Alla ricerca del lemma sconosciuto
Siccome ognuno ha l’imprinting che ha e il vocabolario che può, non ho trovato di meglio che prendere in prestito dalla storia della Chiesa e dintorni il lemma ‘secolarizzazione’ per definire quel ottemperare faccende, guadagnare denari, esercitare diritti e rispettare doveri, derivanti dalla contingenza del trovarmi adesso in questa parte di mondo, così da distinguerli dal rapporto quotidiano che ho con la natura, dall’indagine delle realtà ultime, universali, eterne e assolute (non necessariamente soprannaturali).
Dimensioni, quella secolarizzata e quella universale, che gli uomini di pensiero interpretano come regni differenti e separati, altre volte sovrapposti e mischiati e persino coincidenti in quanto l’assoluto è visto immanente al mondo (Spinoza) o, all’opposto speculare, perché espresso dalla storia umana (Hegel); realtà in ogni caso concettualmente distinte.
Il punto è che delle realtà universali, ultime e assolute, non si occupano solo i teologi di una qualche confessione e i metafisici della trascendenza che tendono a Dio, ma anche filosofi per nulla religiosi, naturalisti atei ed anche fisici teorici miscredenti, che pertanto potrebbero affermare a ragion veduta: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36).
Onde cerebrali Theta
40 gradi, con la vecchia BCS taglio l’ettaro d’erba spinosa e rada ricresciuta dopo il taglio di primavera. Sarà per quel rituale andar su e giù pel campo, sarà per il suono-rumore recto tono stretto del motore, sarà che non mangio da ore, sarà per quel fissare il movimento psichedelico delle lame, sarà per il calore del sole amplificato dal tubo di scarico e per i monossidi che sputa fuori, sarà forse che indosso le vecchie scarpe da lavoro di papà morto da tempo, sarà per la nenia ipnotica delle cicale e per le rondini che per ingurgitare i moscerini che sollevo mi ruotano attorno come dervisci, fatto sta che l’attività elettrica dell'encefalo mi vira di botto su frequenze singolari, forse onde Theta.
Osservo sullo sfondo del campo la casa dove vivo, la vedo bianca e inedita con mio padre e mia madre viverci ancora dentro come se fossero ancora vivi, i panni stesi gocciolanti sembrano affissi da lei, scorgo nella contrada i tanti amici che non ci sono più, ma la natura c’è ancora, uguale e stabile. Impassibili ci sono anche i manufatti che i defunti avevano costruito e curato, una sorta di affronto nei loro confronti, come lo saranno presto per me.
Escogito uno stratagemma per non farmi fagocitare dal beffardo implacabile Funzionamento e mi posizione da subito, vivo e vegeto, in quel continuo-infinito-presente dove i morti tornano in vita e i vivi frequentano i luoghi abitati dai morti, nel farlo percepisco di omettermi, di rarefarmi un po’, eppure sono ancora. In fin dei conti eco-appartenere è un po' morire, ma non del tutto: che schiatta sono le prepotenti concezioni antropocentriche, tanto incistate da percepirle strutturanti e così forti che crediamo ci costituiscano.
Millesimo post
Il sistema del blog informa che questo è il millesimo post che pubblico. Il dato mi meraviglia, non pensavo d’aver scritto tanto in meno di cinque anni. Qualche articolo è preciso, altri confusi, numerosi da sviluppare. Ad eccezione di qualche recensione quasi tutti perlopiù condensati come appunti vergati a caldo su un taccuino.
Autodidatta scrivo in mezzo a un altro mestiere e non tutte le ciambelle escono col buco, l’importante è cucinarle con piacere. Non so se esista un qualche motore universale che grazie a un ignoto carburante origini e produca i pensieri, ma nel constatare d’averne a oltranza ho fondati indizi che quel motore siamo noi stessi: se un qualche Dio c’è lo vedo somigliante all’uomo pensante.
Da un occhio esterno sembra che l’autore di un blog di nicchia, tra l’artistico e il filosofico come questo, sia un primo violino che se la canta e se la suona più o meno intonato, tutt’altro: senza rapporto con gli altri non avrei potuto elaborare stilemi su ciò che mi capita a tiro. Poco importa che tali contenuti siano accettati o contestati, importa che il lettore venga in qualche modo stimolato a un suo movimento di pensiero così da produrne di migliori, ne ho bisogno, dopo tanto indagare manco so chi sono, permango angosciato dal pensiero della mia morte e di quella degli amici, balbetto di fronte alla casualità del dolore.
Com’è profondo il mare
Potrebbe sfuggirci, ma la condotta personale, valorosa o micragnosa che sia, è prodotta da precisi moventi, mezzi e fini, che ci caratterizzato e che perseguiamo, tutti ci comportiamo, dunque, ottemperando etiche. Di valorose e convenienti le possiamo attingere dalla storia dell’umano pensiero, ma i poeti insegnano che anche l’attenta osservazione della natura può suggerircene di non meno proficue e puntuali, a iniziare dal mare. Augusto Cavadi lo fa nel suo ‘libricino’ "Com’è profondo il mare"- titolo preso in prestito da Lucio Dalla - (Diogene Multimedia, Bologna 2017).
