Buddha e Schopenhauer ci avevano tempestivamente allertati: "L'esistenza è sofferenza" ed eccoci qua in coda col piscio in mano come previsto, anche se vorremmo stare da tutt’altra parte, cinquantadue ombrelli aperti nella nebbia perché nella sala d'aspetto del laboratorio di analisi si entra uno alla volta, è scritto col pennarello su un foglio A4 appiccicato alla porta.
Forse è più giusto affermare che l’esistenza è anche sofferenza, visto che non è sempre e solo sofferenza. Ma non nel senso che piacere e dolore si alternano binariamente e temporalmente, l’uno o l’altro, prima uno e poi l’altro, separati da una linea di confine spazio temporale con di qua il piacere e di là la sofferenza, ma “anche” nel senso che piacere e sofferenza sono prodotti, presentemente, dalla stessa radice e si diramano da un unico ceppo. Radice che non sta nelle cose ma in noi, un occhio spietato può intravvederla.