Angelo custode 2.0
Sarà che negli ultimi tempi sogno cose piacevoli che nei risvegli notturni rilevo che il modo più rapido per riaddormentarmi è ritornare all’ultimo frammento del sogno interrotto, curioso di sapere come andrà a finire. Anche nel coricarmi arriva chissà da dove una qualche immagine e se la osservo per bene inizia un racconto che mi conduce all’istante nel sonno per godermi lo spettacolo. Prova, come sosteneva Freud, che il sogno è il bodyguard del sonno.
Non possiamo escludere che il guardiano faccia pure gli straordinari, operando in qualche modo, anche nel nostro stato di veglia. Poco di occulto tanto di naturale, mica è un angelo del cielo, il custode ha la nostra faccia e ognuno ha quello che si merita.
Scendere dal pero
Sovente la corte osanna il principe a prescindere dal suo valore reale, legittimando la fondatezza del suo pensare, anche quando pensa male, con l’importanza della sua carica, privandolo così della personale autorità di intendere e di volere. Montaigne, per far recuperare al principe un minimo di responsabilità personale, così da proteggere il suo equilibrio mentale, consigliava di interrompere quel lodarlo a oltranza per sbatterlo su un cavallo che, per sua natura, disarciona il figlio del re come il figlio del facchino.
Non di rado anche la fondatezza del pensiero della vittima è legittimato dall’intensità della sua sofferenza, invece che dal valore nel merito, una sorta di sacralizzazione della vittima che la pietrifica in un limbo di immaginaria onnipotenza condivisa non profanabile. Forse quel «Lazzaro, vieni fuori!» è latrato che la desacralizza, così da liberarla finalmente dall’incantesimo.
Salto nella fede
Kierkegaard vedeva l’umana primigenia angoscia di piombare nel baratro del nulla risolta dall’inserzione dell'eternità nel tempo operata da Cristo. Non possiamo escludere che tale salto nella fede sia un balzo in noi stessi, luogo intimo da dove proiettiamo idee di redenzione sulla - e, dunque, riflesse dalla - figura del Cristo. Un cantarsela e suonarsela che solo l’avvenimento altro (da noi) della Chiesa cattolica - la religione più materialista al mondo – può smantellare alla radice in quanto realtà storica tutta poggiata sulla “verità” della Rivelazione e sulla oggettività della tradizione.
Nel primo caso il salto nella fede ci porterebbe a obbedire inconsapevolmente a noi medesimi, nel secondo caso ad altri. Forse meglio non saltare.
L’archibugio
Girano di brutto quando rubano il frutto del lavoro, ma non gli sparerei nel culo manco con le cartucce a sale grosso, perché già impallinati per direttissima e senza appello alla pena di appartenenti alla categoria degli idioti & miserabili, con sentenza promulgata da loro stessi, esecutiva al compimento del reato.
A ripianare la faccenda che agiscano le generali e universali misure e norme dell'umano diritto costituite, istituite, e socialmente condivise.
In fin dei conti tolleranza personale zero è roba da miserabili come loro, chi ricco prova a pensare invece di reagire e tollera invece di sparare, che in senso etimologico significa sopporta, regge, sostiene un peso almeno per un po’. Roba da forti.
Oltre-altro
I comandamento senso della misura; II un minimo di competenza; III discernimento. E così non passa giorno che nella mia erboristeria devo insistere, talvolta quasi combattere, per convincere qualche cliente - se afflitto da specifiche patologie - a non assumere i rimedi che produco, ma che invece consulti un medico specialista optando per i farmaci che gli prescriverà.
Che strano... E’ come se l’insegnante raccomandasse per il bene dello studente che non frequenti certe lezioni, il prete indicasse al fedele di lasciar perdere alcuni sacramenti e il filosofo consigliasse di evitare la ricerca teoretica per andare a zappare la terra.
In fin dei conti non sarebbe poi male. Beninteso, solo in casi particolari.
Superstizioni
Alcuni stoici meditavano immaginando e simulando gli eventi più terribili che potevano capitargli, una sorta di allenamento per permanere imperturbabili se fossero accaduti per davvero, in fin dei conti un tentativo di controllo assoluto della realtà.
In Casi clinici Freud dettaglia storie di soggetti che, inconsapevolmente, facevano lo stesso. A differenza degli stoici erano mossi da fatti dolorosi realmente accaduti che rimossi erano proiettati nel futuro come eventi incombenti. In tale dinamica la meditazione stoica era sostituita e surrogata da riti superstiziosi, ossessivi e compulsivi, al fine di esorcizzare quei presupposti pericoli imminenti. Tentativo di immaginare-controllare un futuro irreale che produce una personale corrosione tempestiva e reale.
