Una prospettiva filosofica capace di offrire motivate plausibilità invece che verità fossilizzate in presupposte perfezioni, risulta affidabile, piacevole, coinvolgente e proficua. Così è il saggio di Orlando Franceschelli «Elogio della felicità possibile» con sottotitolo «Il principio natura e la saggezza della filosofia». Saggio filosofico che, pur nella sua esauriente e valorosa esposizione del naturalismo, si stenta a sistematizzare in categorie di pensiero precostituite perché bilancio di un uomo di pensiero che giunto a maturità del suo percorso dice, diretto e onesto, risposte ai temi cruciali dell’esistere. Complessità che l’Autore semplifica senza anestetizzare - indizio preciso di forza e di competenza – fruibile, dunque, anche ai non filosofi di professione, se volenterosi. Risulterebbe una perdita omettere questo rapporto diretto Autore-lettore, da uomo a uomo, smarrendosi nel confutare intellettualmente o ideologicamente alcune tesi del saggio, o viceversa nell’accettarlo dottrinalmente riducendolo a manuale del naturalista ortodosso. L’opera esige e stimola, in ogni passaggio, interazione personale fluttuante e laboriosa in presa diretta.
Nel libro è esposto il naturalismo filosofico nella sua complessa totalità: viene definita la sua contiguità alla scienza senza esserne inglobato (“la plausibilità, non la verità o lo scientismo”). Del naturalismo viene dettagliata la tradizione antica e consolidata; gli sviluppi post-moderni; esposto il metodo; l’umanesimo peculiare; analizzato il suo rapporto col tempo e con le nuove frontiere aperte dalla fisica teorica. Vengono indagati i possibili equivoci nel suo sviluppo e approfondito il rapporto dialettico con le differenti filosofie e visioni della realtà. Una “saggezza della verità possibile” che, inevitabilmente, si confronta e collide con le Teorie di redenzione escatologica della contingenza correlate alla tradizione platonico-cristiana e ai connessi surrogati storici, non necessariamente religiosi. Arguta la diagnosi di questi ultimi: nichilismi e esistenzialismi di pensatori che percependosi in esilio, “gettati” nel mondo da Entità misteriose, anelano nostalgici a metafisiche risolutive, sovente apparentemente estranee alla religiosità invece dirette traduzioni secolari contaminate da insidiose cripto-teologie onnipervadenti. Teorie ontologiche della mancanza che propongono felicità eterne sovrannaturali e che trovano, nella visione dell’Autore, inaspettati amici Agostino e Kant.
Diffidando dell’eterno e dell’infinito, fronteggiando qualsiasi soprannaturale, il naturalismo propone un definitivo “congedo naturalistico da ogni felicità (e potenza) perfetta”. Coraggioso (anti)eroismo ontologicamente autartico ben consapevole del personale limite, del dolore e della morte, capace di una felicità parziale, imperfetta e in divenire, ma proprio per questo possibile nella motivata e realistica saggezza del presente, invece che in immaginarie esaltazioni consolatorie proiettate nel futuro.
Nel saggio è affrontata l’umana sofferenza e la morte. Dalla personale - Ars moriendi - rispetto alla quale il naturalismo coltiva “una plausibile familiarità”, alle tragedie collettive con riferimenti storiografici precisi - Primo Levi, Shoah, desaparecidos - noncurante di Enti assoluti quali la Morte, il Dolore, quelli rigorosamente con l’articolo determinativo e in maiuscolo, cari ai teismi e ad alcune filosofie.
Eppure in tanto rigore è proposto un naturalismo aperto e capace, in una “antropologia dell’ecoappartenenza”, di dialogo con la teologia e la metafisica. Un umanesimo in prospettiva post-cristiana non anti-cristiana. Da qui una critica articolata nei confronti di Nietzsche: «E’ nella pace e nella gioia dell’eudaimonia, non nella lotta, che siamo interessati e in grado di trascorrere e godere il nostro presente.»
Motivo di moderata perplessità nel merito riguarda i “rimpianti antropocentrici”, per i quali trovo solidi motivi di ragionevolezza, ma che il naturalismo giudica pregiudizio liquidandoli con una rasoiata. Eppure nel sovrumano accadimento del mondo è proprio e solo nell’uomo che la natura diventa consapevole di sé stessa, lo dimostra preciso, plasticamente, il saggio in oggetto dalla prima pagina all’ultima. Faccenda strana una “fucina cosmica” generante - seppur non ontologicamente ma evolutivamente - soggetti capaci di pensiero sovrano, abili nell’inferenza al punto di potersi emancipare da funzionamenti naturali e decreti biologici. Sensibili nel percepire con profitto personale il profumo dei fiori di ginestra, come in un bellissimo passaggio Franceschelli annota di Leopardi. E che sarà della apatica ginestra su uno scoglio irraggiungibile? E di quella che incontra l’erborista chiamandola Cytisus scoparius raccogliendone i fiori per estrarne l’alcaloide sparteina tanto benefica nelle aritmie?
Ma la natura è quello che è o quello che pensi?
Orlando Franceschelli
Elogio della felicità possibile
Il principio natura e la saggezza della filosofia
Donzelli editore 2014