Ho fatto bene a vedere su Rai3 «Il Grande Bluff», film di Alberto Nerazzini sul mondo “offshore”, quello degli evasori. Lo chiamo film per non confonderlo col documentario televisivo d'inchiesta-denuncia nostrano contemporaneo, quel mix di commedia provinciale e dramma nazionale filmicamente malfatto e nel merito voyeuristico e gossipparo, sovente moralista e anche osceno:
Moralista nell’equivocare la legalità col legalismo che petulante indaga se, quanto e come, il pizzaiolo di Pozzuoli nel preparare la Margherita ottempera il protocollo alimentare sanitario HACCP, quello ideato dalla NASA e adottato dalla Comunità europea.
Osceno nel mostrare sagome di poveracci che appaiono così malridotti che manco esistono: abitano solo dentro il televisore e servono a tante cose. Permettono informazione anti-establishment o pro governo, dipende dall'inquadratura a destra, al centro, o a sinistra. Consolano masse di spettatori: anche per i poco valorosi è facile percepirsi un po’ meglio di loro. Per chi li vede il disagio che l’immagine suscita è circoscritto, epidermico fastidio che nel cambiare canale cessa all’istante come i temporali estivi. Il poveretto televisivo è ente atomizzato, pietrificato, fisso, eterno. Cronicamente astenico, sistematicamente vittima. Non esiste appare, non pensa frigna e la sua lagnosa prevedibilità annoia.
Nerazzini emancipa il documentario d’inchiesta e denuncia da tali scivolate mostrando persone vere che fluttuano in presa diretta. Nell’obbedire, sul campo, a questo imprevedibile accadere la narrazione s’implementa onesta da sé, anche grazie a un montaggio capace di valorizzare, con giusta lentezza, particolari che svelano.
Ecco il grande evasore seduto sopra a un trono barocco che gira su sé stesso, rotazione autoreferenziale perpetua, infernale: onnipotente impotenza che più sale e più sprofonda.
Nel racconto c’è anche lui, Nerazzini. L’investigatore mite. Spinto da una forza ignota non molla eppure non sale di giri, non ne ha bisogno: alla sua presenza il signore di turno (nella fattispecie la signora) esperto nell'occultare e riciclare capitali all'estero fugge nascosto sul sedile posteriore della sua fuoriserie e lì raggomitolato come una serpe grida al mondo, prima della sentenza di qualsiasi tribunale terrestre o celeste, quanto la sua autocondanna a penosa vita di merda sia già esecutiva.