Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Lievi tratti paranoici
Educatore è definizione che non mi piace e diffido di chi si proclama, in ambito umanistico, formatore. Formazione implica conformazione e “formatore” evoca chi, su progetto fisso, fa un calco di gesso per produrre dozzinali statuine in serie.
Ma i più pericolosi, se non medici di famiglia, sono quelli che vogliono curare. “Cura”, se non è per il fegato, è lemma davvero ambiguo: può significare attenzione ma anche mite sopraffazione, ovvero infantilizzazione.
Riconosco: forse sono un po’ paranoico, eppure in questi territori urge un nuovo preciso fluttuare e inedite definizioni.
Genderbotanica
Da sempre strano il Fico: foglia a surrogato di umane mutande; maledetto e pure seccato da Gesù perché trovato privo di frutti anche se «non è [era] la stagione dei fichi» (Marco 11,13-14). Però... Esigente Gesù... Bello strano anche lui.
Sessualità complessa quella del Fico: il maschio si chiama caprifico, nome che evoca perversione severa, ma lui non se la prende, sa che è definizione prodotta da artificio e costruzione culturale tutta umana. Dicevo che il maschio del fico detto caprifico fa polline abile nel fecondare ma frutti immangiabili, però ingravida il fico vero - la femmina - che così produce frutti. Il fatto complicato è che nel frutto del maschio caprifico ci sono anche ovari femminili pronti a ricevere il polline dalla parte maschile del medesimo frutto. Tale auto erotismo fecondante produrrebbe frutto se non fosse per la piccola vespa Blastophaga psenes, moscerino col nome da pornostar che dimorando negli “ovari del maschio” li modifica in galle sterili precludendo la formazione del frutto. La piccola vespa si fa perdonare sciamando sulla pianta del fico vero (la femmina) impollinandola.
Er famolo strano continua: in moltissime piante di fico il frutto che mangiamo si sviluppa e matura anche senza impollinazione, tuttavia se presente la piccola vespa pure con impollinazione, producendo frutti, di volta, in volta, con sapore e aspetto diverso proprio come le persone.
L’Urologo
Nell’iniziare l’Etica di Spinoza un senso di repellenza s’impossessava rapido di me, facevo finta di niente ma il testo mi respingeva. Anche se capivo poco insistevo con la faccia da sapiente per dare prova a me e al mondo di non essere troppo deficiente, ma esausto avevo riposto il libro nello scaffale come un cadavere nel loculo. Dopo un paio di giorni spinto da una forza ignota l’avevo ripreso come si prende un topo putrefatto. Con ipocrita espressione da saggio avevo iniziato a leggere da pagina 2 ma, estenuato da analisi geometriche, assiomi, proposizioni e scolii, a pagina 7 l’avevo rimesso nello scaffale. Qualche giorno dopo la svolta: aperto e letto solo una riga per ruminarmela nella nottata, la sera dopo altre tre righe. Era buono mangiato a piccolissimi frammenti digeriti nottetempo.
La parte più nutriente nel comprendere che nell’omettere la Natura s’implementa una ideologica antropomorfizzazione di (un ipotizzabile) Dio e del mondo. Tutto sommato dei rischi antropocentrici ci aveva già avvisato, forse in un lapsus freudiano, anche Isaia, il profeta:
«Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.»
Eppure, a ripesarci, la magagna antropomorfizzante è tanto ancestrale, incistata e pervadente da riuscire a sfondare e fagocitare l’unico e solido argine di contenimento: la Natura stessa, sovente antropomorfizzata - e in versione religiosa e in versione ideologica - da un Mida che trasforma in lui tutto ciò che guarda. Ho qualche sospetto che angoscia di vita e di morte derivino proprio da questo umano affaccendarsi per espandersi oltremisura. Forse meglio mollare l’osso come avevo fatto con l’urologo di Bari: a lui affidato nel profondo sonno dell'anestesia mi aveva ricostruito l’uretere sinistro a nuovo, un po' come quando digerisco l'insalata di cetrioli con la menta senza conoscere l'ABC della gastroenterologia. Sono passati decenni e l'uretere funziona a meraviglia. Grazie.
