Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Ecoappartenenza. Francesco d'Assisi
Singolare un uomo che nel concepirsi creatura fatta a immagine e somiglianza di un Dio che vede "altissimo e onnipotente" poi giudichi "fratelli" il vento, il fuoco, il sole e “sorelle” l’acqua, la terra, la luna, le stelle e la morte corporale.
Soggetto integralmente religioso e nel contempo preciso antesignano darwinista dell’ecoappartenenza.
Non so se l’uomo viene dagli animali, ma nel considerare l'esemplare Francesco d'Assisi lo vedo - da qualsiasi parte arrivi - bestia peculiare davvero strana.
Survival
Come va?
Si tira…
Salmo responsoriale della sopravvivenza che, dai e dai, si sta recitando in massa.
Mica fa bene ripeterlo a eccezione della variante lavorativa, quella del tirare le reti a bordo della barca per raccogliere il pesce.
Prima bisogna remare.
Filo rosso, filo nero
Nelle biografie la storia del protagonista, quella palese, è prodotta dal suo incessante mutare; se rimanesse fissa sarebbe una misera narrazione.
Eppure il nucleo della storia alberga nei fattori stabili della persona: il filo rosso della vocazione e quello nero della abdicazione da sé.
Lì andrebbe svolta l’indagine perché ogni storia è dettata da questo nascosto interagire. Accidenti e fortune mere contingenze catalizzatrici.
Preciso interesse
Amore? Eros, agape, caritas, quanti equivoci e ibridismi.
Da quelle parti c’è di tutto nel bene e nel male, compresa l’immolazione all’altro sostenuta da larvata egolatria.
Per emanciparsi dal ginepraio un buon modo è quello di perseguire il lavoro di una amicizia con l’altro che rinvigorisca l’“Io” di entrambi procurando immediato vantaggio personale per tutti e due, ancor meglio anche per qualcun altro. Il resto è sospetto.
Embé? Vabbé. Ormai. Mai.
Indicative di precisi e severi malesseri le affermazioni vabbé, ormai e mai (vedi articolo di G.B. Contri).
Consideravo nella rimozione nevrotica, faccenda meno grave che riguarda ciascuno, di rilevare l’“embé?” nei significati di “e allora?”; “non me ne importa nulla!”; e di paranoica sfida “cerchi rogna?”
Occhio ai soggettivi e collettivi embé? vabbé, ormai e mai.
Funzionamenti
Non mi piace la filosofia quando esige corretto funzionamento, quando giudica scorretto ogni dire fluttuante, danzante, a priori. Quando valuta l’intuizione delirio oracolare e rigetta aforismi estemporanei esigendo, senza mai transigere, “scientifici” argomenti a posteriori. Il filosofo più funzionante, quello accademico, passa la vita a leggere altri filosofi poi diligente li ricapitola in ordine, come un contabile sul libro dei corrispettivi, tira le somme e omettendosi le divulga. Comprensibile, quando così, la diffusa disaffezione alla disciplina.
Non mi piace neanche una ecoappartenenza a un presupposto funzionamento cosmico perché l’universo si espande strano e non è escluso che il percepirsi coautori, invece che infinitesimali elementi dell’ingranaggio, sia più vicino alla realtà che al delirio.
Funzionare è fungere: adempiere obbedienti a un ufficio senza averne nomina e grado, assolvere la funzione di qualche altra cosa. Mica è umano.
Elogio della normalità
Idealizzare sé stessi è aprire porte a forze che ci rendono insoddisfatti: sentimenti di grandezza, di inquietudine del cuore e di struggimento per desideri di bellezza e di pienezza smisurati, assoluti.
Tutto sommato è proprio nell’idealizzazione di sé, nella recondita concezione della personale unicità superiore all’Altro, a tutti gli altri, che si annida ogni timidezza nel potenziale disprezzo di sé medesimi, inevitabile altra faccia della medaglia di ogni idealizzazione.
Meglio, ben consapevoli del personale limite, la pacata soddisfazione invece di impotenti onnipotenze.
Spiritato eroico furore
Entusiasmo dal greco enthusiasmòs: "indiamento".
Singolare che "indiamento" sia lemma raro e circoscritto invece "indiavolamento" imperversa, ma va bene così: tutto sommato sono quasi sinonimi.
I dizionari dicono che in latino enthusiasmòs si trasforma in “fanaticus” «ispirato da una divinità, invasato da estro divino, derivato di fanum "tempio"».
Invasati sani sono solo i gerani eppure quanta prossimità nel satanismo provinciale e in quello di scrittori romantici e dacadenti con la mistica religiosa, strano che siano rivali.
Elogio della felicità possibile
Una prospettiva filosofica capace di offrire motivate plausibilità invece che verità fossilizzate in presupposte perfezioni, risulta affidabile, piacevole, coinvolgente e proficua. Così è il saggio di Orlando Franceschelli «Elogio della felicità possibile» con sottotitolo «Il principio natura e la saggezza della filosofia». Saggio filosofico che, pur nella sua esauriente e valorosa esposizione del naturalismo, si stenta a sistematizzare in categorie di pensiero precostituite perché bilancio di un uomo di pensiero che giunto a maturità del suo percorso dice, diretto e onesto, risposte ai temi cruciali dell’esistere. Complessità che l’Autore semplifica senza anestetizzare - indizio preciso di forza e di competenza – fruibile, dunque, anche ai non filosofi di professione, se volenterosi. Risulterebbe una perdita omettere questo rapporto diretto Autore-lettore, da uomo a uomo, smarrendosi nel confutare intellettualmente o ideologicamente alcune tesi del saggio, o viceversa nell’accettarlo dottrinalmente riducendolo a manuale del naturalista ortodosso. L’opera esige e stimola, in ogni passaggio, interazione personale fluttuante e laboriosa in presa diretta.
