BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Giovedì, 19 Gennaio 2017 18:54

Sistematica per paradigmi

Un amico di Martina Franca m'aveva raccontato di suo padre che nella seconda guerra mondiale era sopravvissuto alla tragica ritirata dal Fronte orientale. Nella steppa russa si era rifugiato stremato sotto un carro e quasi assiderato gli era apparso un enorme cavallo bianco con sopra san Martino che brandendo la spada gli ordinava di rialzarsi per riprendere la marcia verso casa. In mezzo alle nevi sovietiche poteva anche apparirgli un qualche santo russo come salvatore oppure Shiva, invece gli era apparso Martino di Tours vescovo cristiano del IV secolo patrono del suo paese in Puglia. Ovvio che al militare martinese sia comparso san Martino invece di Shiva, ciò nonostante ovvietà ricca d’inaspettati sviluppi tutti da approfondire. Propongo qualche spunto di lavoro.

«Il mondo è la mia rappresentazione» nondimeno tale rappresentazione non è sempre e solo propriamente “mia” - con “mia” intendo di soggetto sovrano che interpreta in assoluta autonomia la realtà -, in quanto la personale interpretazione si muove, sviluppa e attua, all’interno di uno specifico paradigma di riferimento che struttura il nostro pensare e determina linguaggi, direzioni, orizzonti. Le conseguenze appaiono rilevanti, per esempio nel rapporto tra un appartenente al paradigma copernicano, che vede al centro dell’universo il sole, e un esponente del paradigma tolemaico, che vede invece la Terra immobile al centro dell'universo con tutto il resto che ruota intorno, sarà preclusa la reciproca comprensione posto che non terranno conto del differente regno concettuale e distinto universo nel quale si muove l’altro interlocutore. Siccome i paradigmi valgono, oltre che per le meccaniche celesti, anche per il vivere concreto di ciascuno, opportuno conoscerli a iniziare dai nostri, registi intransigenti quanto sconosciuti, evitando di fagocitare nei personali paradigmi quelli degli altri. Oltre a una più chiara visione di noi stessi nel rapporto con gli altri, tale approccio risulterà utile per lo studio e la comprensione della storia e di qualsiasi disciplina; in fin dei conti quasi tutto si muove onorando paradigmi.

Oltre a Jung, che individuava nell’'inconscio personale «forme a priori» collettivamente innate, veri e propri approcci sistematici per paradigmi sono stati implementati da Thomas Samuel Kuhn per la filosofia della scienza e da Hans Küng per la teologia; quest’ultimo, grazie ad una classificazione sistematica per paradigmi, affronta la storia delle Chiese cristiane e delle religioni chiarendo ingarbugliate questioni e risolvendo equivoci e incomprensioni; a mo’ d’esempio l’insensatezza di entrare a gamba tesa nel post moderno col paradigma medievale-controriformistico; «nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi.»

Il paradigma in quanto regno concettuale universale e autonomo differisce dal concetto di modello inteso come prototipo, esempio, stile, atteggiamento, ecc., modello che quand’anche unico e originale permane, in ogni caso, subordinato al paradigma che lo contiene e genera. Osservo stranieri che vivono in Italia parlando italiano ma che quando sotto stress sparano imprecazioni in lingua madre, così un salernitano convertito all’induismo vestito all’indiana che recita mantra seguirà un modello indù, ma i paradigmi che lo costituiscono permarranno italici. Vale anche per il soprano giapponese che canta Puccini e pure per il novello seminarista cattolico zambiano nel quale sangue scorre più animismo che Concilio Tridentino.

«Tu vuo' fa' ll'americano
Mericano, mericano
Ma si' nato in Italy!
Sient' a mme: nun ce sta niente 'a fa'
Ok, napulitan!»

Contaminazioni perlopiù utili, tuttavia ancor più proficue se consapevoli. Va precisato che anche i paradigmi seppur concezioni onnicomprensive, autosufficienti e universali talvolta s’incrociano, accavallano e compenetrano.

