Campi di coscienza
La realtà è talmente poliedrica che per accedervi bisogna farsi in quattro, di solito percorriamo la via della ragione, perciò partendo da un registro descrittivo: “Le cose stanno così”, approdiamo a uno prescrittivo: “Se stanno così bisogna agire in questo modo”, via a conti fatti abbastanza affidabile.
Altre volte la ragione non basta, allora accediamo alla realtà percorrendo la via della fede, del sentimento, dell’intuizione, dell’azione, dell’immaginazione di cose viste che ricreiamo e di cose mai viste che fantastichiamo.
Qualche volta capitano anche momenti dove viviamo senza razionalizzare, senza immaginare, senza intuire, un po’ come accade nel sonno profondo anche se siamo svegli, in quel vuoto possono apparire immagini fugaci che arrivano chissà da dove, pensieri improvvisi, strani figuri e parole che dicono di mondi dimenticati.
L’insegna
Robert Walser (1878 -1956) nel suo racconto La passeggiata descriveva il disgusto procuratogli dalla “squillante insegna dorata” di un fornaio.
“Ha davvero bisogno un fornaio di mettersi così vistosamente in mostra, di risplendere e scintillare al sole col suo pazzesco annuncio, come una dama vanesia ed equivoca? [nel 1907 si diceva così, oggi si direbbe “come una puttana”]. Farebbe meglio a cuocere e impastare il suo pane con modestia proba e assennata!”
E’ una costante diffusa quella di far apparire ciò che si è, e si fa, migliori di quanto non siano realmente[1]. Pensiamo all’automobile sovente di un modello un poco superiore al portafoglio del proprietario[2]; ai corpi esageratamente abbelliti "perché tu vali" come recita la pubblicità; all’industria culturale piena di scatole molto più grosse del contenuto[3]. Forse tutto questo accade perché Homo sapiens se appena dopo nato non fosse accudito perirebbe, pertanto ha un bisogno vitale di emergere, farsi notare, essere riconosciuto e personalmente valorizzato. Siamo intrinsecamente fragili, limitati, insicuri e l’esistenza si svolge nel continuo superamento di questa primigenia inferiorità attraverso atti e volontà di potenza[4].
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1 Ricordo che dopo aver consegnato la stesura di una mia autobiografia ai responsabili di un corso che avevo frequentato, mi arrivò uno scritto con le valutazioni. Tutta la prima parte si dilungava nel comunicarmi la meraviglia di aver ricevuto un testo stampato col PC su dei fogli A4, pinzati alla buona. Il lettore diceva che quelle pagine esprimevano una povertà monacale per come si presentavano fisicamente, non per quello che c’era scritto dentro che passava in secondo piano, cosa singolare in un corso di scrittura. Il corso era tenuto da gente di valore, il problema è che, a fine corso, erano abituati a ricevere le autobiografie dei partecipanti stampate su carta pregiata, con rilegature di lusso e copertine piene di orpelli.
