BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Bruno Vergani

Bruno Vergani

Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.

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Sabato, 05 Aprile 2014 09:48

Parabola

L’iridologo naturopata  gli aveva prescritto una cura per sanarlo dalla mortale malattia che gli vedeva nel ventre, ma il rimedio era tossico e il male nella pancia non c’era.
Dopo una misera esistenza è schiattato rapido.

Quanto possono nuocere le Teorie.

Martedì, 01 Aprile 2014 18:02

L’equivoco

Aveva equivocato al punto di credere che la ricerca di senso all’esistere fosse scoprire il significato del vivere.

Smarrito in labirinti paralizzanti aveva poi compreso che “senso” era semplicemente il punto verso cui il movimento è rivolto, lì ha cessato di cercare significati per produrli.

Martedì, 01 Aprile 2014 16:48

Pubblico intrattenimento

 “Intrattenimento” è definizione malaticcia se riferita alla rappresentazione artistica, manco va bene per l'avanspettacolo, evoca più la condizione di fermo di un indiziato.

Domenica, 30 Marzo 2014 18:29

Risonanza magnetica del basso addome

Nel sottoporre a risonanza magnetica un religioso fondamentalista, affetto da severe coliche addominali recidive, gli hanno trovato le budella traboccanti di nichilismo.

L’enterologo diagnostica l’esaltata ossessione integralista reazione compensatoria al viscerale abisso. Gli addetti ai lavori la chiamano sindrome dell'Emil Cioran malriuscito.

Sabato, 29 Marzo 2014 13:35

Il Recinto

Nel salone del museo strisce sul pavimento delimitano, al centro, un vasto quadrato. Fuori dal perimetro il pubblico, dentro in tunica bianca l’artista seduta sopra a una sedia di due frontali. Sull’altra siedono, uno per volta, gli spettatori per un tempo circoscritto. Fermi e zitti artista e spettatore si guardano negli occhi. Questo è «The artist is present» di e con Marina Abramovic. Le conseguenze sono virulente e per l’artista e per il pubblico:

oltrepassato il recinto irrompe il sacro: il pensiero collassa, il mondo sparisce fagocitato da un amore così forte che procura sofferenza. Un mix di gaudio e sofferenza smisurate: la compassione di un dio. Sofferenza dell’umanità carburante che fa funzionare il dio, che così arde ed esiste.

Per tanti anni ero rimasto impaludato nel sacro stupore, a quel tempo anch’io mi sarei messo in coda per guardarla negli occhi, mentre i miei avrebbero pianto ai piedi dell’altare contemplando l’anima della sacerdotessa, della sacra madre, della sacra figlia. Oggi avverto sinistro solo l’odore di quei territori, effluvio di caprifoglio tanto dolce da virare a note fecali, eppure trovo la performance valorosa per due aspetti:

dimostra plasticamente, ai devoti di santoni, che la sacra esaltazione e stupefacenti deliri connessi, contriti o gaudiosi, sono creati dal soggetto venerante non dal venerato: togli il guru e metti nel recinto l’artista, o chicchessia, e funziona lo stesso;

Marina Abramovic implementa il "salone del sacro" delimitandolo all’interno di un museo. Tutto sommato il posto che si merita.

 

Venerdì, 28 Marzo 2014 11:36

Polso arterioso planetario

Nella lista mondiale della piattaforma satellitare TivùSat imperversano canali erotici e religiosi.

Erotici soft, religiosi hard.

Somiglianti nella petulanza propagandano teorie.

Giovedì, 27 Marzo 2014 12:33

Opel Kadett

Primavera, sette anni dal divorzio e mi arrivava una strana mail:

«Sono de Parigi, perdone el mio italiano. Faccio il suo stesso lavoro pienso de venire in Italia il mese prossimo. Pensavo a una collaborazione, se l'interessa porrei venire a incontrarla».

Rispondevo d'impeto:

«Avrei molto piacere di incontrarla, anzi potrei ospitarla».