Nel libro è esposto il naturalismo filosofico nella sua complessa totalità: viene definita la sua contiguità alla scienza senza esserne inglobato (“la plausibilità, non la verità o lo scientismo”). Del naturalismo viene dettagliata la tradizione antica e consolidata; gli sviluppi post-moderni; esposto il metodo; l’umanesimo peculiare; analizzato il suo rapporto col tempo e con le nuove frontiere aperte dalla fisica teorica. Vengono indagati i possibili equivoci nel suo sviluppo e approfondito il rapporto dialettico con le differenti filosofie e visioni della realtà. Una “saggezza della verità possibile” che, inevitabilmente, si confronta e collide con le Teorie di redenzione escatologica della contingenza correlate alla tradizione platonico-cristiana e ai connessi surrogati storici, non necessariamente religiosi. Arguta la diagnosi di questi ultimi: nichilismi e esistenzialismi di pensatori che percependosi in esilio, “gettati” nel mondo da Entità misteriose, anelano nostalgici a metafisiche risolutive, sovente apparentemente estranee alla religiosità invece dirette traduzioni secolari contaminate da insidiose cripto-teologie onnipervadenti. Teorie ontologiche della mancanza che propongono felicità eterne sovrannaturali e che trovano, nella visione dell’Autore, inaspettati amici Agostino e Kant.
Diffidando dell’eterno e dell’infinito, fronteggiando qualsiasi soprannaturale, il naturalismo propone un definitivo “congedo naturalistico da ogni felicità (e potenza) perfetta”. Coraggioso (anti)eroismo ontologicamente autartico ben consapevole del personale limite, del dolore e della morte, capace di una felicità parziale, imperfetta e in divenire, ma proprio per questo possibile nella motivata e realistica saggezza del presente, invece che in immaginarie esaltazioni consolatorie proiettate nel futuro.
Nel saggio è affrontata l’umana sofferenza e la morte. Dalla personale - Ars moriendi - rispetto alla quale il naturalismo coltiva “una plausibile familiarità”, alle tragedie collettive con riferimenti storiografici precisi - Primo Levi, Shoah, desaparecidos - noncurante di Enti assoluti quali la Morte, il Dolore, quelli rigorosamente con l’articolo determinativo e in maiuscolo, cari ai teismi e ad alcune filosofie.
Eppure in tanto rigore è proposto un naturalismo aperto e capace, in una “antropologia dell’ecoappartenenza”, di dialogo con la teologia e la metafisica. Un umanesimo in prospettiva post-cristiana non anti-cristiana. Da qui una critica articolata nei confronti di Nietzsche: «E’ nella pace e nella gioia dell’eudaimonia, non nella lotta, che siamo interessati e in grado di trascorrere e godere il nostro presente.»
Motivo di moderata perplessità nel merito riguarda i “rimpianti antropocentrici”, per i quali trovo solidi motivi di ragionevolezza, ma che il naturalismo giudica pregiudizio liquidandoli con una rasoiata. Eppure nel sovrumano accadimento del mondo è proprio e solo nell’uomo che la natura diventa consapevole di sé stessa, lo dimostra preciso, plasticamente, il saggio in oggetto dalla prima pagina all’ultima. Faccenda strana una “fucina cosmica” generante - seppur non ontologicamente ma evolutivamente - soggetti capaci di pensiero sovrano, abili nell’inferenza al punto di potersi emancipare da funzionamenti naturali e decreti biologici. Sensibili nel percepire con profitto personale il profumo dei fiori di ginestra, come in un bellissimo passaggio Franceschelli annota di Leopardi. E che sarà della apatica ginestra su uno scoglio irraggiungibile? E di quella che incontra l’erborista chiamandola Cytisus scoparius raccogliendone i fiori per estrarne l’alcaloide sparteina tanto benefica nelle aritmie?
Ma la natura è quello che è o quello che pensi?
Orlando Franceschelli
Elogio della felicità possibile
Il principio natura e la saggezza della filosofia
Donzelli editore 2014
Matrice e cedolino
Palermo centro. Il bus per la Puglia imbarca i passeggeri e l’autista controlla i biglietti. Lo conosco è quello tarchiato, quello messinese di Destra, calvo eppure simpatico. Strappa la matrice dal biglietto del secondo passeggero che conserva e restituisce il cedolino, ma strappa storto e pignolo lo strappa ancora per raddrizzarlo gettando per terra la striscia di carta che si è prodotta per raddrizzarlo. Penso di raccoglierla per buttarla nel cestino dei rifiuti, ma ho un temperamento conciliante e desisto: mica voglio offendere il messinese con ostentato civismo.
L’autogiustificazione irrompe rapida: la via è piena di carte e altre peggiori schifezze perché dovrei raccogliere solo quella carta e tutto il resto no? E perché io?
Mentre considero che mica posso prendermi il mondo sulle spalle vedo uno che raccoglie il pezzo di carta deciso, lo conosco bene è un filosofo kantiano. Il messinese manco si accorge dell’atto politico universalizzabile con generale profitto, io si con ammirata simpatia mischiata a un temporaneo, esile, senso di colpa.
Lo so, le morali assolute mi procurano mescolanza disordinata di pensiero.