Colonne
Non è il caso di lamentarsi delle oltre 150 mila leggi e norme che regolano l’Italia, nel corso di una vita personale ne promulghiamo, di nostre, forse di più[1]. Costantemente emaniamo leggi e stiliamo norme che ottemperiamo, abroghiamo, modifichiamo, tradiamo. Giuste o inique[2] possono durare cinque minuti o per una vita, talora legalisti ne esaltiamo la forma altre volte la sostanza.
Nel bene e nel male poggiamo sopra due colonne da noi costruite, quella narrativa e quella normativa.
1 Qualcuno aveva puntato alla semplificazione: «Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi».
2 Anche delinquenti e amorali ottemperano, sovente rigorosi, leggi personali.
Spiritualità senza religione
L’invenzione delle religioni codificate e professate in gruppo risale al neolitico, periodo in apparenza remotissimo invece più che recente se considerato all’interno di tutta la storia di homo sapiens.
E che mai facevamo nei secoli e secoli antecedenti alla recentissima ideazione di un Padreterno? Palpavamo il culo alla Natura, me lo ricordo bene.
Apologia della tisana
Per campare faccio l’erborista, negli ultimi tempi innesto sempre più spesso il pilota automatico delle competenze introiettate e dei moti acquisiti, così mentre le mani autonome improntano tisane scruto in libertà gli avventori: dall’occhio triste di una giovane all’incisivo marcio di un vecchio. Ascolto quanto mi raccontano, materia prima che elaboro per poi scrivere, per piacere, tra una tisana e l’altra. Un po’ come fanno i rockettari che suonano in cantina dopo una giornata di altro e ben differente lavoro, quello rimunerativo, quello che indifferente al piacere e al dispiacere sostenti, come facevano Spinoza tornitore di lenti, Melville ispettore doganale, Kafka assicuratore contro gli infortuni, Pessoa corrispondente commerciale… Nonostante gli illustri predecessori non dispiacerebbe che i nostri rockettari invece di suonare gratis nel seminterrato, dopo una giornata di altro e faticoso lavoro, trovassero sopra un palco sostentamento da ascoltatori paganti e il minimo sindacale di gloria: il consenso per chi fa arte e anche per gli intellettuali è concupiscenza inestinguibile e in fin dei conti legittima. Invece no, la società sentenzia una scissione tra quello che ai rockettari piacerebbe fare e quello che invece gli tocca fare.
Sto provando a illustrare la diffusa problematica esistenziale denominata “sogno nel cassetto” nella fattispecie artistica e del correlato imperversante e un po’ bislacco giudizio di valore che colloca la figura dell’artista, a prescindere, in una sorta di Olimpo e il garzone del macellaio pregiudizialmente più sotto. Per risolverla, o perlomeno chiarirla, forse aiuterebbe buttare nel cassonetto della spazzatura il sogno e mettere nel cassetto il saggio filosofico Aut-Aut di Kierkegaard così da esplorare le radici della vita estetica (suppergiù ciò che ci piace fare) e di quella etica (grossomodo quello che è giusto fare e che dunque ci tocca fare). Kierkegaard nel considerare entrambe le categorie fondanti e - nonostante l’aut-aut del titolo italiano - compenetrate, smantella, anzi ribalta, il giudizio di valore che pone l’artista lassù e il garzone del macellaio laggiù. Già Giordano Bruno osservava che la provvidenza dispone che l’uomo «venga occupato nell’azione delle mani e contemplazione per l’intelletto, de maniera che non contempla senza azione e non opre senza contemplazione». Il Romanticismo rincara con Fichte: «anche l’occupazione ritenuta più bassa e insignificante, in quanto è connessa con la conservazione e la libera attività degli esseri morali, è santificata allo stesso modo dell’azione più elevata; Hegel definiva il lavoro atto universale in quanto «mediazione tra l’uomo e il suo mondo».
