Metafisica controintuitiva
“Non devi farti nessuna immagine né simbolo” (Es 20,4), perché il nucleo originario che fa il mondo è come un gatto selvatico, sempre più in là delle sue impronte.
Se capita di scorgerle meglio far finta di niente perché più lo insegui più s’allontana, più lo definisci più lo occulti.
Questo è quanto, suppergiù
Mi sembra che la situazione sia più o meno questa:
nasciamo e moriremo, nel frattempo avvertiamo le cose con i sensi, ma disponendo di sensi limitati ci è precluso percepire il nucleo che fa e glorifica il mondo.
Ma a ben vedere questo quid, questo nucleo vivificante, non è nulla di trascendente, ma la semplice e onnipervadente volontà naturale insita nelle cose. Va, dunque, da sé che nel funzionamento naturale che fa il mondo, il massimo dell’immanenza coincida col massimo della trascendenza.
Il punto è che questa trascendenza immanente è come criptata nelle cose, così il senso, e il bello, dell’umano esistere è scorgerla e decifrarla[1].
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1 Stimolato e aiutato da amici mi sono riferito a Hume, Kant, Schopenhauer e Jaspers.
Eiaculatori di chilotoni
Piante e animali tendono a vivere e perpetuarsi[1] per farlo si accoppiano, lottano, si aiutano. Funzionano più o meno così anche gli umani, ad eccezione di quello stranissimo impulso a dominare dato dalla Volontà di Potenza[2].
Pulsione stranissima perché pur contigua alla volontà di vivere espressa dalla lotta per la sopravvivenza[3], la Volontà di Potenza può anche manifestarsi in forme che trascendono il funzionamento naturale e la vita stessa. In effetti la Volontà di Potenza, oltre ad attuarsi designando ben riusciti che per presupposta legge naturale annientano malriusciti, di fatto non ottempera alcuna legge naturale che la precede, non serve a niente se non a esprimere la sua potenza. Nella sua forma più pura trascende l’essere al punto che nel suo deflagrare può, all’opposto della naturale volontà di vivere, spezzare la vita proprio di chi la veicola ed esprime, così, per il semplice gusto di eiaculare chilotoni.
Visioni tipo “Meglio vivere un giorno da leone che cent'anni da pecora” sono parodie provinciali di eroismi che attingono da questa Volontà di Potenza. Leoni e pecore permangono indenni al fascino di tali visioni mentre a noi, per cause tutte da indagare, ci si sono incistate dentro.
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1 Schopenhauer afferma questo tipo di Volontà universale.
2 Volontà di Potenza che Nietzsche vedeva in ogni vivente.
3 Anche se non tutta la natura funziona sempre lottando, basta fare un giro nel bosco per rendersene conto.
Cul-de-sac
Senza nomi non potremmo comunicare e neppure concettualizzare, non ci sarebbe più scienza e finirebbe la civiltà, però nel piccolo orto botanico che sto allestendo eviterò di mettere il cartellino col nome davanti alle piante, com’è d’uso. Basterà guardarle e odorarle, ognuno a modo suo, e ciò che accadrà accadrà, perché l’orto botanico non l’ho approntato per sapere i nomi delle piante ma per vedere Dio.
Il problema è che in questa parte di universo ci troviamo in circoscrizioni anguste rispetto all’Essere, posti dove ci è preclusa la piena conoscenza di noi stessi[1] e del mondo. Nell’impossibilità di comprendere l’inattingibile origine e ignorandone il senso sistematizziamo gli enti per afferrarli. Siamo abili classificatori di cose e insuperabili fabbricanti di tecnologia, ma ipodotati di sensi e congegni di pensiero congrui alla percezione dell’Essere che fa tutte le cose, per di più abbiamo lo svantaggio di durare poco in una realtà che si modifica di continuo.
Per uscire dal cul-de-sac che ci preclude l’esperienza dell’Essere, potremmo provare ad evitare contenimenti e programmazioni abbandonandoci al darsi altro delle cose, come di volta, in volta, si configurano a noi. Forse il fonderci in questa continua, incontenibile, imprevedibilità potrebbe svelarci Dio.
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1 “Che cosa sa propriamente l’uomo di sé? Davvero sarebbe capace, anche solo una volta, di avere di sé una percezione completa, come se si trovasse in una vetrina illuminata? Non gli tace la natura quasi tutto, anche riguardo al suo stesso corpo, per confinarlo e imprigionarlo in una orgogliosa e illusoria coscienza, lontano dal viluppo delle interiora, dal rapido flusso del sangue, dai nascosti brividi delle fibre? Essa ha gettato via la chiave”. (F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale)
Nondove
Camminando in una fitta lecceta mi ero imbattuto in una radura perfettamente circolare, in quell’aprirsi mi ero sentito sparire e più non c’ero più diventavo eterno.
Vi sono luoghi particolari dove è evidente che il massimo dell’immanenza coincide con il massimo della trascendenza. Maria Zambrano aveva visto, con Sokurov[1], uno di quei luoghi nell’inatteso e improvviso aprirsi di una radura. Un nondove fra l’ombra e la luce, fra conscio esterno e inconscio interno, e forse pure fra fisica classica e quantistica, dove si incontrano visibile e invisibile.