Chissà se, in qualche modo, il DNA veicola paradigmi? Forse il paradigma più diffuso e tenace è quello preistorico premorale, latente quanto potente, paradigma ancestrale tenuto a bada da altri paradigmi più recenti fondati sulla razionalità, ma basta una svista e si erge in tutta la sua gloria, uccide a colpi d’ascia, butta acido negli occhi.

Pubblicato in Filosofia di strada
Martedì, 17 Gennaio 2017 10:33

Che faccia lei

Hans Küng alla fine della sua autobiografia descrive la speranza di entrare, con la morte del corpo, nel cuore glorioso della realtà. Non escludendo che, viceversa, potrebbe anche entrare nel nulla[1], considera quanto tale speranza gli abbia di fatto permesso una vita migliore comunque vadano le cose.

Anch’io non so. Scommetto e punto tutto su un dato: sulla potenza che mi ha permesso - senza che io facessi nulla - di esserci con gli altri nel mondo. Fin qui ha fatto bene, che faccia lei.

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1 Dopo una lunga esistenza d’intensa e valorosa indagine della vita, dell’uomo e su Dio, che pochi potrebbero eguagliare, davvero ammirevole l’aver raggiunto posizioni di dubbio sereno (possibilità), invece di stereotipate certezze esaltate o disperate.

Pubblicato in Sacro&Profano
Sabato, 14 Gennaio 2017 15:49

Sospensione dell’incredulità

C’è chi estroverso è incline a vivere la circostanza in semplicità e chi introverso la vive riflettendo, anche se di solito mischiamo i modi le due differenti tipologie umane esistono, ognuna con i suoi vantaggi e svantaggi. Ciascuna tipologia non è, di per sé, necessariamente più sana e valorosa dell’altra, dipende dalla fattispecie.

Un efficace strumento per indagare gli estroversi, mi sembra, il concetto semiotico della “sospensione dell’incredulità” (Samuel Taylor Coleridge, 1817), che adottiamo nel visionare film, teatro e opere artistiche di fantasia, romanzi inclusi. Nella sospensione dell'incredulità lo spettatore sceglie, più o meno consapevolmente, di inibire parte delle personali facoltà di pensiero - critiche, logiche e d’indagine - per godere senza riserve l’opera come vera anche se finta. C’è da osservare che la semiotica artistica può talvolta manifestare appieno la vita reale in quanto, se artefatto ben fatto, può restituire (attraverso la finzione) un elaborato extra genuino della realtà in forma condensata.

Siccome tale dinamica vale più per l’arte che per il vivere concreto, nell’indagare l’estroverso potrebbe rivelarsi utile espandere il concetto di sospensione dell’incredulità alla vita “reale” nella sua totalità. In fin dei conti l’estroversa assenza di riflessione che tutto semplicizza è una strategia esistenziale che tralasciando di indagare origine, motivi, scopi, cause e fine del vivere - incongruenze incluse: sofferenza, ingiustizia, morte - immagina di godere al meglio dell’opera. E’ un modo anche questo e nonostante le personali amputazioni non tra i peggiori. Saperlo è, però, meglio: talvolta l’estroverso realista può essere più allucinato del riflessivo.

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 13 Gennaio 2017 09:36

Possibilità

Potrei constatare la natura nel suo ordinato procedere e fermarmi soddisfatto senza indagarne l’eventuale inizio, evitando di ipotizzarne un autore e un possibile motivo.

Non so se questo indagare sia un incidente di percorso e superflua sovrastruttura oppure movimento sano e legittimo.

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 12 Gennaio 2017 16:35

Schizofasia gesuanica

Nel leggere di Augusto Cavadi «Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione (incompresa) di Gesù» Diogene Multimedia, convincente invito alla lettura della trilogia della teologa e psicoterapeuta Hanna Wolff sulla persona di Gesù di Nazareth, pur avendo letto l’intera opera sono stimolato a rileggerla per alcuni passaggi evidenziati da Augusto sui quali avevo frettolosamente glissato, altri snodi cruciali li avevo invece colti nei tre volumi, con un solo momento di disagio per una citazione della Wolff: «Io ritengo che Gesù di Nazaret sia stato il più felice uomo che sia vissuto».[1] Diffiderei di uno così, incapace di cogliere empaticamente l'imperversare della sofferenza intorno a lui.