Desiderio
L'affermava Hegel, lo sosteneva Freud: l’uomo è caratterizzato da desiderio. Lo sentenziava, a modo suo, anche Gesù: “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.”
Nell’osservare che senza tale motore stramazzo nel catatonico lo dico anch’io perplesso delle indicazioni di un certo pensiero Orientale e dell’ascetismo schopenhaueriano che individuano l'origine del dolore nel desiderio di esistere: otorinolaringoiatri capaci di far passare all’istante il mal di gola con un colpo di pistola alla nuca: successo garantito, incontestabile. Forse meglio Hegel, Freud e Gesù di Nazareth.
Ma come si è costituita tale forza motrice? Appurato che un gatto, se sano, desidera più di un’ameba e di norma un uomo più di un gatto, probabilmente l’umano desiderio si è prodotto per lentissimo evolversi di forze e moti della natura che - dall’inorganico all’organico, dall’organico all’individuo, dall’individuo al soggetto - hanno assunto gradualmente tale specifica forma; nondimeno, vista la sorprendente peculiarità di tale accadimento, non possiamo escludere che il desiderio si sia attivato d’un botto stimolato da precisa e improvvisa eccitazione esterna. Quale? Quando? Come? E Perché?
Il Grande Bluff
Ho fatto bene a vedere su Rai3 «Il Grande Bluff», film di Alberto Nerazzini sul mondo “offshore”, quello degli evasori. Lo chiamo film per non confonderlo col documentario televisivo d'inchiesta-denuncia nostrano contemporaneo, quel mix di commedia provinciale e dramma nazionale filmicamente malfatto e nel merito voyeuristico e gossipparo, sovente moralista e anche osceno:
Moralista nell’equivocare la legalità col legalismo che petulante indaga se, quanto e come, il pizzaiolo di Pozzuoli nel preparare la Margherita ottempera il protocollo alimentare sanitario HACCP, quello ideato dalla NASA e adottato dalla Comunità europea.
Osceno nel mostrare sagome di poveracci che appaiono così malridotti che manco esistono: abitano solo dentro il televisore e servono a tante cose. Permettono informazione anti-establishment o pro governo, dipende dall'inquadratura a destra, al centro, o a sinistra. Consolano masse di spettatori: anche per i poco valorosi è facile percepirsi un po’ meglio di loro. Per chi li vede il disagio che l’immagine suscita è circoscritto, epidermico fastidio che nel cambiare canale cessa all’istante come i temporali estivi. Il poveretto televisivo è ente atomizzato, pietrificato, fisso, eterno. Cronicamente astenico, sistematicamente vittima. Non esiste appare, non pensa frigna e la sua lagnosa prevedibilità annoia.
Nerazzini emancipa il documentario d’inchiesta e denuncia da tali scivolate mostrando persone vere che fluttuano in presa diretta. Nell’obbedire, sul campo, a questo imprevedibile accadere la narrazione s’implementa onesta da sé, anche grazie a un montaggio capace di valorizzare, con giusta lentezza, particolari che svelano.
Ecco il grande evasore seduto sopra a un trono barocco che gira su sé stesso, rotazione autoreferenziale perpetua, infernale: onnipotente impotenza che più sale e più sprofonda.
Nel racconto c’è anche lui, Nerazzini. L’investigatore mite. Spinto da una forza ignota non molla eppure non sale di giri, non ne ha bisogno: alla sua presenza il signore di turno (nella fattispecie la signora) esperto nell'occultare e riciclare capitali all'estero fugge nascosto sul sedile posteriore della sua fuoriserie e lì raggomitolato come una serpe grida al mondo, prima della sentenza di qualsiasi tribunale terrestre o celeste, quanto la sua autocondanna a penosa vita di merda sia già esecutiva.
