Dell’utopica erica
Ho ordinato dieci piantine di erica arborea da un vivaio calabrese così da ricostituire, nell’orto botanico che sto allestendo, una macchia mediterranea completa. Ho già piantumato un centinaio di specie differenti, ma se considero il padiglione del Royal Botanic Kew Gardens dedicato alle piante mediterranee con migliaia di essenze, o a certi angoli naturali intorno all’Etna con distese di erica arborea a vista d’occhio, che senso ha quel giardinetto sotto casa che vale meno di uno sputo?
Si potrebbe almanaccare che se dalle mie parti tutti facessero come me ci sarebbe un territorio più sano e più bello, ma siccome tutti non lo fanno rimane quello sputo.
Eppure una strana forza mi spinge a continuare. Probabile che quel piccolo giardino sia un’utopia, uno schizzo per fermare una idea, un posto per farci abitare qualcuno.
Sotto e sopra le righe
Ehi, voi del mondo ! ci sono anch’io e valgo di più del due di picche ! e se quelli del mondo di tanto in tanto rispondono confermando, sappiamo di esistere e di valere qualcosa; le cose si complicano un po’ se tirano dritto indifferenti o controbattono ostili, anche se ce ne faremo una ragione.
Ma il vero disastro è se ci rispondono adulandoci e noi lasciamo fare soddisfatti compiendo un doppio errore di valutazione nel gradire l’implicito auto-azzeramento dell’altro, che invece un valore ce l'ha sempre, e parallelamente avvallando un nostro eccesso di valore che, se non siamo del tutto fessi (scissi), sappiamo bene di non avere.
A corpo presente
Ricordo che nella Brianza degli anni Sessanta dello scorso secolo, il lavoro fisico era il criterio in base al quale si valutavano gli esseri umani, giudicando meritevoli degli inferi quelli che dimoravano nella sfera del pensiero e dell’empireo gli scaricatori di porto; fatti non parole, taci e fai. In altri tempi e ambienti si è invece affermata la superiorità delle aristocrazie intellettuali.
Manicheismi che non trovano conferma nella realtà perché, al di là di ogni dualismo teorico/pratico o pratico/teorico, pensare è fare e fare è simultaneo pensare. Fa il corpo immobile del pensatore che produce teoresi ed esprime pensiero il colpo d’ascia del boscaiolo, ma se il pensatore minimizza all’estremo i suoi sensi corporei e il boscaiolo il suo pensare, è probabile che produrranno teorie malfatte e legna mal spaccata,
però è l’intellettuale a rischiare di più perché la qualità del tronco spaccato è verificabile nel suo diretto e immediato accadere, mentre le conclusioni del puro pensare che manipola l’immateriale chiedono comprensioni complesse, finanche impossibili[1], oltreché assidue mediazioni, ossia idee e proposizioni che possono essere comprese solo attraverso altre idee e proposizioni, ecc., il giro si fa lungo e tortuoso e l’eventualità che l’intellettuale a-corporeo concluda un bel niente[2], o qualcosa di totalmente errato, è sempre da considerare.
________________________________________
1 "Questo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra" così affermava Heidegger di Jacques Lacan, citato in Jacques Bénesteau. Mensonges freudiens: Histoire d'une désinformation séculaire. Parafrasando: Heidegger ha bisogno di un filosofo?
2 “I monti avranno i dolori del parto, nascerà un ridicolo topo” (Orazio)
Tra le pere e i cavolfiori
Mentre pensavo a Nietzsche che giudicava la compassione una utilizzazione dell’altro miserabile, allo scopo di esaltare la nostra sentimentalità egoistica; una sorta di culto dell’io sotto le spoglie opposte della bontà, ho incontrato al supermercato una signora sciancata di brutto e l’ho aiutata a sbloccare il carrello che le si era incastrato nel banco della frutta, tra le pere e i cavolfiori. Gesto tecnico spontaneo e se lo storpio fossi stato io invece che la signora sarebbe stata lei ad aiutarmi, senza sentirsi per questo eroica o particolarmente buona.
Non escludo che ci sia qualcuno che camminando per la via sia spinto da forze misteriose a prendere a sberle tutti quelli che incontra, ma animali sociali siamo perlopiù spinti a darci una mano. Tutto molto semplice, tutto molto naturale.
