Onniveggenza empirica
Uno dei motivi per cui talvolta i botanici cambiano il nome alle piante, è che nel passato le avevano classificate raggruppandole in uno stesso genere perché si assomigliavano, mentre adesso grazie alla genetica si viene a scoprire che piante somiglianti possono appartenere a generi differenti e, viceversa, piante con fattezze differenti possono appartenere al medesimo genere.
Tuttavia il più delle volte la genetica, indagando l’invisibile, conferma la classificazione tradizionale che vede le specie con fattezze visibili simili appartenere allo stesso genere e la nomenclatura tradizionale tiene botta.
Possiamo concludere che, nonostante qualche eccezione, i sensi corporei possono cogliere l’invisibile, o perlomeno presagirlo con buona approssimazione.
Spinta erotica
Dopo mesi di siccità l’acquazzone di fine estate infradicia i fiori secchi dell’elicriso facendoli marcire, ma appena sotto ecco spuntare dallo stelo delle nuove foglioline, è Eros che spinge lo riconosco dall’odore, spinge verso Thanatos spinge verso Bios.
Inizia un altro giro di giostra e imparo a fare un po’ a meno di me stesso.
Alfa e Omega
Non so perché, ma più monìtoro i gatti sdraiati sul piazzale e più mi persuado che in quella loro misteriosa equidistanza (cliccare sulla foto per vederla meglio) alberghi tutto il senso dell’universo.
E lo trova
Ciò che in noi è ferito chiede asilo alle più minute cose della terra, e lo trova. (Christian Bobin)
Sperimentabili sono l’Io, l’Altro, la Natura, il mondo, mentre la sfera dell’Essere, di Dio, mettiamoci pure del Nulla, sono solo pensabili ma non sperimentabili. Dio non l’ha mai visto nessuno, l’Essere e il Nulla neppure visto che possiamo fare esperienza di cose che ci sono e di cose che non ci sono più, non certo dell’Essere e del Nulla.
Col panteismo si è tentata una sintesi tra le due sfere affermando il coincidere di Dio e Natura, ma non di rado i due paradigmi sono entrati in conflitto, così in nome del primato di Dio si è rifiutato il mondo, oppure poggiando sul primato del pensiero si è affermato idealisticamente il suo spirito assoluto e universale subordinando ad esso natura e materia, quasi ne fossero un prodotto. A Oriente sovente ci si è spinti ancora oltre, giudicando il mondo una apparenza senza sostanza.
All’opposto, in nome del primato dei sensi corporei, si è empiristicamente affermata la realtà della materia e l’irrealtà di Dio, fino ad approdare alle estreme concezioni materialistiche meccanicistiche, non poco asfittiche, che hanno caratterizzato il tardo Ottocento. Opzioni differenti quelle del teismo, dell’idealismo e dell’ateismo che, nonostante le innumerevoli modulazioni, risultano abbastanza chiare.
Nel panteismo -letteralmente Dio è tutto- le cose si semplificano e insieme si complicano; si semplificano perché Dio è raggiungibile coi sensi corporei, si complicano perché una perfetta coincidenza ed equivalenza tra Natura e Dio, sia che sia attui naturalizzando Dio che deificando la natura, non differisce poi tanto, diciamo così esistenzialmente, da una forma di ateismo.
L’atteggiamento esistenziale muta invece nel panenteismo, forma di panteismo che vede Dio immanente, ma nel contempo (con differenti accenti) anche precedente e trascendente la Natura. Rispetto al panteismo nel panenteismo l’atteggiamento esistenziale muta perché la Natura, l’Io, l’Altro, non saranno l’ultima parola ma veicoli e uteri di un logos misterioso ma istantaneo e attuale, che come rabdomanti possiamo cogliere attraverso i sensi. E’ una ricerca strana perché non è che la materia sia, come un panino farcito, imbottita da questo logos, neppure questo logos è mescolato alla materia e neanche si nasconde dietro occhieggiando qua e là, ma sta proprio nell’immanenza delle cose glorificandole: “Che la materia pensi, è un fatto” (Leopardi, Zibaldone).
Non oltre la materia, non prima, non dopo, non un po’ più in qua o in là, ma panpsichica presenza simultanea. Logos che pervade anche noi che quindi possiamo fare a meno di noi stessi, per riuscirci serve giusto un po’ di sincronia col suo moto, qualche passo di corsa così da saltar su sulla giostra che gira.
Modello diffuso
1 Porre arbitrariamente una linea di demarcazione immaginaria che separi il sotto dal sopra;
2 giudicare di valore inferiore tutto ciò che sta sotto e di valore superiore ciò che sta sopra,
ed ecco prendere forma le notorie dicotomie naturale/soprannaturale, terreno/ultraterreno, al di qua/aldilà, superficiale/profondo, materia/spirito e così via.
Modello diffuso e va bene così, a patto che nell’applicarlo ci si ricordi che è tutta roba che sta solo nella nostra testa, non nelle cose.
Oltre intrafisico
A volte è l’effetto che fa la causa, così l’albero si conosce dai frutti[1] e l'acqua è prodotta dalla sete[2]. Se le cose stanno così anche Dio ci dovrà pur essere, visto che il nostro pensiero tende all’infinito[3] superandosi verso un oltre che non possiede ma che percepisce necessario[4].
