L’abito
Ieri sera nel leggere l’acosmismo che Hegel riscontrava in Spinoza avevo la gradevole impressione di giocare in casa nonostante la mia carente formazione filosofica e la complessità dell’argomento, così ho considerato che se non sono venuto proprio male un qualche merito lo dovrei forse tributare alla formazione avuta da giovane in ambito cattolico.
Era un posto strano e tosto con autorità che t’inoculavano una sorta di “mistica oggettiva”, approccio metafisico che vede la struttura intima della materia costituita da Cristo, un Dio che incarnandosi entrerebbe nella materia costituendola e glorificandola. L’ascesi personale consisteva nell’accettare e permanere in tale concezione.
Teoria bislacca che se acriticamente accettata e introiettata ti potrebbe scompensare di brutto a vita, eppure, nondimeno, teoria che se affrontata filosoficamente - come senza rendermi conto facevo da giovane da quelle parti - invece che subita precettisticamente, può rivelarsi stimolo e opportunità per non glissare riguardo la causa, la natura e il fine della realtà, così da filosofare per inventariarla ontologicamente (che cosa c'è) e indagarla metafisicamente (che cos'è, come è, perché è). Abito che tempo fa avevo indossato in quegli ambienti e mi porto ancora addosso, non posso escludere che me lo sarei messo addosso anche senza la Chiesa e francamente non so di preciso a cosa mi serva, visto che chi glissa su ontologia e metafisica non vive peggio di me (ma neppure meglio), però mi piace, motivo più che sufficiente per tenermelo.
La spuntata
Ho potato gli ulivi e tagliato il prato perché se lascio fare alla natura e mi abbandono misticamente a essa degrada allo sgradevole. Mio arbitrio religioso ed estetico? Può darsi, ma non possiamo escludere che sia proprio la natura che, in qualche modo, stimoli nell’uomo dei canoni produttivi ed estetici così da migliorarsi grazie al nostro lavoro.
Forse anche Dio esausto dei mistici che si annientano abbandonandosi in Lui è in cerca di amici e alleati che gli diano una spuntata.
The end?
Possiamo narrare la nostra esistenza dettagliando cronologicamente dal primo all’ultimo tutti gli episodi come nei romanzi a puntate, eppure alla larga da assemblaggi seriali possiamo descriverla, non meno puntuali, senza citare nemmeno un episodio per descrivere il nostro pensiero, sensibilità, concezione della realtà e i contenuti atemporali dei nostri sogni notturni.
Indicazione che forse noi e la nostra esistenza non sono segmenti, ma rette indefinitamente prolungate da tutte le parti.
I gigli del campo
Osservando i vecchi delle mie parti ho riscontrato che i contadini sono tra i meno angosciati dall’imminente epilogo della personale avventura umana.
Anch’io questa primavera nel monitorare la valeriana rossa rifiorire mi sento meglio, la sua indifferenza che dice all’angoscia umana “ho ben altro da pensare e fare” ci invita a una giusta misura individuale aprendo altre rassicuranti possibilità con le quali conviene allearsi.
Deuteronomio 2.0
Ascolta intellettuale: la gente ha molto altro a cui pensare.
Tieni questo precetto oggi impresso nel tuo cuore. Insegnalo ai tuoi figli parlandone con essi, stando in casa e andando per la via, coricandoti e alzandoti. Legalo come segno sulla mano, e fra gli occhi, perché vedano. Scrivilo sugli stipiti delle porte di casa e sulle porte della città.
Ambiguità
Contestare radicalmente nei suoi fondamenti un’istituzione appartenendoci in toto è affermarne, implicitamente e proporzionalmente, la validità e legittimità.
Stile-libero
Nel leggere un compendio degli scritti di Jung su Freud oltre ad apprendere che, a differenza del sentito dire, la stima che esprime per Freud supera di gran lunga le divergenze, vengo notiziato di quanto sia semplice distinguere il normale dallo scompensato: sani e meno sani di testa sperimentano, tranne poche eccezioni, i medesimi, e ben noti, processi e passaggi nell’infanzia; il sano li accetta e si adatta, l’altro no, differenze plausibilmente procurate da sensibilità innate. Per farla semplice il normale si adegua al mondo così com’è e agli altri così come sono, mentre lo scompensato rifiuta di adattarsi e introverso s’isola in se stesso in una sorta di torre, universo autistico oppositivo al mondo non di rado avvertito soggettivamente sublime o comunque superiore, che impedisce di operare con gli altri (lavorare e amare).
