precisa. Quel piacere era la bussola, la vocazione: vivere quello che mi piaceva. Le montagne là in fondo mi ammonivano che, anche se capace di far verdi i nemici, non ero Dio. Lui era a nord sulle montagne da là faceva arrivare il vento.»
Immagine: Terra grassa verso primavera, William Congdon