Costipazione psichica
A volte la psiche umana muove alle peggiori cose perché, invece di espandersi verso sempre mutevoli vastità complesse, scoprendo il proprio volto nella conoscenza dei volti del mondo, si contrae fissandosi in una ristretta elementarità circoscritta e persuadendosi della sua assoluta verità la universalizza.
Perché papa Francesco ha commissariato i Memores Domini
Papa Francesco ha deciso il commissariamento dei Memores Domini, l’associazione paramonastica laicale di Comunione e liberazione. «Il Santo Padre Francesco, avendo a cuore l’esperienza dei Memores Domini e riconoscendone nel carisma una manifestazione della grazia di Dio, ha disposto un cambiamento nella conduzione dell’associazione». Nel comunicato della Santa Sede da una parte si afferma che Papa Francesco ha a cuore l’esperienza dei Memores Domini, riconoscendo nel suo carisma una manifestazione della grazia di Dio - con carisma si intende un dono peculiare elargito dallo Spirito Santo al singolo, o a uno specifico gruppo, a vantaggio di tutta la Chiesa -, ma proprio per tutelare tale carisma Francesco azzera il direttorio dei Memores.
Tento di fare chiarezza, e sul carisma dei Memores, e sull’azzeramento dei vertici, basandomi su quanto avevo visto e udito essendo stato, peccati di gioventù, uno di loro. Il problema è quello dell’obbedienza ai superiori, si potrebbe supporre che il duro intervento di Francesco si sia reso necessario per arginare qualche responsabile dei Memores che, scheggia impazzita, inchiodato alla poltrona ha abusato del suo potere, mentre il problema è ben più profondo e strutturale. Il carisma dei Memores è quello di vivere la memoria continua del Cristo, tale memoria per i Memores non è un mero ricordarsi che Gesù Cristo è venuto nel mondo, ma è una concezione ontologica della realtà, in effetti la metafisica di Giussani vede la struttura della materia costituita da Cristo stesso, e con “fare memoria” si intende il raggiungere e il permanere in tale concezione interpretativa della realtà. Ontologia che vede l’entità cristica essenza onnipervadente costitutiva di tutti gli enti. Memoria non da vivere in una sfera intimistica ma nel mondo, specificamente nel mondo del lavoro: ora et labora, perché solo lì diventa segno e testimonianza. Se gli uomini di questo mondo vedono una intelligente e bella collega che ha fatto promessa di povertà, ovvero ha scelto per Cristo di non possedere nulla di proprio; di obbedienza ossia ha rinunciato al proprio volere per porsi sotto il volere di Cristo; di verginità cioè ha riconosciuto di non appartenere a se stessa ma a Cristo, ecco che i colleghi di lavoro si chiederanno: “Ma che misteriosa potenza ci sarà mai sotto a questa qui ?” E saranno spinti ad indagare e forse a trovare Cristo. Questo è, in estrema sintesi, il carisma, la cifra, dei Memores Domini.
Evidenti le criticità di tale posizione, per chi volesse approfondire rimando a mie due scritti sulla problematica, il primo autobiografico: “Memorie di un ex monaco”, l’altro più riflessivo: “Vita di don Giussani”, ma su l'aspetto più problematico, che è poi quello che ha portato all’azzeramento del direttivo dei Memores, qualcosa possiamo dirla subito e riguarda l’obbedienza, ovvero a rinunciare al proprio volere per porsi sotto al volere di Cristo. E qual è il volere di Cristo? Come possiamo conoscerlo? Giussani aveva le idee chiarissime al riguardo. L'obbedienza per Giussani è il senso stesso della vocazione dei Memores perché senza obbedienza non può esserci memoria; il compito primario è di annientare ogni atto di disobbedienza alla volontà divina, modellando se stessi su Cristo, che fu obbediente al Padre fino alla morte. La vita monastica inizia quindi con l'intenzione di rinunciare al proprio volere ponendo se stessi sotto il volere di un uomo, un superiore che rappresenta la persona di Cristo stesso. Il memor deve chiedersi valgo più io o Cristo, ossia valgo più io o la Chiesa? Più precisamente, valgo più io o il pezzo di Chiesa che ho incontrato? Ancora più precisamente, valgo più io o il mio capo del direttivo? Vale di più Dio incarnato di me, questo è il giudizio di valore, questo è il fatto in base al quale classificare tutte le cose, dunque la mia più grande e totale libertà è obbedire sempre e illimitatamente al direttivo, a nomi e cognomi precisi. E se il Superiore è un cretino patentato che dà indicazioni sbagliate? Non importa, anzi meglio ! In quanto si obbedisce non tanto perché così si fanno le cose giuste, ma perché l'unica cosa giusta è emanciparsi dall'ego, liberarsi da se stessi e questo lo si ottiene solo obbedendo ad un altro, elementare Watson !