In ogni caso, stoici o scompensati, forse più sano quel «A ciascun giorno basta la sua pena.»
Esopo 2.0
Nel prato dietro casa scorgo due cuccioli randagi metà maremmani e metà volpini, uno è morto l’altro lo veglia, quello cadavere appare ben messo e quello vivo mal ridotto. Da un po' si aggiravano nottetempo sul piazzale per divorare i croccantini avanzati dai gatti, di recente facevano qualche incursione diurna, ma diffidenti mangiavano solo se gli stavo lontano. Ingurgitava quasi tutto il dominante, quello pezzato e ben messo, a scapito del fratello, quello tutto bianco e denutrito; anche se offrivo cibo sufficiente per entrambi il più grosso aggrediva il fratello impedendogli di mangiare.
Gira di qua, gira di là, abbaia di qua, abbaia di là, oggi vagabondando nella contrada probabilmente hanno incontrato una bestia che gli ha propinato polpette avvelenate approntate col veleno per i ratti, pratica rurale diffusa dalle mie parti. Plausibile che, secondo copione, il dominante le abbia divorate tutte impedendo al fratello anche solo di assaggiarle, e fu così che: talvolta i perdenti vincono.
in hora mortis nostrae
Il cattolico invocare la Madonna implorandola che preghi Dio nel momento della nostra morte (et in hora mortis nostrae), dimodoché in quel determinato istante tutto volga al meglio, come anche l’esercitarsi preparandosi con appropriate tecniche e mirate strategie per affrontare con vantaggio tale certo quanto imprevedibile momento, tipico di alcuni filoni del buddismo e dell’induismo, assomigliano all’allenarsi dell’atleta per la gara olimpica e alla prova di evacuazione in zona sismica; tensione finalizzata ad un supremo istante dove si deciderebbe tutto di noi.
La vita della natura, per quanto osservo, non funziona così e neppure gli uomini, probabilmente manco Dio.
Il non detto
Dall’allungamento del naso di Pinocchio a La voce del silenzio di Ranieri, da The sound of silence di Simon & Garfunkel alle osservazioni di Freud[1] fino al codice penale[2] e alle omertà mafiose, sappiamo che il non detto non è evento neutro ma, nel bene (consapevoli che il nostro sapere potrebbe essere parziale o errato, talora meglio tacere) e nel male (dissimulazione), un atto semiotico efficiente quanto il dire, capace di determinare uno stato di cose specifico.
Il non detto tace eppure esprime, comunica e fa. Percepibile, oltre che mediante il linguaggio corporeo del dissimulatore, forse anche grazie a una sorta di percezione sensoriale - perlopiù spiacevole - avvertibile in sua presenza, come i cani e i gatti sentono il terremoto prima che arrivi. Niente di paranormale ma possibile reminiscenza ancestrale, quando nella preistoria la nostra specie percepiva, pur sprovvista di linguaggio articolato, potenziali pericoli. Sensibilità oggi perduta, ma non completamente; permane qualche residuo, quel giusto per individuare il ballista.
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1 «Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce attraverso tutti i pori.» (S. Freud, Frammento di un'analisi di isteria, in Casi clinici, Einaudi 1952, p. 95).
2 che giudica reato oltre all’affermazione del falso o la negazione del vero, anche il tacere, in tutto o in parte, ciò che si sa intorno ai fatti (art. 372 reato di falsa testimonianza).
Anima
In ballo da qualche giorno con la lettura di Jung, sui due archetipi del maschile Animus e femminile Anima che ci costituiscono - e maschi e femmine - fatico a districarmi nella complessità della sua teoria. Quando affermo: «Ah è così che intende» un paio di pagine dopo vedo che, invece, intende cosà; anzi un tutt’uno di così e cosà contrapposti ma polarmente simultaneamente unificati e unificanti.
In tanta mia confusione nel dormiveglia del mattino irrompe preciso un remoto ricordo: avevo più o meno cinque anni e mia cugina, poco più che adolescente, mi truccava da donna. Ricordo le mie unghie laccate e nello specchio le labbra col rossetto, le ciglia col mascara e i capelli fatti a ricciolo, mentre l’artefice dell’opera mi osservava soddisfatta.
Il ricordo mi procura una sensazione di piacevole appagamento. Non escludo che sia stato tra gli atti più sani che qualcuno mi abbia elargito.