Si potrebbe girare la frittata rifiutando ogni trascendenza, scorgendo in questo sentimento oceanico una semplice nostalgia per il naturalissimo stagno uterino, dove, pre-persone, galleggiavamo percependoci immensi[5]. Si potrebbe anche ipotizzare che il desiderio di un oltre infinito, sia diretta conseguenza del trovarci prigionieri nell’artificio condiviso del linguaggio che ci ha separati natura, da qui l’insopprimibile desiderio di ritornare nello stato originario.
Se non si trova risposta soddisfacente per spiegare questa strana urgenza all’oltre, si potrebbe dare una bella rasoiata a tutta la faccenda, mettendo in discussione “non l'obiettivo di volta in volta individuato ma la ricerca stessa”, così da non essere più prigionieri dell’inutile manicheismo tra trovare e non trovare (risposta), essendo infiniti i possibili luoghi di ricerca e dunque le risposte[6].
Ma che si tenda verso un oltre che ci trascende è esperienza innegabile, sia perché spinti da un imperativo psichico tutto da indagare, ma anche spinti dalla ragione, che partendo dall’evidenza che non ci siamo fatti da soli prova ad indagare dimensioni che ci trascendono. Ridurre il problema a una mera dimensione psicologica o evitare di indagarlo per evitare lo scacco, sono anche queste prigioni.
Di questa tensione all’infinito potremmo considerare i differenti tentativi di spiegazione in una visione prospettivistica, accettando l’apporto di ogni differente approccio, tutti apporti veri all’interno di ogni specifico punto di vista, ma proprio per questo tutti parziali. Si potrebbe anche tentare una sintesi, un buon modo è quello di fare esperienza che “Il massimo della trascendenza coincide con il massimo dell'immanenza”[7], ma per realizzare che il (cosiddetto) finito trascende se stesso serve un occhio intrafisico[8] vigilissimo e un po’ spericolato.
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1 Vangelo di Luca 6,43-45.
2 “L'acqua è insegnata dalla sete”, poesia di Emily Dickinson.
3 “Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”, Sant’Agostino, Le Confessioni, incipit.
4 Filosofia dell'azione di Maurice Blondel.
5 Cfr. “Il Disagio della Civiltà”, dialoghi di Freud con Romain Rolland.
6 Come ci suggerisce Paul Watzlawick, psicologo ed esponente della Scuola di Palo Alto.
7 "Dio sono anche gli uomini", Mario Verri.
8 La metafisica non indaga l’aldilà o il soprannaturale, come comunemente si intende, ma l’universale fondamento (cause prime) dell’al di qua.
47 morto che parla
Può anche darsi che non ci sia un Io ma solo moti interconnessi di “fasci di percezioni”, e che la nozione di persona sia nient’altro che una “inferenza extraempirica ed extralogica” come afferma Hume, ma visto che tale affastellamento produce nel suo svolgersi sapere consapevole, ammirazione, disgusto, dolore e piacere, da una qualche parte ci potrebbe anche essere un polo percipiente, uno sguardo consapevole, una “forme maitresse” (Montaigne), un qualcuno che lo sperimenta.
Non sarebbe male che morto il corpo permanesse un residuo di questa “forma sovrana” che chiamiamo io, così da fonderci nella natura consapevoli di farlo. Vino nuovo in otri nuovi potrebbe andarci bene anche di essere qualcun altro o qualcosa d’altro, invece che ancora noi, l’importante è che ci sia un qualcosa capace di percezione consapevole, invece di niente e di nessuno.
Io: entità inesistente o forme maitresse con una sua sussistenza ontologica persistente? Tutto sommato la prospettiva di Hume non è poi così lontana da quella di Montaigne: se già fin da subito seppure sprovvisti di io, accade questo stranissimo sperimentare e sapere acefalo - manco Superman ! - possiamo concludere che è fenomeno davvero tenace, resiliente in massimo grado in qualsiasi situazione e regno.
Sostrato incommensurabile
Zimbelli della natura ci accoppiamo per perpetuare la specie, diciamo che per un 70% stiamo insieme mossi da questa forza, percentuale che col tempo tende a diminuire; per il restante 30% stiamo insieme perché supportandoci e cooperando otteniamo entrambi di più, percentuale che col tempo tende a aumentare.
Poi, a volte, mischiato a tutto questo stiamo insieme per una sorta di piacere misterioso non quantificabile che non ha ragione e causa, noi siamo lì.
Ad ogni costo?
Essere/non essere. Esserci/non esserci. Vivere/morire. E l’esserci non abdica mai dal suo predominio, a oltranza vuole vincere la suprema partita.
Ma poi, di fatto, al di là di queste teorizzazioni e dottrine, alla fine perde sempre. Sapendolo, quando la suprema partita diventa estrema e il gioco si fa duro non è che teniamo sempre e comunque all’esserci ad ogni costo, incluso il costo di dolori atroci e sofferenze inaudite.
E quando la volontà di non soffrire più supera quella di essere ancora accade in questo ubi maior, minor cessat un sovvertimento ontologico; letto in positivo: se la vita ha un qualche senso e primato non è quello di essere e perdurare ma quello di non causare sofferenza mentre ci siamo.
Centro di gravità permanente?
“Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente”
Ma considerando i danni prodotti dal peccato originale ereditato da una certa filosofia, che pretende di trovare risposta univoca e definitiva della realtà, potremmo ribaltare la strofa così:
“Cerco multicentri d'antigravità pervadente che mi faccian sempre fluttuare in nuove idee sulle cose sulla gente”.