Il Cocchio
Avevo conosciuto un gruppo di meditazione che nell’aprire a caso il Vangelo interpretava il passo che capitava come un diretto manifestarsi divino che in tempo reale prescriveva precetti salvifici ad hoc. Una sorta di I Ching, di roulette metafisica dove il numero uscente era in quel preciso momento il consiglio giusto per il meditante.
Così in cerca di prescrizioni per lenirmi una vaga scontentezza li emulo in versione pagana e apro a capocchia i Saggi di Montaigne cosicché un qualche dio mi elargisca istruzioni per farmela passare. Mi parla alla pagina 1.199, probabilmente quella che mi merito.
C’è scritto che i re della dinastia dei Merovingi ottenevano soddisfazione girando per il paese sopra a un carro tirato da quattro buoi; l’imperatore Fermo attaccava al cocchio quattro struzzi enormi e sembrava volare; Marc’Antonio entrava in Roma trainato da leoni insieme a una ragazza suonatrice; Eliogabalo aggiungeva ai leoni qualche tigre, talvolta attaccava al carro cervi o quattro cani, però completa soddisfazione la otteneva nel farsi trainare da quattro ragazze ignude con anche lui nudo sul cocchio.
Che prescrizione severa! Non prevedevo che il mio malumore fosse così grave.
Però!
Un cliente dell'erboristeria vuole una tisana depurativa e sfoggia - chiedendomi chiarimenti riguardo eventuali controindicazioni con la terapia in atto - due scatole di farmaci antivirali di nuova generazione, quelli che abbinati eradicano, nel novanta per cento dei casi, il virus dell'epatite C. A ognuno il suo mestiere, così consiglio di soprassedere con la tisana e chiedere ragguagli al medico specialista che lo segue. L’occhio mi va sul prezzo: uno costa euro 24.756 ventiquattromilasettecentocinquantasei, l’altro 13.655 tredicimilaseicentocinquantacinque, dosaggio per 28 giorni da ripetere, a dire del paziente, quattro volte. La tisana la vuole lo stesso, la preparo e gli chiedo 4 euro ricordandogli, in ogni caso, di riferire al medico prima di assumerla.
Prezzi equi? Se nella filiera della distribuzione non ci sono disonesti il prezzo potrebbe essere più che giusto: ce ne sarà voluta di ricerca e di investimenti per formulare quei farmaci, produrli e sperimentarli. La tisana mica lo eradica il virus, quelli sono farmaci che salvano vite e evitano trapianti di fegato ancora più costosi. Il mio cliente vale più delle 150 mila euro dei quattro cicli prescritti e forniti a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Lo Stato… Però! Indipendentemente dalla contingenza che il virus l'hai contratto accidentalmente per trasfusione durante intervento chirurgico, o quasi intenzionalmente nel farti “pere” riutilizzando siringa monouso per risparmiare 20 centesimi, ti assiste a gratis e a oltranza per titolo di cittadinanza.
Forse qui aveva ragione Hegel: lo Stato è Dio. O comunque qualcosa che gli assomiglia.
Adotta un ulivo
Ho osservato che i vecchi contadini della mia contrada di campagna appaiono sovente, a parità di problemi, più sereni dei loro coetanei pensionati di città. Si sa, il relazionarsi con la natura conforta specialmente quando il rapporto è preciso e diretto. Non sempre è sufficiente relazione con il nebuloso “ente natura”, occorre declinazione univoca, eco-appartenenza di precisa fattispecie: rapporto diretto con quel fiore raro nell’angolo dietro casa, proprio quello lì, proprio quello “mio” - non inteso come possesso ma come relazione diretta e intima. Talvolta basta e avanza anche la relazione a distanza con una specifica pianta, o luogo, interazione di pensiero, di ricordo, che regala, ovunque sei, comunque stai, notizie rassicuranti.
Ieri ho visitato la Masseria Appia Traiana proprio contigua all’omonima via del 108 d.C., nel cuore della “marina” di Ostuni. Ettari curatissimi eppure selvatici con migliaia di alberi d'ulivo coltivati rigorosamente bio intercalati da piccole gravine e grotte ancestrali, macchia mediterranea e piante aromatiche.