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1 In “Elegia di un viaggio” mediometraggio di Sokurov del 2001, il protagonista, in un viaggio onirico, trovandosi all’improvviso in una gelida radura dice:
“Mi ritrovo in una radura. Per chi tanta bellezza? Nessuno per vederla. Dunque era ancora più bella. Solitudine perfetta. Cosa sono questi occhi?”.
Il film è disponibile sottotitolato in italiano qui: Elegiya dorogi.
Invalicabile coazione culturale
C’è chi vede le parole come semplici etichette che appiccichiamo alle cose, in modo da inventariare il mondo e comunicarcelo, chi invece vede le parole traboccanti di valori intrinseci, sia semantici che simbolici[1]. Anche se è forse riduttivo affermare che le parole sono nient’altro che arbitrii condivisi, com’è anche esagerato sostenere che trabocchino di potenza propria, fino al punto da creare realtà[2], è però innegabile che parole e cose siano intrecciate indissolubilmente perché pensiamo, necessariamente, per mezzo delle parole[3]; va da sé che il linguaggio plasmando il pensiero, producendo concetto, circoscrive e determina la visione che abbiamo delle cose, in effetti sembra che linguaggi diversi procurino visioni del mondo differenti, come anche una Weltanschauung ingenera un proprio linguaggio[4].
Senza linguaggio non potremmo vivere, nondimeno il linguaggio esercita su tutti noi un potere costante costringendoci a dire, dunque a pensare, nei limiti della sua circoscrizione e specifico funzionamento. Se ci è precluso prescindere dal suo potere come possiamo vedere il mondo per ciò che realmente è? Ci sono modi per pensare e vedere le cose senza articolarle linguisticamente trasformandole in metafore[5]? Come possiamo raggiungere un punto di vista fuori e oltre il linguaggio? Forse è proprio per giungere a questa libertà che ad un certo punto moriamo.
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1 Le due differenti concezioni sono state descritte e indagate già nel Cratilo, dialogo di Platone, IV secolo a.C..
2 Heidegger arriva ad affermare che il linguaggio è il luogo che rende ontologicamente possibile la realtà stessa del mondo: “Solo dov'è linguaggio vi è mondo”.
3 Tesi sostenuta da non pochi filosofi: “La nostra capacità di pensiero è limitata dalle parole che conosciamo”; “pensiamo limitatamente alle parole che possediamo” e via dicendo.
4 Chi interessato alla tematica può approfondire le teorie del linguista e filosofo Wilhelm von Humboldt.
5 Problematica affrontata dal giovane Nietzsche, nel suo breve saggio “Su verità e menzogna in senso extramorale”.
Per sua stessa natura bianco avorio
Dalle mie parti t’imbatti in pietre così belle da sentire ammirazione, una sorta di empatia.
Esperti in questo genere di sensazioni dicono che si tratta di esperienza estetica mica empatica[1], eppure percependo il loro potente generarsi, per sua stessa natura, si avverte la sensazione che in esse alberghi una sorta di iniziativa, di identità, di vita.
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1 Spiegano che l’inorganica pietra non fa altro che rispecchiare sensazioni e pensieri che gli proiettiamo addosso.
Divino vuoto autorale
Stufi del proprio Io artisti dadaisti e musicisti d’avanguardia un po’ Zen, tendono a realizzare opere non autorali. Siccome nel fare qualcosa non è facile omettersi, per neutralizzare ragione e sentimento personale si affidano a processi automatici e aleatori, tipo abbinare note o movimenti del corpo con il risultato del lancio dei dadi e diavolerie simili. Un agire senza intenzione, ciò che vien viene come se fatto da nessuno invece che da qualcuno.
Però il volere annientare l’intenzione personale è anch’essa un’intenzione, così più l’autore si impegna ad architettare stratagemmi per omettersi più diventa centrale, e come un fiume carsico l’io riemerge inestinguibile. Io o non io il dato empirico è che da questi processi artistici (da non equivocare con l'improvvisazione che è tutt'altra cosa), escono cose inascoltabili e inguardabili, di una bruttezza così chirurgica da apparire intenzionale e autorale.
La cosa singolare è che invece la natura -al netto di qualche atrocità e della circostanza che, nel mondo naturale, prima o poi bisognerà pur morire- la percepiamo bella e attraente come sorretta da una misteriosa regia amica, fatta da qualcuno invece che nessuno. Non è escluso che il regista sia così perfido e astuto da far credere a noi post moderni d’essere morto per ridere di noi, oppure è entità che emerge dalla potenzialità del puro vuoto, quel vuoto inattingibile a noi tutti, artisti dadaisti e musicisti d’avanguardia un po’ Zen inclusi.
Deus sive Natura
L’immanenza della natura si manifesta da sé senza necessità di volerla, cercarla, amarla, meritarla; funziona senza giudicarci e non chiede di crederle.
E’ il soprannaturale che se non accetti sue strambe ortodossie sale subito di giri e ti tiene il broncio.
Sociologia empirica
E’ facile fare sociologia basta guardare la gente alle undici e mezza nel largo di un qualche paesotto, tra il centro e la periferia. Femmine tatuate accompagnano cani a volte bambini, una tutta lisciata attiva occhiate dai maschi mentre entra in lavanderia, anziani arzilli escono dall’ufficio postale, anziani sciancati comprano cipolla di Tropea. E mentre l’autista gagliardo consegna il semiasse al meccanico, vedi che ciò che tiene insieme le persone, in sé e tra loro, è il lavoro; fondati sul lavoro. Tutto sommato quel “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” è stata forse una benedizione.