L’Ultimo atto di Formigoni non è uno stantio titolo di “Repubblica” sulle vicende giudiziarie del senatore Roberto Formigoni, ma la valorosa messa in scena teatrale di e con Carlo Formigoni liberamente tratta da “All that fall” di Beckett, che ho visto ieri sera. La Signora Rooney (Angelica Schiavone) vecchia e malmessa moglie aspetta in stazione il Signor Rooney (Carlo Formigoni) marito cieco e derelitto. Ma il treno col marito tarda: si è fermato perché, proprio lui, con nonchalance ha compiuto atto atroce. Al suo arrivo moglie e marito, dentro quella tragica personale e metafisica condizione, s’intrattengono commentando il tempo che fa e faccende similari come il risparmiare nell’economia domestica, magari coricandosi nel letto per dormire a oltranza.
Anche se ho commesso meno atrocità mi ci sono visto in quella coppia e mi è tornato alla mente la mezzanotte dell’altro anno quando dalla foschia erano apparsi in fondo al binario i fari del locomotore che riportava lontano mia figlia. Due minuti e sarebbe partita e dentro quel tempo, come fanno i ragionieri, avevo eseguito il bilancio complessivo del mio vivere. Resoconto generale passivo: decenni di lavoro e manco sapevo perché c’ero, proprio come adesso.
E pensare che ieri sera prima di andare a teatro avevo sfogliato “La filosofia come scienza rigorosa” di Husserl mentre guardavo il telegiornale. Nella premessa avevo incontrato un bello stralcio del suo diario dove si confessa così:
«In primo luogo nomino il compito generale che devo risolvere per me, se voglio chiamarmi filosofo. Intendo una critica della ragione. Una critica della ragione logica e pratica, di ciò che in generale ha valore. Io non posso veramente e veracemente vivere senza venire in chiaro in linee generali sul senso, l’essenza, i metodi, i punti di vista fondamentali di una critica sulla ragione, senza aver immaginato, progettato, stabilito e fondato, un generale abbozzo di essi […] devo pervenire a una interna solidità. So che si tratta inoltre di cosa grande, della più grande…»
Lì per lì l’avevo avvertito il filosofo solenne e da imitare, ma invece a teatro ecco improvviso l’“Effetto Beckett”, quello che ti porta a vedere il filosofo vecchio e decrepito annunciare tale solenne e grande, anzi il più grande, proposito lì con l’ipertrofia della prostata mentre schiatta in un letto d’ospedale. Oh Gesù! Che strana faccenda è l’uomo.
foto di Antonio Lillo