Considero anche quanto sia difficile interpretare e comprendere i Vangeli, biografie di un tale Gesù, scritte più o meno un secolo dopo la sua esistenza storica. Quanto di autentico? Quanto di aggiunto? Come interpretare correttamente? Dato probabile è che i biografi ci abbiano messo del loro omettendo e aggiungendo, dato certo è che i lettori non siano da meno: secondo Marco, Matteo, Luca, Giovanni e… secondo il lettore: «e si divisero le sue vesti, tirandole a sorte per sapere quello che ciascuno dovesse prendere». Due esempi:

1 «Il solo Vangelo di Matteo parla 23 volte di tenebre, di fuoco eterno, di verme, di Geenna, di pianto e stridor di denti. Gesù era completamente dominato dall'idea dell'inferno. Altro che buona novella! La sua novella è la più spaventosa che mai sia stata annunciata all'uomo. Ma tutti se lo sono scordati. Si dice che Gesù era buono e caso mai è la Chiesa a essere cattiva. Sbagliato. Gesù era cattivissimo. (Luigi Lombardi Vallauri, intervista a l’“Espresso”).

2 «Se Gesù siede alla destra del Padre, Freud siede alla sua sinistra».
L’aforisma è dello psicoanalista Giacomo B. Contri. Cosi lo spiega:
«In un punto il pensiero di Freud - nel suo tendere al pensiero di natura - coincide con il pensiero di Cristo: per ambedue non si tratta di guadagnare Dio ma di guadagnare l’uomo, la logica detta “uomo”. Qui la parola “guadagno” traduce la parola salus in ogni significato. Un credente potrebbe obiettare che Freud non era religioso: certamente, ma neanche Cristo lo era.» (Giacomo B. Contri, «Una logica chiamata “uomo”»).

Certo Gesù di Nazareth era uno strano e biografi ci hanno messo del loro nel descriverlo, i traduttori pure e i lettori leggono e vedono a modo loro. Ma in tutto questo bailamme quello messo peggio sono io che in un mix di ecumenismo e serena dissociazione interna mi trovo in sintonia - con tenui distinguo, tipo Gesù stava alla larga dal sacro più che dal religioso -  con Gesù, con Cavadi, colla Wolff, con Vallauri e con Contri. Anche la versione di Pasolini non era male.

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1 Dorothee Solle, Phantasie und Gehoram, Stuttgart 1968, p. 61 (trad. it., Morcelliana Brescia 1970, p.75 – cit. Hanna Wolff, Gesù, la maschilità esemplare, Queriniana).

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 11 Gennaio 2017 12:43

Proferire l’indicibile

Andrà pur considerata e anche onorata la mistica, appurato che l’Io capace di argomentare logicamente è nella realtà universale evento, seppur straordinario, davvero parziale per dimensione, consistenza, struttura e durata.

Per frequentare il sacro evitando che ci divori, oltre alle vie della poesia, dell’arte e delle religioni, si potrebbe iniziare da Schopenhauer e Freud, per individuare negli immani, misteriosi e innominabili territori sacri, forze della natura che si autoperpetuano potenti e autonome fuori e dentro di noi: “Volontà” schopenhaueriana, pulsioni freudiane.

Vista la cieca indifferenza di tali forze nei confronti dell’uomo non so se si potrà realizzare una alleanza compiuta dell’Io col tutto, ma individuare tali potenze portandole dall’occulto al manifesto potrebbe rivelarsi un buon primo passo. A ben vedere non sono entità completamente orbe e indifferenti a noi: da dove veniamo se non da loro?

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 10 Gennaio 2017 19:34

Il Tram

Pensiero logico-discorsivo assente, io rarefatto dissolto nel tutto, pupille fisse all’insù.
Istantanea di anacoreta in estasi o di ubriacone appena investito dal tram?