L’Autore nel suo andare per mare pesca l’etica dell’avventura, quella della precarietà, della finitudine e del rispetto, della gratuità e dell’attesa, della solidarietà, convivialità, affidamento e accompagnamento, l’etica dell’oltranza, dell’approfondimento e del naufragio, per portarle nel vivere quotidiano. Libro da meditazione che alla larga da superflui pedanteggianti sta sul pezzo condensato e fragrante, da ruminare con piacere e profitto a qualsiasi pagina.
Augusto Cavadi
Com'è profondo il mare
Editore Diogene Multimedia, Collana Le lanterne
Devozioni
Ho un conoscente mangiapreti, nell’osservarlo borbottare ognora contro Chiesa e papa ho appurato che è devoto a ‘ste faccende più d'un monaco trappista.
Ho concluso che una cosa è il superamento di ciò che si contesta altra è il rovesciamento, quest’ultimo assomiglia all’indossare lo stesso odiato maglione al rovescio invece d’accattarne di nuovi.
Espandendo il discorso potrebbe essere proprio tale speculare continuità simmetrica nei confronti del vecchio e brutto maglione la causa del finire in vacca di tanti movimenti sovversivi; subvertēre : ‘volgere dal sotto in su’ un sistema esistente invece di superarlo con originale e inedito implementare.
Possibilità plausibile
Come e da dove è venuto il pensiero? E’ da un bel po’ che, provando a risalire al mio primo ricordo, tento di indagarne l’inizio. Al momento rispondo che è sorto spontaneo dalla natura e verosimilmente cesserà nello stesso posto e modo.
Se le cose stanno così non possiamo precludere la possibilità che tale processo, che trova inizio alla nascita personale per concludersi alla morte del soggetto pensante, potrebbe ancora spontaneamente attivarsi, come già accaduto, in qualche forma.
Orrido
Ieri sera, dopo mezzo litro di birra in più, nel considerare le meccaniche celesti dell'universo ho visto la geografia del nostro mondo e la sua storia, le religioni al completo, l’umano pensiero dai presocratici a oggi e i miliardi di miei simili ora viventi, tutte fugaci minuzie.
Incapace di permanere al cospetto di tale eterno funzionamento che orbo rispetto al mio umano vedere sentenziava la futura probabile fine dell'umanità intera, avevo lenito la mia impotenza sparando: «Va bene così, tutto sommato Homo sapiens ha rotto i coglioni.»
Oggi, smaltita la birra, ho ricominciato utilizzando i capitali di cui dispongo: personale pensiero, gli amici di questo mondo, il gatto che vive con me, l'albero di tiglio che sta fiorendo in giardino. Una sorta di provincialismo cosmico eppure reale e nel frattempo conveniente mentre le galassie fanno il loro corso.
Discordanza sperimentale
Le agiografie cantano fine vita gloriosi scaturiti dalla illimitata e irremovibile fede nel soprannaturale dei protagonisti.
Com’è che, invece, quelli che ho conosciuto vivere così[1] li ho visti finire tutti male?
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1 Mi riferisco alla variante esaltata e mai autoironica del titanismo, non al rifugiarsi nella divina provvidenza consapevoli del proprio limite; questi ultimi invece di sfracellarsi cadono anche loro, ma quasi sempre in piedi.
Ingenuità
Strana la vita per gli umani: la realtà là fuori è univoca e tutti vediamo la stessa luna, eppure il medesimo bicchiere c’è chi lo vede mezzo vuoto e chi mezzo pieno e nel dialogare con gli altri ci si domanda reciprocamente: «Tu come la vedi?».
Realtà, dunque, oggettiva ma anche risultato della personale costruzione - individuale e/o collettiva, conscia o inconscia - implementata dal soggetto attraverso mente, linguaggio, società e cultura.
Siccome le due concezioni sono vere entrambe, occorre vigile attività di ampio pensiero così da non essere ingenui assolutizzando una concezione escludendo l'altra.
Il Becchino
Probabilmente avvelenata da una qualche bestia umana che abita dalle mie parti, oggi nel veder morire all'improvviso la gatta e poi sotterrarla ho fatto ancora precisa esperienza d’appartenere alla Natura.
Veterinario impotente e becchino navigato presumevo d’essermi assuefatto, invece anche questa volta ha fatto irruzione quella puntuale percezione di ecoappartenenza, come se la gatta mi dicesse: «Non preoccuparti, tutto a posto, va bene così.» Esperienza strana, pacatamente serena, più potente di quella procurata da fiori profumati e cieli stellati. Auguro a chi mi sotterrerà di provarla anche lui.