Inaspettati scorgo degli ulivi millenari ognuno con una targa con scritti nomi e cognomi di persone che vivono a Milano, Torino, Trento, nord Europa. Ma che roba è? Il proprietario mi spiega che è possibile “adottare” un ulivo acquistando, di raccolto in raccolto, di stagione in stagione, l’olio che produce. Lo scegli, ti comunicano le coordinate GPS, mettono il tuo nome e da quel momento, sigillata l’alleanza, potrai accedere nel podere in assoluta libertà per coltivare il “tuo” ulivo e raccoglierne il frutto o semplicemente per ammirarlo. Se ti trovi lontano o impegnato cureranno l’albero per te spedendoti a casa l’olio biologico, spremuto a freddo, prodotto dalle sue olive. Insomma spendi solo, e il giusto, per l’acquisto di un olio eccellente e il “tuo” ulivo con tutte le positività che ti offre, e di interazione sul campo, e a distanza (psicologiche, filosofiche, esistenziali), è a gratis.
L'Ultimo Atto
L’Ultimo atto di Formigoni non è uno stantio titolo di “Repubblica” sulle vicende giudiziarie del senatore Roberto Formigoni, ma la valorosa messa in scena teatrale di e con Carlo Formigoni liberamente tratta da “All that fall” di Beckett, che ho visto ieri sera. La Signora Rooney (Angelica Schiavone) vecchia e malmessa moglie aspetta in stazione il Signor Rooney (Carlo Formigoni) marito cieco e derelitto. Ma il treno col marito tarda: si è fermato perché, proprio lui, con nonchalance ha compiuto atto atroce. Al suo arrivo moglie e marito, dentro quella tragica personale e metafisica condizione, s’intrattengono commentando il tempo che fa e faccende similari come il risparmiare nell’economia domestica, magari coricandosi nel letto per dormire a oltranza.
Anche se ho commesso meno atrocità mi ci sono visto in quella coppia e mi è tornato alla mente la mezzanotte dell’altro anno quando dalla foschia erano apparsi in fondo al binario i fari del locomotore che riportava lontano mia figlia. Due minuti e sarebbe partita e dentro quel tempo, come fanno i ragionieri, avevo eseguito il bilancio complessivo del mio vivere. Resoconto generale passivo: decenni di lavoro e manco sapevo perché c’ero, proprio come adesso.
E pensare che ieri sera prima di andare a teatro avevo sfogliato “La filosofia come scienza rigorosa” di Husserl mentre guardavo il telegiornale. Nella premessa avevo incontrato un bello stralcio del suo diario dove si confessa così:
«In primo luogo nomino il compito generale che devo risolvere per me, se voglio chiamarmi filosofo. Intendo una critica della ragione. Una critica della ragione logica e pratica, di ciò che in generale ha valore. Io non posso veramente e veracemente vivere senza venire in chiaro in linee generali sul senso, l’essenza, i metodi, i punti di vista fondamentali di una critica sulla ragione, senza aver immaginato, progettato, stabilito e fondato, un generale abbozzo di essi […] devo pervenire a una interna solidità. So che si tratta inoltre di cosa grande, della più grande…»
Lì per lì l’avevo avvertito il filosofo solenne e da imitare, ma invece a teatro ecco improvviso l’“Effetto Beckett”, quello che ti porta a vedere il filosofo vecchio e decrepito annunciare tale solenne e grande, anzi il più grande, proposito lì con l’ipertrofia della prostata mentre schiatta in un letto d’ospedale. Oh Gesù! Che strana faccenda è l’uomo.
foto di Antonio Lillo
Maritain: un maestro per l'oggi
Nel personale cammino d’emancipazione dal pregiudizio anticattolico, a tratti reattivo e infondatamente generalizzato, procuratomi da infruttuose esperienze in specifico contesto ecclesiale, ho voluto leggere di Augusto Cavadi « Jacques Maritain: un maestro per l'oggi ».