Vista la somiglianza forse meglio non concedere troppo alla mistica (e poco ai tram).

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Sabato, 07 Gennaio 2017 16:09

La Berretta

Più salgono di grado e più diventano cretini. Più o meno così diceva dei preti Karl Barth (1886 –1968) teologo e pastore riformato svizzero. Per non mettergli in bocca cose che non ha detto meglio citarlo per bene: «Come si spiega che l’ascesa di un uomo sulla scala delle dignità ecclesiastiche si accompagni sempre a un discesa della sua apertura, della sua agilità mentale e della sua responsabilità teologica?»[1]

La sua annotazione-interrogazione mi attiva improvviso e vivissimo un flashback:
mi ritrovo nel teatro parrocchiale all’inizio degli anni ’70, quando un cardinale invitato in parrocchia, segretario della sacra Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide), narrava con enfasi di suoi incontri con tribù di “selvaggi” incontrate in Africa e nelle Americhe. Mentre il cardinale ripeteva banalità il parroco, seduto alla sua sinistra con la sedia piazzata un metro dietro, andava in estasi: più l’alto prelato sparava minchiate e più il parroco serrava gli occhi e plasmava con la boccuccia un sorrisino ebete come rapito da schiere d’arcangeli e musiche delle alte sfere. Nonostante i miei sedici anni ero rimasto basito perché il parroco non era un brocco. Frequentavo con piacere il suo catechismo della Parola il sabato alle 15, unico giovane in mezzo a qualche vecchietta. Il parroco aveva ottenuto la licenza in teologia e quella in sacra scrittura e nelle sue esegesi del Nuovo Testamento ti diceva il testo in aramaico, poi in greco, poi in latino, contestualizzando la Parola nei rispettivi filoni culturali con rigore e semplicità. Invece su quel palco a contatto ravvicinato col cardinale era stato colto da devota conformazione curiale, una sorta d’infantilizzazione, di severa regressione. Per dirla tutta mi sembrava un deficiente. Rapito dalla berretta rossa scorgeva un dio in terra sotto quel copricapo a prescindere da ciò che il prelato enunciava.

Non so se per la valorosa conoscenza dell’aramaico o per quella sua capacità di regredire fino al pre-personale nell’incontrare alti prelati, fatto sta che dopo qualche anno il parroco di paese era promosso prevosto della basilica di San Babila a Milano, poi elevato arcivescovo metropolita di Torino e poi creato cardinale. Non l’ho mai più incontrato e ignoro se la berretta gli abbia cremato un qualche neurone, ma ricordando quel palco e quello che è accaduto dopo ho il sospetto che Barth avesse ragione.

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1 Karl Barth a un convegno su «Battesimo e vocazione», 16 settembre 1966. Citato da Hans Küng, Una battaglia lunga una vita, BUR, pag. 621.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Venerdì, 06 Gennaio 2017 19:55

Amore?

Ho qualche indizio che le beatitudini evangeliche del Discorso della Montagna[1], narrazione rivoluzionaria - chi aveva mai detto robe del genere prima di Gesù di Nazareth? -, non sono dopotutto estranee ad aspetti del naturalismo e neppure alla metafisica dell’amore di Schopenhauer, quella che ci vede inconsapevoli zimbelli della Natura, che ottemperano al suo sommo decreto biologico finalizzato alla perpetuazione della specie.

Forse nessun eroico e amorevole altruismo nel Discorso della Montagna, ma mera efficace strategia, quasi un tecnicismo, per far proseguire l’umanità. 


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1 « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la Terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli » (Matteo 5,3-12)

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 06 Gennaio 2017 19:06

Impersonarsi

Nell’imbatterci in posizioni di pensiero contrapposte alle nostre invece di attardarci in conflitti teoretici, ideologici, concettuali o dottrinali, un buon metodo per dialogare potrebbe essere quello di evitare qualsiasi astrazione per argomentare attraverso le personali, differenti e effettive autobiografie.

Tra onesti dovrebbe funzionare.

Pubblicato in Filosofia di strada

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