Affidamento
Mentre procediamo in un universo dato verso un epilogo obbligato e ignoto, profonde parti psichiche percorrono vie che non sappiamo e il corpo, che non abbiamo costruito, funziona mosso da una potenza che ci precede. Che faccia lei.
Botta ontologica
Davvero mozzafiato l’evento dell’ente invece che del nulla, ma così noto, talmente vicino e tanto evidente da non percepirlo.
Opposizione polare
Il vivente concreto, come tale, non può venir colto per concetti (Romano Guardini, L’opposizione polare)
In filosofia il necessario è ciò che non può che essere così com’è nel suo determinato (da chi?) accadere, al contrario il possibile è ciò che può essere o non essere, in tutte le gradazioni di possibilità. Nel regno della logica assoluta se si afferma la necessità si esclude la possibilità, se si afferma la possibilità si esclude la necessità, mentre nelle fluttuanti logiche del mondo reale necessità e possibilità sono polarità che si implicano reciprocamente.
Per una pedagogia della sofferenza
Nel suo ultimo saggio “Nel tempo dei mali comuni. Per una pedagogia della sofferenza” (Donzelli, 2021), il filosofo Orlando Franceschelli affronta la problematica del male e della sofferenza universale, che oggi e da sempre è cifra del nostro esistere. L’operazione di correlare pedagogia e mali, che il titolo esprime, già dice il pensiero dell’Autore: non solo un invito a fronteggiare, come persone e come cittadini, i mali e le sofferenze comuni che inevitabilmente incontriamo attuando strategie di resistenza e resilienza, ma -ex malo bonum- anche a interpretare e trasformare il mondo apprendendo dalla sofferenza e elaborando i suoi mali come opportunità per migliorarlo, perché la filosofia, se è buona filosofia, ci offre mappe, strumenti e consapevolezze per trarre dal male occasioni di bene.
Telmo Pievani, nella prefazione, ben sintetizza questa consapevolezza che ci “richiama alle nostre responsabilità di costruttori di mondi, smonta gli alibi di chi non vede mai alternative, invoca la conoscenza di sé stessi e la volontà di migliorarsi”.
Il testo assai concentrato in poco più di 150 pagine illustra e elabora gli attuali mali comuni planetari -emergenza climatica, pandemia-sindemia da Covid, migrazioni- proponendo una pedagogia della sofferenza che, necessariamente, tiene conto e si confronta criticamente con le strategie di pensiero-azione che ci hanno preceduto; dagli stoici fino a Hegel e Nietzsche, dall’anti-naturalismo dell’idealismo e del e neoidealismo al trans-umanesimo, passando per Goethe, Feuerbach, Marx, Darwin.
Nel lucido confrontarsi con la visione cosmogonica degli stoici, che interpretavano ogni circostanza, disgrazie incluse, espressione dell’ordine provvidenziale dell'universo da accettare pazientemente, Franceschelli coglie una atarassia anti-umana che urge d’essere superata. Vero che ci sono eventi che la vita dispensa che non possiamo per nulla cambiare, nondimeno vero che ce ne sono altri che invece possiamo cambiare; vero che ci sono cose spiacevoli tuttavia ce ne sono anche di piacevoli. Un conto è dunque la stoica dis-umana imperturbabile accettazione di tutte le cose così come sono, in quanto architettate da una presupposta regia superiore -non cade foglia che il dio non voglia-, altra è vivere condividendo umanamente le gioie e supportandoci nella sofferenze mentre proviamo a cambiare le cose che possiamo cambiare e, a maggior ragione, mentre viviamo le cose che non possiamo cambiare: “Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.” (Serenity Prayer)
Nel confrontarsi con le elitarie benedizioni danzanti di Nietzsche, che non disdegnano, anzi auspicano tra un passo di danza e l’altro, di colpire spietatamente l’ultimo giudicandolo malriuscito, Franceschelli si oppone con fermezza. Nel rendicontare, nel tragico quadro dell’antropocene, le pretese di redenzione futuristiche del trans-umanesimo tecnologico, annota ingenui velleitarismi e tracotanza antropocentrica (hybris), inoltre le conquiste biotecnologiche e l’ipotetica colonizzazione di altri pianeti, se nel nostro le cose volgeranno all’irrimediabile, sarà per tutti o solo per qualche privilegiato?
Nel proporre la sua prassi Franceschelli opta sovente per il termine agentività invece che azione, così da sottolineare la necessità di iniziativa personale. L’Autore propone da tempo le problematiche delle comuni sofferenze e l’invito all’eco-appartenenza solidale con tutti gli essere senzienti, ma questa volta è stato, forse, ancora più preciso, rigoroso, equilibrato e convincente, nell’illustrare e proporre la sua visione sociale di naturalismo solidale, sempre esauriente e preciso nell’esposizione e nei riferimenti a “vivere come si deve” (Montaigne).
