Scrivere o parlare? Per quanto vedo sono indispensabili e non in contrapposizione i due modi, quello del dire-ascoltare-rispondere e dello scrivere-leggere. Chi scrive legge, basta sfogliare un saggio di Montaigne per rendersi conto che sta dialogando in forma scritta con amici di percorso e col lettore. Dunque le due modalità, mi sembra, poggino entrambe sull’Altro.
Grazie a Duccio Demetrio ho, tuttavia, appurato quanto lo scrivere si riveli, anzitutto, utile proprio a chi scrive, grazie ai tempi necessari e alla specifica fisicità dell’atto, tastiera inclusa, lì un pensiero nebuloso si chiarisce e ne stimola altri, non a caso solitamente si scrive in modo differente da come si parla. Anche il dialogo orale ha i suoi vantaggi (e svantaggi): basta e avanza che soli in una stanza entri un altro e il nostro corpo-pensiero muta. C’è poi un altro aspetto da valutare, talvolta un testo scritto può toccare nel vivo più della parola detta, basta partecipare a quei festival filosofici dove la star di turno pontifica dal palco, senza possibilità di interloquire, per rendersene conto.
Ma il vero problema è questo: oggi chi vive con l’urgenza di filosofare dialogando oralmente deve mettere in conto una sorta di eremitaggio, ad esempio la settimana scorsa mi sono incaponito di fronte ad un ulivo nel chiedermi: “Ma perché c’è invece di non esserci” e nel confrontarmi sul quesito l’interlocutore capitatomi a tiro mi aveva (comprensibilmente) guardato perplesso, così il quesito metafisico non mi è rimasto che affrontarlo pensandolo e scrivendolo in (apparente) solitudine.
Quanto ho “detto” in questo disordinato intervento è scrittura o dialogo, testo o parola, vergare o discorrere? Sicuramente il WEB stempera le suddivisioni con sviluppi presenti e futuri tutti da indagare.