Nutro gatti. Mai rispettano il turno, sono venti e nell’azzuffarsi il più screanzato trangugia più degli altri. Gli umani di solito sono più rispettosi, eppure in coda alla cassa del supermercato mi accade una sottile impazienza verso chi mi precede. Mi procura attesa e un po' mi infastidisce, mentre rimango noncurante a chi mi segue. Se a tutta la fila accade lo stesso anch’io risulterò sagoma molesta per tutti quelli che mi seguono e inesistente a tutti quelli che mi precedono. Non mi piace apparire fastidioso o inesistente per mera collocazione logistica, onorando l'etica della reciprocità necessito di un modo inedito di fare la fila.
Per emanciparmi dal cupo rimanere in coda ho considerato Spinoza quando nell’Etica analizza il valutare gli altri meno del giusto e sé stessi più del giusto; affronta anche la possibilità opposta riscontrando in entrambi i casi pensiero delirante. Ma allora, qual’è “il giusto”, quale la misura che emancipa dal delirio egocentrico? Chiarisce che nello stato naturale giusto e ingiusto non ci sono, esistono solo nello Stato civile come nozione estrinseca, tutto sommato come arbitrio condiviso da rispettare, faccenda umana che ai gatti non interessa, ma noi civilizzati la fila la dobbiamo rispettare.
Però un nuovo modo di farla ci sarebbe: nell’attesa del proprio turno osservare con chirurgica attenzione gli altri, miniera di materiale grezzo da attingere e elaborare per costruire. Forse essere tutti fratelli poco c’entra con l’amarsi, sarebbe da americani deficienti cantare tutti insieme un Gospel nel fare la fila, casomai più seria la versione italica: «Vi amo, voi tutti che siete in questo bar» nel video [allegato] di Nanni Moretti ne La Messa e' finita, ma ancor meglio la reciproca rispettosa osservazione laboriosa, qualcuno la chiama politica, qualcuno arte.
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Filosofia di strada