Si potrebbe obiettare che il mondo, così com’è, non sia proprio sano e che, dunque, adattarsi a esso sia più un atto patogeno che non cartina tornasole di salute personale. Alibi in apparenza solido se non fosse che adattamento, oltre a conformazione e rassegnazione, significa movimento per rendere adatto a un uso e a uno scopo, così da scendere dalla torre per lottare corpo a corpo, stile-libero. Non a caso la lotta, beninteso all'interno di precise regole condivise, è fortemente documentata con intento formativo-educativo in tutte le mitologie.
Perché?
Ce ne faremo una ragione che nell’arrampicare sul ghiaccio s’è rotto l’osso del collo, ma che rende davvero intollerabile una disgrazia, oltre alla specifica gravità, è la possibile accidentalità. Per attenuare l’erosione procurata dall’inesplicabile abbiamo a disposizione qualche strategia, poche in verità:
possiamo esaminare razionalmente le cause della disgrazia, nel farlo solitamente irrompono miriadi di inutili “se” che qualora tempestivamente ottemperati avrebbero evitato la coincidenza che il disgraziato si trovasse proprio in quel posto in quel dato momento. Analisi che considerando il rischio di eventuali similari incidenti futuri prova a prevederli così da proteggersi, ingenuo stratagemma che provando a imbrigliare la casualità nella causalità, prova a circoscrivere nella razionalità la disgrazia già accaduta, per così dire retroattivamente.
Possiamo anche contemplare l’universo che con la sua grandezza ristabilisce l’ordine delle cose relativizzando le vicende dei mortali, interpretando la disgrazia in un rapporto tra gli eventi come parte di un tutto, « la memoria è fragile e il corso di una vita è molto breve e tutto avviene così in fretta, che non riusciamo a vedere il rapporto tra gli eventi, […] crediamo nella finzione del tempo, nel presente, nel passato, nel futuro, ma può anche darsi che tutto succeda simultaneamente » (Isabel Allende, La casa degli spiriti); una sorta di grande funzionamento che se visto nell’insieme risulta armonico grazie a nessi diretti di causa/effetto più o meno lineari, principio metafisico che i filosofi chiamano necessità.
Qualcuno per risolvere l’impasse si da al sofismo «… la ragione dà ragione all'assassino e alla sua vittima. L'assassino e la sua vittima sono inscindibili. “Ti sei interessato a me sino a uccidermi” » (Manlio Sgalambro, Del delitto).
Strategia consolatoria diffusa è quella d’interpretare la disgrazia come Destino, operazione che pur connotando l’imprevedibile ineluttabilità inaudita della disgrazia ne rifiuta il pungolo dell’accidentalità: perché ci sia destino è necessaria una volontà superiore che decida lo svolgimento degli eventi, pertanto un senso, anche se a noi ignoto, da una qualche parte probabilmente alberga. In fin dei conti risulta più tollerabile un Dio cattivo o misterioso che il caso che manco puoi bestemmiare o pregare.
Visto che le discipline arrancano non ci resta che la fattiva vicinanza e la solidarietà reciproca.
Pulizie di Pasqua
So che quando in cucina insisto nel lucidare il rubinetto del lavabo, anche se già bello pulito, e poi contemplo soddisfatto la sua inutile lucentezza è dinamica correlata alla libido, proprio come quando il giovanotto con la vecchia Alfa Romeo rossa, tirata a lucido, mi sorpassa sulla provinciale anche se non ha fretta. Nel ruminare la cosa mi è tornato alla mente un passaggio di Jung, non mi ricordo dove l’avevo letto e vado a braccio:
dialogando con suoi colleghi riferiva che grazie alla osservazione clinica aveva visto che la soppressione della sessualità anale è sovente compensata dal maniacale e ossessivo attivarsi nelle pulizie domestiche, poi specificava – e qui viene il bello – specialmente di quelle pasquali. Avrà avuto le sue ragioni verificate sul campo e confermate da statistiche cliniche per affermarlo. Così ogni volta che ci imbatteremo in una massaia impegnata fino allo spasimo nelle pulizie di Pasqua - donzelletta che si appresta a ornare per il dí di festa - sapremo finalmente cosa pensare.
Talvolta i saggi scientifici deliziano più dei letterari.
Il paragnosta
Da parte di una certa spiritualità New Age imperversano affronti nei confronti del pensiero razionale e dell’Io, ma non è chiaro cosa propongano in alternativa all’uomo pensante.
Più chiara, mi sembra, l’abilità della psicoanalisi - pur nelle innumerevoli rivisitazioni e differenti filoni della disciplina - d’esplorare con precisione l’inaudito, di dire l’indicibile e dettagliare l’invisibile, senza necessità di intuizioni mistiche e trance transpersonali, poggiando proprio - Jung incluso - sul pensiero razionale del ricercatore. Visto che ci sono e quanto possono fare, meglio tenerli cari, e l'Io, e il pensiero razionale.