Proprio quel giorno dalla Opel Kadett cominciavano a uscire rumori dal cruscotto una specie di crepitio, un pugno sopra e smettevano. Single mi ero sdraiato sotto al volante per ispezionare con una torcia, tutto a posto ma i rumori continuavano. La francese aveva accettato l’invito mentre io consideravo di ispezionare il vano motore, forse un qualche bullone allentato era la causa del rumore. Nell’aprire il cofano un topo correva da sopra la batteria a dentro un anfratto sotto al parabrezza, era lui che faceva il crepitio mica un bullone lento. Ingresso della “tana” così piccolo che manco riuscivo a guardarci dentro. I rumori del topo nel cruscotto continuavano e lei stava per arrivare. Nel rincasare aprivo il cofano e mettevo il gatto sul motore, era bollente ma a lui piaceva, avvertiva la presenza del topo ma quello non usciva dalla nicchia. Meccanico impotente più del gatto, per raggiungere l’anfratto doveva demolire la scocca portante della Kadett, si era limitato a guardarmi fisso per dirmi: «Se ti mangia i fili dell’impianto elettrico sono cazzi.». Poi dal cruscotto silenzio, forse il ratto stufo della tana mobile se ne era andato. Andavo a prenderla, la francese odorava di profumeria di aeroporto. Facevo il figo mentre la portavo a casa, ma nel superare un autotreno slavo arrivava uno strano odore, quasi impercettibile ma mica buono. Aprivo il finestrino e accendevo al massimo la ventola del cruscotto per cambiare l’aria, lì una botta di fetore: Kadett di italiano con parigina dentro appestato sarcofago ambulante da ratto cadavere in putrefazione. Lei mi aveva guardato strano. Spegnevo la ventola con faccia indifferente. Cazzo! Mica potevo dire a una di Parigi di avere un topo morto nel cruscotto. Era rimasta un mese e ogni volta che salivamo in auto si beccava il lezzo. Alla sua partenza il puzzo era cessato, il topo si era tutto mummificato e rinsecchito non puzzava più. Non era la donna giusta.

Lunedì, 24 Marzo 2014 11:07

Il laico patrono

Nello sfogliare i Saggi (Essais) Montaigne (1533 -1592) appare un preciso antesignano dei blogger.
Essais esordio del primo blog culturale con autore libero solista di una estesa collezione di scritti di differente misura e tematica.

Il prototipo è venuto meglio delle successive edizioni WEB, ma questa è un’altra storia.

Lunedì, 24 Marzo 2014 09:56

C’è

Indagine conclusa, esiste davvero. Tutti gli ex studenti hanno confermato: nell’opaca galassia scolastica un insegnante si è distinto e permane potente. Diverso dai suoi colleghi per originalità, qualità e meriti ha stimolato l’impensabile.

Di scienze naturali, di latino, talvolta di disegno tecnico, femmina o maschio, maestra elementare o professore universitario uno capace di segnare e espandere l’esistenza c’è stato per tutti.

Forse è sempre lo stesso, avatar esperto in bilocazione, capace di migrare di corpo in corpo, di tempo in tempo, per offrire una possibilità a tutti. 

Domenica, 23 Marzo 2014 14:46

La fila

Nutro gatti. Mai rispettano il turno, sono venti e nell’azzuffarsi il più screanzato trangugia più degli altri. Gli umani di solito sono più rispettosi, eppure in coda alla cassa del supermercato mi accade una sottile impazienza verso chi mi precede. Mi procura attesa e un po' mi infastidisce, mentre rimango noncurante a chi mi segue. Se a tutta la fila accade lo stesso anch’io risulterò sagoma molesta per tutti quelli che mi seguono e inesistente a tutti quelli che mi precedono. Non mi piace apparire fastidioso o inesistente per mera collocazione logistica, onorando l'etica della reciprocità necessito di un modo inedito di fare la fila.

Per emanciparmi dal cupo rimanere in coda ho considerato Spinoza quando nell’Etica analizza il valutare gli altri meno del giusto e sé stessi più del giusto; affronta anche la possibilità opposta riscontrando in entrambi i casi pensiero delirante. Ma allora, qual’è “il giusto”, quale la misura che emancipa dal delirio egocentrico? Chiarisce che nello stato naturale giusto e ingiusto non ci sono, esistono solo nello Stato civile come nozione estrinseca, tutto sommato come arbitrio condiviso da rispettare, faccenda umana che ai gatti non interessa, ma noi civilizzati la fila la dobbiamo rispettare.

Però un nuovo modo di farla ci sarebbe: nell’attesa del proprio turno osservare con chirurgica attenzione gli altri, miniera di materiale grezzo da attingere e elaborare per costruire. Forse essere tutti fratelli poco c’entra con l’amarsi, sarebbe da americani deficienti cantare tutti insieme un Gospel nel fare la fila, casomai più seria la versione italica: «Vi amo, voi tutti che siete in questo bar» nel video [allegato] di Nanni Moretti ne La Messa e' finita, ma ancor meglio la reciproca rispettosa osservazione laboriosa, qualcuno la chiama politica, qualcuno arte.

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