Se sei fortunato e per grazia divina ti becchi un capo casa sistematicamente arrogante con i subalterni e afflitto da complesso di superiorità, come quello che avevo io, l'opportunità di emanciparti celermente dall'ego diventa davvero rapida e certa in quanto qualsiasi cosa farai, qualsiasi cosa risponderai e qualsiasi cosa proporrai di quanto ben conosci e padroneggi, sarà in ogni caso metodicamente denigrata dal superiore. Al riguardo facevo delle prove e simulazioni interessanti. Quanto mi beccavo una latrata ne prendevo nota e il giorno dopo nella medesima situazione, provavo a comportarmi con il superiore in modo opposto. La latrata arrivava identica e puntuale come quella del giorno precedente. Stesso tono, stesse parole, medesimo volume della voce. La faccenda incominciava ad appassionarmi, così avevo indagato a fondo e con scrupolo provando, giorno per giorno, decine e decine di comportamenti diversi nello stesso contesto, proponevo tutte le variabili di cui ero capace e regolarmente il feedback del capo era l'identica latrata. Indipendentemente da quanto dicevo, facevo, avvertivo, indipendentemente dal significato che attribuivo alle situazioni, i miei sentimenti, pensieri e messaggi venivano spogliati di validità. Alla fine dell'esperimento avevo compreso quanto fossero per me vantaggiosi i modi di fare del capo casa, che con la sua mirabile costanza nel massacro sistematico mi permetteva in quell'olocausto provinciale di non attaccarmi alla logica, all’inferenza, alla coerenza e al buon senso, infidi alibi per non emanciparmi dall'egoiga personalità. Una dipendenza metafisica, io non esistevo, dipendevo dall'altro per esistere. Non venendomi riconosciuto alcun significato, alcun peso, alcuna importanza e alcuna rilevanza io non ero, ma potevo essere se ero l'altro, "non ero più io che vivevo, ma Cristo in me".
Obbedienza, assoluta, diretta e precisissima a uomini che per processo analogico rappresenterebbero Iddio stesso per i subalterni: «Mai possiamo aderire di più alla misericordia di Dio che nell’ubbedire alle persone, alle pietre dove Dio ci ha collocati» (don Giussani). “Dipendenza” è termine squisitamente giussaniano, va precisato che nei Memores al dipendente è chiesto di fare proprie le ragioni dell’autorità, individuando e accogliendo l'informazione di fondo che esprime il Superiore per farla diventare intimamente propria sentendone il valore, in quanto l’autorità è ritenuta Cristo presente, individuo di per sé effimero eppure veicolante l'Assoluto. Va da sé, per inciso, che anche il superiore che vale zero acquisterà un po’ di valore nell’azzerare il sottoposto. Per il subalterno urge, dunque, che indifferente al grado di sensibilità, onestà e verità del Superiore, lo interiorizzi per la sacramentalità da lui espressa e significata. Arbitraria e assoluta obbedienza - che manco il Concilio Vaticano Primo (1870) riconosceva al papa - al direttivo, che a sua volta chiede ai diretti sottoposti, che replicano ai loro, i quali reiterano. Gerarchica piramidale (clericalismo) giustificata dalla teoria di Dio nel mondo attraverso Cristo, quindi di Dio nella storia attraverso Cristo nella Chiesa, pertanto di Dio presente nel pezzo di Chiesa Memores Domini e, dunque, albergante nei suoi responsabili. Presupposta presenza divina che si manifesterebbe nelle autorità del gruppo - tutte sistematicamente operanti ex cathedra 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 - per nulla motivata, né logicamente, né teologicamente. Certi della presenza del Dio vivo nei responsabili di Comunione e Liberazione l’obbedienza alle loro indicazioni salverebbe il subalterno sottoposto dall’egoica mortale individualità emancipandolo dal nulla che lo costituisce, salvezza indipendente dalla veridicità e ragionevolezza delle indicazioni del capo al contrario, come su accennato, più