Metafisica demografica
Se un figlio si accorgesse che per caso è nato fra migliaia di occasioni, capirebbe tutti i sogni che la vita dà con gioia ne vivrebbe tutte quante le illusioni. (Energia, Franco Battiato, 1972)
Siamo in troppi. Un efficace contributo personale per far fronte alle limitate risorse del pianeta potrebbe essere quello di cedere cortesemente il posto, strategia efficace ma poco efficiente considerando le prevedibili e diffuse resistenze nel metterla in pratica. Più percorribile limitare le nascite visto che il non nato, essendo nessuno, non opporrà resistenza, e pur nell’ipotesi che nell’iperspazio cosmico, o nell’essenza dei progenitori, oppure in una qualche banca del seme, il non nato sia potenzialmente qualcuno, non potrà comunque opporsi. Ipotesi che lascia il tempo che trova visto che alla fine è Eros che comanda e la vita si autoperpetua.
Ci sarebbe piuttosto da chiedersi come e in che momento da nessuno diventiamo qualcuno, come il coniglio che compare dal cappello del prestigiatore. Per il riduzionismo meccanicistico l’essere qualcuno e l’essere nessuno è legato alla nascita e alla morte del corpo, mentre in alcuni approcci psicologici è l’Altro che ci fa qualcuno; nella credenza della metempsicosi indipendentemente dal corpo siamo sempiternamente qualcuno, viceversa in alcune concezioni orientali, corpo o non corpo, siamo in ogni caso nessuno. Le differenti ipotesi sono numerose e divergenti e la problematica permane aperta.
Tornando ai primissimi ricordi qual è stato il momento preciso che da nessuno siamo diventati qualcuno? Si potrebbe ipotizzare che siamo da sempre qualcuno e nessuno, l’alternarsi dello stato di veglia e di sonno profondo che ci caratterizzano ne sono forse un indizio.
Contorsionismi empirici
Dicono che l’occhio non può vedersi, in effetti ho guardato da tutte le parti e non l’ho visto. Dicono invece che il pensiero può pensarsi, ho fatto un bel po’ di prove ma manco na volta che sia riuscito in presa diretta a pensare il mio pensare, ho sì prodotto in sequenza pensieri successivi che pensano pensieri precedenti (elaborazione), ma mai un pensiero che pensa all’istante se stesso (alla lettera: riflessione), anzi più un pensiero prova nel contempo a pensarsi più si paralizza e scompare, provare per credere.
Come saremmo ridotti senza l’Altro? Non è escluso che potremmo sparire.
Anche
Buddha e Schopenhauer ci avevano tempestivamente allertati: "L'esistenza è sofferenza" ed eccoci qua in coda col piscio in mano come previsto, anche se vorremmo stare da tutt’altra parte, cinquantadue ombrelli aperti nella nebbia perché nella sala d'aspetto del laboratorio di analisi si entra uno alla volta, è scritto col pennarello su un foglio A4 appiccicato alla porta.
Forse è più giusto affermare che l’esistenza è anche sofferenza, visto che non è sempre e solo sofferenza. Ma non nel senso che piacere e dolore si alternano binariamente e temporalmente, l’uno o l’altro, prima uno e poi l’altro, separati da una linea di confine spazio temporale con di qua il piacere e di là la sofferenza, ma “anche” nel senso che piacere e sofferenza sono prodotti, presentemente, dalla stessa radice e si diramano da un unico ceppo. Radice che non sta nelle cose ma in noi, un occhio spietato può intravvederla.
La divisa
Rifiuta qualsiasi divieto e ogni obbligo; urla a capocchia come cazzo ti viene; non ambire a piacere anzi sei fai schifo è meglio. Questi i primi tre comandamenti artistici della controcultura Punk.
Sotto certi aspetti non c’è malaccio, se non si fosse obbligati a indossare indumenti e accessori più codificati della divisa dei Carabinieri si poteva anche provare.
Primo comandamento esserci?
“Ti sei mai chiesto quale funzione hai?” (Pollution, Franco Battiato, 1972)
Amiamo, vogliamo, riflettiamo, queste sono le (migliori) funzioni che normalmente esplichiamo, ma mentre ero nella saletta d’attesa del laboratorio di analisi, nell’osservare le figlia che accompagnava il decrepito vegliardo genitore a misurargli sangue e urina col desiderio irriducibile che papà durasse ancora, anzi che durasse per sempre, ho constatato che la funzione primaria che esplichiamo è quella di voler esserci e far essere ancora chi amiamo a prescindere, anche se derelitto o davvero sofferente.
Esserci per cosa? Per curarci gli acciacchi così da esserci ancora per curarci gli acciacchi? “Elemosina gettata al mendico che gli permette di vivere oggi per prolungare il suo dolore l'indomani” come annotava Schopenhauer. Per certi versi l’ossessiva dinamica evoca un girone infernale ideato da un demiurgo sadico, ma in effetti in nostro desiderio irriducibile è perlopiù quella di esserci senza mollare l’osso, imperativo culturale di essere qualcuno invece di nessuno, di essere proprio noi invece che altro, ossessione squisitamente umana estranea alla natura.
La difficile arte di vivere consiste forse nel percorrere l’esistenza con una personalità che ama, vuole e riflette con tutta se stessa, ma al fondo impersonale, libera da se stessa. I nomi per indicarla non mancano: Tao, Zen, Brahman, ápeiron, Essere, Logos, l'Uno, Noumeno, Physis, anche i gatti ne sono un buon esempio.
Riduzionismi rurali
E l’inspiegabile fascino dell’Acanto che spunta tra le pietre bagnate è subito scomparso non appena ho tentato di spiegarlo.