Effimeri, ma non nulla
«Questo ordine universale che è lo stesso per tutti, nessuno degli dei o degli uomini lo ha fatto ma sempre era, è, sarà fuoco sempre vivente che si accende e si spegne secondo giusta misura.» (Eraclito, 535-475 a.C., frammento 30)
L’umano porsi-opporsi nei confronti del funzionamento naturale produce un arrabattarsi tra insensate pretese di eternalismo e sprofondamenti nel nichilismo, che Eraclito accettando di appartenere al funzionamento naturale supera. In quel “si accende e si spegne secondo giusta misura” risolve l’eternalismo e nell’affermare che l’ordine universale “sempre era, è, sarà” non lascia spazio al nichilismo.
Eccola occhieggiare
Ecco le palme illuminate dal sole invernale che tramonta [un click sull’immagine per ingrandirla],
statuto fenomenico che sembra contenere un oltre glorioso, trascendenza che ci è preclusa eppure eccola occhieggiare suggerita dall’immanenza del fenomeno.
Sprazzi d’impersonale consapevolezza
All’interno del modello soggetto-oggetto tanto radicato in noi, le tradizioni sapienziali che indicano di realizzarci distaccandoci da noi stessi provocano un cortocircuito: se mi ometto chi mai si realizza? Per uscire dal paradosso è necessario superare la concezione di soggetto per fonderci nel sostrato universale che ci precede, nel Sé, nell’Essere, nella Vita, in Dio, o comunque lo si chiami, e in questo fonderci non essere in nessun luogo e ovunque, un essere tutto in quanto nessuno.
Se non usciamo dal modello tipicamente ottocentesco del soggetto sovrano, l’invito a staccarsi da sé risulta incomprensibile, e quando comprensibile interpretato come invito a anestetizzarci, a un abbassare l’asticella della percezione personale così da diventare sempre più simili all’ameba e poi all’inorganico, un morire esistendo per non soffrire della vita, insomma una assurdità. Ma non è la proposta ad essere sbagliata ma il paradigma nel quale la interpretiamo.
Stato naturale
Non so se ci sia un modo per raggiungere uno stato naturale imperturbabile e definitivamente libero, ma so che possiamo seriamente iniziare a rigettare ciò che si frappone al suo raggiungimento, in primis la credenza nell’io e nelle sue pompe.
Seriamente irrazionale altra e oltre
Individuare una specifica causa che produce un preciso effetto è logica che va bene per miriadi di situazioni, perfetta per aggiustare la lavatrice che non va più. Ma l’evento dell’universo che è, invece di non essere, quello del nostro personale esserci, o più semplicemente la circostanza che questa mattina ci siamo svegliati dal sonno profondo, poco o niente hanno a che fare col modello del come e del perché, tant’è che come e perché questa mattina ci siamo svegliati mica lo sappiamo, visto che, nella sua totalità, è evento altro che sfugge la dinamica di causa-effetto.
Indagare l’essere all’interno di causa effetto genera angoscia perché utilizziamo una logica circoscritta e periferica, sì indispensabile per capire tantissime cose che succedono dalle nostre parti, ma inadatta per indagare l'essere. Non è semplice venirne fuori sia perché la logica di causa-effetto è inferenza primigenia che abbiamo dentro a priori, sia perché è dogma che imperversa per spiegare come funzionano natura e mondo e che i monoteismi utilizzano per spiegare perché sono. Ma per penetrare l’essere urge una indagine seriamente irrazionale altra e oltre.
Animismo e panteismo
Apparteniamo a una realtà multiforme ma unica e interconnessa, nel reciproco rimando tra noi e la natura il panteismo può essere interpretato come una forma evoluta del primitivo animismo, emancipato da ingenuità e magismi, ma a ben vedere il panteismo è forse concezione e sensibilità opposta all'animismo più che susseguente.
Mentre nell’animismo ci connettiamo alla natura proiettandoci dappertutto, nel panteismo consapevoli di appartenere alla natura ci dissolviamo in essa.
O religione o ateismo?
Augusto Cavadi nel suo saggio O religione o ateismo? La spiritualità «laica» come fondamento comune, (Algra, 2021), di fronte all’aut aut fra ateismi assoluti e religioni rivelate confessionali -peraltro concezioni che risultano sempre più rare- propone la terza via di una spiritualità laica. Tematica approfondita da decenni dall’Autore già illustrata e proposta in numerosi suoi testi, specialmente nel bel saggio “Mosaici di saggezze”.
Forse stimolato a scrivere questo nuovo libro per chiarire il suo rapporto col paradigma post-teistico, col quale dialoga da qualche tempo, Cavadi assembla il libro utilizzando e dialogando con più testi, a partire da “Religione senza Dio” di Ronald Dworkin (1931-2013), filosofo e giurista statunitense. Per Dworkin ciò che davvero conta non è tanto il credere in un Dio creatore personale o nell’evoluzione darwiniana ma, Dio o non Dio, religione è saper cogliere il valore intrinseco dell’universo e la bellezza oggettiva che permea l’esistente. Cavadi, senza nulla contestare alla concettualizzazione di Dworkin, pone invece precise obiezioni alla terminologia che adotta. In primo luogo cogliendo una forzatura nel costringere l’ateo alla religione, per la semplice possibilità del suo poter cogliere un ordine dell’universo. Più corretto utilizzare il termine religiosità invece di religione, come in effetti faceva Albert Einstein nel ricordarci «che ciò che ci è inaccessibile esiste realmente, manifestandosi come la più grande saggezza e la più grande bellezza che le nostre deboli facoltà possono comprendere in forma assolutamente primitiva: questa conoscenza, questa sensazione, è al centro della vera religiosità».