Maritain (1882-1973) filosofo francese convertitosi al cattolicesimo, ambasciatore francese in Vaticano (1945 -1948), neotomista stimatissimo da Papa Paolo VI; titoli a seconda dei punti di vista di merito o di demerito. Non nego che, per tali aspetti biografici e per la contingenza d’aver conosciuto Maritain solo attraverso le citazioni di don Giussani, ho cominciato la lettura con atteggiamento prudente e non poco sospettoso, via, via, confortato dall’approccio laico e filosofico del saggio.
Cavadi dalle più di 60 opere di Maritain antologizza e commenta differenti scritti attraverso, mi sembra, due criteri sinergici:
quello dell’evidenziare nel merito quanto la filosofia di Aristotele e di San Tommaso d'Aquino rielaborata in presa diretta da Maritain, risulti innovativa (non inedita perché radicata nella tradizione) e attuale;
quello di far interagire, d’articolare, tale pensiero con quello dei filosofi e uomini di pensiero che hanno caratterizzato il moderno e post-moderno: Lutero, Cartesio, Rousseau, Marx, Nietzsche, Il Circolo di Vienna, Sartre e anche Hegel, Kant e, inaspettato, Freud. A seguire, in specifica parte, viene affrontato il Pensiero Orientale. Tale criterio di relazione e confronto del protagonista con altri uomini di pensiero appare prezioso esempio di un approccio alla storia della filosofia proficuo: attraverso un punto di vista espositivo e interpretativo vivo (quello di Maritain) viene appagato il bisogno di coloro che desiderano un abbordo alla filosofia dinamico, lontano dai consueti e un po’ uggiosi manuali scolastici dossografici, asettici e avulsi dal vivere quotidiano.
Articolare maritainiano con gli esponenti della filosofia moderna e post-moderna che mi limito, invitando a leggere il libro, a condensare:
confronto a tratti intransigente eppure costantemente pluralista, abile nello scorgere nel pensiero altrui verità giudicate sovente effettive e anche valorose seppur parziali, vere sebbene fallaci quando estremizzate e universalizzate.
Tale articolare poggia, nel solco di Aristotele e Tommaso d'Aquino, sull’ontologia connessa alla metafisica, argomenti tutt'altro che agevoli per quelli - come me - sprovvisti di adeguate basi aristoteliche, ma il libro nel suo dipanarsi aiuta: termini come essere con la minuscola, Essere con la maiuscola, essere naturale, essenza, essere trans-oggettivo divino, vengono chiariti nelle svolgersi delle pagine. Al riguardo potrebbe risultare utile iniziare il libro dall’ultima, quarta, parte dedicata a Tommaso d’Aquino. Tutto sommato occorre ricordare che metafisica e ontologia, o meglio metafisiche e ontologie, mica sono territori precisi con contenuti univoci: tutto sommato ogni filosofo, ogni uomo, ne traccia differenti confini scorgendoci dentro ciò che può vedere e Maritain ci vede, con intelligenza (filosofia cristiana) e esperienza (non anticipata dalla fede), Dio. Per estesi bellissimi tratti lo fa vedere, chiaro, anche a me quel Dio amorevole, ragionevole, rispettoso della dignità della natura, fondamento di un umanesimo integrale.
Certezza che un po’ si sfoca a libro chiuso nel chiedersi: ma il Tommaso di Maritain è proprio il santo d’Aquino dottore della Chiesa cattolica o è un altro? E quel Dio che dimostra e annuncia è lo stesso della rivelazione-tradizione (che io giudico narrazione) giudaico-cristiana o altro? E’ il medesimo Dio dell’autorità ecclesiastica e del catechismo della Chiesa cattolica o altro? O Cavadi nelle sue 184 pagine ha “depurato” Maritain e il Dio che testimonia da questi fardelli per renderlo accattivante, o quel Dio è davvero un altro. Chiunque sia mi piacerebbe essergli amico.
Cavadi Augusto,
Jacques Maritain. Un maestro per l'oggi. Critica del moderno e postmoderno alla luce di Tommaso d'Aquino
IPOC