In fin dei conti non esiste separazione tra il lavoro intellettuale, artistico e manuale, tutti con valenza universale nel loro connettere persone e cose. Che li separa è più la liturgia posticcia, derivante da frettolosi pregiudizi di valore, che batte le mani ad attori di avanspettacolo e cantanti neomelodici ma non applaude il fornaio che sforna pagnotte e il cardiochirurgo che aggiusta un ventricolo.
Ma ben prima della problematica del piacere e dell’alienazione, del consenso immeritato e meritato, nel percorso artistico è cruciale che non ci si impantani nell’imperversante equivoco di considerare solenne l’estro artistico e dozzinale il dover lavorare per bisogno[1], fino al punto di valutare il dovere etico antagonista e precludente la personale realizzazione (vocazione).
Dopotutto basta l’osservazione empirica degli artisti che si reputano tali per rilevarne pochi valorosi e tanti isterici. Ci sarà pure una qualche ragione per la quale nella storia del rock incontriamo percentualmente più morti premature che in quella dei minatori. Farebbe bene a tutti, artisti in primis, un lavoro normale in questo mondo.
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1 Necessità che i radical chic, artisti e non artisti, presumono di conoscere ma a loro inaccessibile, finanche concettualmente, perché conoscibile solo se vissuta con costrizione in prima persona.
Bluff
Quando, di prima intenzione, un leader di un qualche gruppo si getta ideologicamente a testa bassa per difendere i diritti di tutti gli uomini, combattere l’ingiustizia e il sopruso dei forti sui deboli, non di rado va a finire che per realizzare il suo programma universale eserciterà, senza intenzione, ingiustizie e soprusi iniziando dai suoi compagni di percorso più prossimi.
Che la simulazione alberghi nascosta nella cosciente “prima intenzione” e la sincerità nell’inconsapevole “senza intenzione” è caratteristica squisitamente umana, se così è necessario annoverare la sincerità tra i compiti più complessi da realizzare, forse tra quelli impossibili.
Breve invito all’umiltà
Un tempo aspettavo che si relazionasse con me invece di fissare il telefonino, visto che gli stavo innanzi; ma adesso mi allontano rispettoso della sua urgente e sacra pulsione d’interconnessione col mondo intero e tutto il suo scibile.
Chi mai sono io per dargli di più? Faccenda statistica, scienza affidabile.
Il Principio
Agevole spiegare con precisione cosa sia una pietra, un albero, una bilancia e suppergiù anche un ghepardo ma “cos’è” una persona?
Vediamo e sentiamo umani apparati psicosomatici percependo la loro attività in presa diretta ma se vogliamo enuclearne il principio attivo arranchiamo. Siamo assolutamente prossimi a noi stessi quanto inspiegabili. Il punto è che a differenza dei determinati e uniformi funzionamenti della natura operiamo imprevedibili volendo e scegliendo. Enigmatico punto della realtà dove un ente «si determina secondo la propria legge: espressione della ‘libertà’ positiva dell'uomo, e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione» scrive la Treccani. Potenza autocausale, dunque, libera - «padre dei sui atti» (Aristotele).
Qual è, cos’è, dov’è e come si è costituito siffatto nucleo autodeterminante, causa di se stesso, che pur operando in condizioni e limiti nella totalità esercita senza causa estranea, non determinato dal tempo e dal luogo, quel peculiare spontaneo e continuo potere di iniziativa e scelta (nel bene e nel male), se non assoluto perlomeno in grado notevolissimo? Kant, al riguardo, osserva: «la causa libera non può essere nei suoi stati sottomessa a determinazioni di tempo, non dev’essere un fenomeno, dev’essere una cosa in sé e soltanto i suoi effetti sono da ritenersi fenomeni».
Se tale auto-sussistente movimento di pensiero che autocrea l’Io non è un fenomeno sarà necessariamente un principio cosmico, principio indefinibile con origine inspiegabile. Non so se Dio esiste, ma se c’è è quasi tutto a nostra immagine, solo un po' più prevedibile.