A differenza della religione la religiosità non implica ortodossie ed esprime dimensioni più estese e più profonde del concetto di Dio. Dialogando con L. Berzano (Spiritualità senza Dio?) Cavadi propone utili precisazioni semantiche, indicando con il termine spiritualità il livello di sensibilità base comune a tutti, con religiosità quel senso religioso sotto insieme della spiritualità non necessariamente legato a un assoluto divino, mentre con il termine religione esprime quelle specifiche spiritualità e religiosità che si declinano in appartenenze comunitarie, attraverso precise credenze e pratiche. Quindi la spiritualità è dimensione comune a tutti; la religiosità caratterizza credenti ma anche panteisti e agnostici; con religione si indica invece una peculiare forma spirituale di religiosità codificata comunitariamente e istituzionalmente, attraverso specifici testi, dottrine, culti e precetti. Va da sé che l’ordine logico-gerarchico che vede la religione poggiare sulla religiosità, e questa a sua volta sulla spiritualità, andrebbe rispettato, così da non trovarci con una religione sprovvista di religiosità o di spiritualità, mancanza talvolta riscontrabile nelle religioni rivelate istituzionalizzate.
Un capitolo del libro è dedicato al chiarire alcuni aspetti del naturalismo alla luce della spiritualità filosofica, dove Cavadi dialoga con il naturalismo espresso da Orlando Franceschelli. Naturalismo che lontano da amorali riduzionismi meccanicistici, propone una spiritualità laica capace di etica solidale. Coinvolgenti le pagine dedicate alla mistica laica di Lombardo Vallauri, meditazioni profonde della realtà, dell’infinitamente grande e piccolo, dell’incomprensibile e della complessità cosmica. Complessità che l’Autore approfondisce attraverso Stuart Kauffman, biologo e ricercatore statunitense, analista dei sistemi complessi e della loro relazione con la biosfera.
Le ultime 133 pagine del libro si concludono con un dossier di approfondimento, che raccoglie recensioni dell'Autore su testi del paradigma post-teistico e una coinvolgente relazione autobiografica “Dalle religioni alla spiritualità, ma senza trionfalismi", tenuta al Convegno nazionale delle comunità di base, dove un po’ controcorrente Cavadi evidenzia nella migrazione dalla religione alla spiritualità i possibili rischi di una spiritualità intimistica, se orfana di una compagnia viva che la sostenga.
Riguardo la compatibilità della spiritualità filosofica con quella confessionale che, in linea di principio, Cavadi sostiene e che Fabrizio Mandreoli nella sua postfazione afferma ricordandoci che « la spiritualità filosofica […] non è contraria rispetto a un’esperienza credente pienamente immersa nella tradizione », non posso non osservare una divergenza originaria tra le due spiritualità. Nelle religioni tradizionali rivelate, nonostante il possibile conciliarsi di fede e ragione, la possibilità di saltare a piè pari spiritualità e religiosità per proclamare una religione è implicitamente possibile, perché a differenza della spiritualità filosofica, frutto dell’iniziativa, della sensibilità e della ricerca umana, le religioni rivelate, proprio perché rivelate, indifferenti ad ogni umana inferenza proclamano l’irrompere del divino soprannaturale nel mondo e nella storia. Pretesa che capovolge la successione logico gerarchica di spiritualità che genera religiosità e poi religione, visto che la religione rivelata è evento che piomba nel mondo trascendendo l'esperienza e la conoscenza umana. Non c’è dubbio che i rispettivi rappresentanti delle due concezioni possano rispettarsi, ma le concezioni permangono differenti.
Dai e ridai
Alla nascita non ce l’avevamo per nulla, ma poi senti di qua, risenti di là, dai e ridai e a un certo punto prende forma la credenza che la coscienza individuale e il naturale funzionamento generale siano eventi differenti e separati.
La credenza s’incista a tal punto che bisognerà morire per sradicarla, nel frattempo un tragicomico arrabattarsi nel tentativo di risolverla.
Esiti
Per gli investimenti economici a lungo termine non sempre possiamo sapere come andrà a finire, invece gli esiti della nostra esistenza ci sono noti in anticipo, perché oltre un dato tempo si schiatta di sicuro.
Prevedibile e certo epilogo, a lungo termine, che in qualche modo dovrebbe determinare le nostre scelte a breve e medio termine, perché a lungo termine non si potranno più realizzare, invece no:
per estrosi meccanismi psichici il finale a lungo termine viene rimosso e sostituito da un medio termine infinito, nel quale almanacchiamo una programmazione sempiterna.
Immanenza trascendente
Per concepire un aldilà occorre, per forza di cose, concettualizzare un di là del di qua, una sorta di sua versione special. Non a caso i lassù (del quaggiù) chiamati nei monoteismi paradisi sono fortemente antropomorfici; "Io" corpo e mondo al quadrato super belli e sempiterni, incorruttibili corpi gloriosi in un nuovo e perfetto mondo.
All'opposto nelle spiritualità monistiche non duali, dove il trascendente coincide con l’immanente, l'aldilà con l'al di qua e il particolare col tutto, l’Io perde d’importanza sia da vivo che da morto, mera apparenza che si contrae fino a diventare il nulla che già è o che si espande senza ipertrofie, per dissolversi nel tutto.