aumenta lo scostamento tra l’indicazione dell’autorità e l’opinione del sottoposto più l’indicazione risulterebbe, nell'ottica giussaniana, redentiva: nei Memores ben oltre il formale militaresco yes-sir-così-sia, replicato a oltranza finalizzato all’efficiente coeso funzionamento del gruppo - groupthink (William H. Whyte, Irving Janis) - si obbedisce, dunque, per essere e diventare sé stessi in quanto la personale identità sarebbe costituita dalla divina alterità espressa dal superiore: «Il nostro nucleo umano non risiede in noi stessi, bensì nell'autorità alla quale ci sottomettiamo» (Erich Fromm, Avere o essere?). Al riguardo don Giussani ricordava Santa Teresa del Bambin Gesù che, a suo dire, grazie all'obbedienza a una perfida badessa realizzava una totale emancipazione salvifica da se stessa, redenzione direttamente proporzionale alla perfidia del capo: più è altro (differente) e più funziona nel raddrizzare il legno storto. Un processo di infantilizzazione e sottomissione - "pedagogia nera" (Rutschky, Schatzman, Miller) - evidentemente devastante e patogeno sia per il sottoposto, sia per il superiore.
Girone infernale di un autoritarismo assoluto esercitato a oltranza, che oggi Francesco ha disinnescato confiscandone il nucleo corporeo, la sfida sarà quella di rifondare i Memores partendo da nuove fondamenta, compito arduo, forse impossibile considerando che i Memores sono quelle fondamenta.
Costrizioni formali
Possiamo entrare, transitare e uscire da questo mondo, via, via, con bagagli esistenziali teisti, atei o panteisti, facendo tranquillamente a meno di dichiararli formalmente, visto che non ci sono controlli doganali.
Non è questione di "verità" ma di via.
Escamotage ascetico
Visti i nefasti effetti collaterali procurati dal resistere alle abitudini dannose con stoico autocontrollo e lotte corpo a corpo con noi stessi, forse meglio liberarci dalle tentazioni cedendovi.
In alternativa ai due estremi potremmo anche tentare qualche ingegnoso gioco di destrezza, rinviando con eleganti trucchi ogni resistere e ogni cedere, e se bravi giocolieri ritrovarci oltre.
Estradizione negata
Strana cosa è mythos, strana cosa è una storia, mostrandosi si dimostra e anche senza che venga stipulato un patto narrativo permane effettiva, non perché verosimile o inverosimile ma perché narrabile.
Per invalidarla dobbiamo estradarla dal suo regno e costringerla in quello delle ipotesi e delle tesi confutando così tutt’altra cosa, mentre l’originale permane nella sua verità causa di se stessa. Non a caso il diavolo ha imparato da Dio a raccontarne a raffica.
Grazie, a prescindere
Può anche darsi che in chi va pazzo per i sofferenti si annidi qualcosa di oscuro; nel suo insopprimibile desiderio di curare i bisognosi, sotto, sotto, potrebbe anche ardere una disposizione sadica[1] o un ego ipertrofico[2].
Qualsiasi cosa sia, o non sia, in ogni caso grazie !
______________________________________
1 “Non so nulla, dei primi anni della mia vita, che deponga per un mio bisogno di aiutare l’umanità sofferente; d’altra parte la mia innata disposizione sadica non era particolarmente forte, ragion per cui non necessariamente doveva svilupparsi questo suo derivato”. (S. Freud, “L'analisi dei non medici; Proscritto del 1927”).
2 “Dove risiedono i più grandi pericoli? Nella compassione” (Nietzsche, “La gaia scienza”). “L’esercizio di questa virtù [la compassione] ha bisogno dell’altro e, specificamente della sua miseria […] Quindi, è anche, e malgrado le apparenze, una virtù egoista, che mira solo all’utilizzazione dell’altro allo scopo di esaltare la sua stessa sentimentalità. Porre questo sentimento al centro della morale vuol dire, in realtà, identificare la morale con il culto dell’io sotto le spoglie opposte della rinuncia”. (Paul Valadier, “Nietzsche e la critica radicale del cristianesimo”).