Impulso cleptomane
Avvenire ha pubblicato una lettera inedita di Emil Cioran (1911-1995) filosofo dell'assurdo, estremo nichilista e pessimista, astioso verso un ipotizzabile Padreterno eppure forse non del tutto miscredente; l’avversione è sì antitesi, ma proprio per questo puntuale relazione simmetrica polarmente speculare all'oggetto contrario. Non casuale la simpatia di alcuni intellettuali cattolici nei suoi confronti.
Nella lettera Cioran, recensendosi, così fotografava il suo velenoso scrivere di Dio: «Il sarcasmo con cui l’ho glorificato». Frase troppo bella. Da rubare. In fin dei conti è inattendibile un'amicizia indifferente al pensiero dell’amico, davvero meglio un avversario che lo contesti con cura.
Storie e realtà
Lo storico Yuval Noah Harari interpreta cruciale la remota rivoluzione agricola, dove i sapiens da raccoglitori e cacciatori nomadi avevano iniziato a coltivare e allevare formando comunità stanziali con un numero sempre più alto e coeso d’individui, non solo a seguito di maggiori disponibilità di cibo ma grazie all’immaginare astrazioni condivise. Ogni evento ne è impregnato:
«I fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» (Nietzsche); «I fatti sono carichi di teoria» (Popper); «Così come un popolo sceglie i propri governanti, la teoria conferisce autorità all’osservazione, affinché governi la giustificazione delle teorie» (P. Kosso).
La consapevolezza che stiamo insieme e vediamo il mondo poggiati su siffatti costrutti ci consente di emanciparci da narrazioni fantastiche così da non equivocarle per verità assolute (confessioni religiose, ideologie e dintorni), nondimeno implica problematicità per nulla secondarie: se tutto è narrazione allora non è vero niente. Un’accoppiata di nichilismo e relativismo spinti che annullerebbe qualsiasi estetica ed etica: cose e uomini sì differenti all’interno di peculiari costrutti narrativi estetici ed etici condivisi, ma in sé enti né belli né brutti, né giusti né sbagliati, né buoni né cattivi.
Ammesso e pure concesso che ci muoviamo poggiando su strutture immaginarie acquisite che, via, via, implementiamo, rimane da indagare se
un’estetica così:
per mera convezione è più brutta di una cosà:
e se una situazione così:
sia eticamente raccapricciante non in sé, ma perché ci siamo raccontati che lo sia. Oppure ci sia una sorta di substrato oggettivo e di logos normativo che ci precede. Sconveniente esaltarlo, ma anche rimuoverlo.
Misterioso auto surclasso
Questa mattina nel dormiveglia mentre il gatto miagolava e mia moglie parlava ho confrontato i due dire. Roba da matto coglierne l’abissale differenza per tutti i sani ovvia, però nel dormiveglia è anche concessa una qualche stranezza se si cerca una sintesi tra un’ipotetica volontà creatrice e la necessità naturale.
Non pretendo che gli esponenti del neopositivismo diano risposte risolutive ai problemi sull’origine della vita, del male, del dolore e della morte, però che in modo preciso e convincente illustrino, in dettaglio senza salti e pezzi mancanti, perché e come è accaduto che un ente prima così (scimmia) sia diventato cosà (persona) auto surclassandosi oltre ogni ragionevole previsione, questo lo devono.
Fintantoché arrancano è opportuno che non giudichino del tutto ingiustificate eventuali pretese antropocentriche e la nostalgia di un qualche creatore.
Bisogna avere orecchio
Per vedere ci vuole l’occhio[1], ma per avere occhio non basta vedere. Per poter scrutare e ammirare controproducente fissare l'oggetto sgranando le pupille per aguzzare la vista, gli vanno invece tolti gli occhi di dosso per pensare ciò che ci fanno vedere.
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1 Organo sorprendente quanto, di per sé, demente.