2 L’automobile è un oggetto di metallo e plastica che serve ad arrivare rapidi, comodi e sicuri a destinazione. Oggetto-strumento al pari di una forchetta, di una pinza o di una ramazza, per i quali l’utilizzatore chiede funzionalità, affidabilità e talvolta una estetica accettabile. Così nell'acquistare una vettura si chiede, compatibilmente al proprio reddito, che soddisfi specifici requisiti di potenza, sicurezza, economia e affidabilità. Tuttavia, a differenza di una ramazza, l’automobile è oltre che strumento anche simbolo per l’idea che l’oggetto rappresenta ed evoca del suo possessore. Già Schopenhauer sentenziava: “Il mondo è mia rappresentazione” e che l’automobile sia uno status symbol non è una novità. Che cosa l’automobile rappresenti simbolicamente lo possiamo cogliere osservando il plus che alcune vetture offrono oltre al realistico utilizzo che di fatto svolgono. Ci riferiamo a quegli oggetti bizzarri, grandi, ibridi, un po’ gipponi un po’ berline di lusso, che imperversano in città. Li chiamano SUV (Sport Utility Vehicles) e sono caratterizzati da cilindrate e dimensioni superiori agli autoveicoli normali. Capaci grazie alle sovradimensionate quattro ruote motrici di attraversare agilmente la Mauritania, vengono invece utilizzati dalle mamme per accompagnare i bambini a scuola per poi recarsi dalla parrucchiera. Talvolta però, nel fine settimana, riescono ad utilizzare quasi un quindici per cento della loro cilindrata e potenza complessiva, quando il papà, ingrossato da quella protesi che lo circonda, porta la famigliola sulle Prealpi bergamasche; l’ottantacinque per cento mai utilizzato non "serve" a nulla, se non ad esprimere significati. I significati espressi attraverso le funzioni simboliche dell'oggetto SUV sono sintattiche, pragmatiche e semantiche: funzione sintattica, ovvero la relazione ad altri simboli, nella fattispecie delle altre autovetture e guidatori: “Io sono più grande, più importante di te”. Funzione pragmatica: “Spostati rapido altrimenti io ti schiaccio.” Funzione semantica, ovvero la relazione simbolica diretta al significato che esprime l’oggetto SUV, che grida al mondo per il suo possessore: “Io non sono più povero, ma ricco”, funzione simbolica comprensibile, visto che è maleducato, umiliante e osceno andare in giro col portafoglio aperto per far vedere quante banconote ci sono dentro che il SUV si presti a surrogare il gesto. In Gran Bretagna l’hanno compreso da tempo, così l’ultima moda dei VIP londinesi è di spostarsi in bicicletta. Si sa loro sono eccentrici, noi pittoreschi.
3 Titoli furbescamente accattivanti, recensioni esageratamente benevole, presentazioni sopra le righe, ecc..
4 Volontà di potenza non come la intendeva Nietzsche ma Alfred Adler, fondatore della Psicologia Individuale Comparata, probabilmente il più preciso nel descrivere e affrontare la condizione di fragilità che caratterizza i cuccioli dei Sapiens, che determinerà l'intera esistenza di ogni individuo. Da qui l'importanza di appartenere alla comunità umana per emanciparci dalla fragilità individuale valorizzandoci reciprocamente. Così la salute psichica si manifesta nella capacità empatica e di cooperazione con gli altri, nella capacità di sentimento sociale. Di Adler non sapevo nulla, stranamente dalle nostre parti è poco conosciuto ed è un peccato, quel che conosco lo devo tutto a Domenico Barrilà psicoterapeuta e analista adleriano.
Moira
Credere e affidarci alla provvidenza[1] ammansisce le cose che non dipendono da noi, non perché grazie alla provvidenza le cose che non possiamo governare diventano prevedibili o ci vanno sempre per il meglio[2], ma perché nell’affidarci alla provvidenza qualsiasi cosa accada ha una causa definita e identificabile. Vuoi mettere prenderci un colpo tra capo e collo architettato da una regia nota e onnisciente da uno che ci piomba addosso a cazzo non si sa da dove?
Forse meglio lasciar perdere la provvidenza e far affidamento alla natura e al suo ordine, anche se un po' differisce dal nostro.
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1 Che sia di Dio che sovrintende il mondo o di un logos immanente alla natura.
2 Come presumono le credenze magiche e superstiziose.
Storia dell’Occidente
Ben presto il vignaiolo si rese conto di non avere alcuna garanzia di produrre un raccolto congruo al lavoro svolto, sarebbe bastata una grandinata per distruggerlo. Vista l’inaffidabilità della natura optò per una novena alla Madonna perché non facesse grandinare, ma vista l’inaffidabilità anche di quella montò una rete antigrandine e ci rimase impigliato dentro, questo è quanto.
Non è poi un granché l'antropocentrica storia del nostro Occidente.
Intolleranze ontologiche
Mentre tutti gli altri animali non si preoccupano ad Homo sapiens l’aleatorietà procura una certa angoscia, così vive il mondo trasponendo di continuo le cose che vede accadere a capocchia, in una nicchia da lui costruita e regolata dove affibbia alle cose un significato univoco, definitivo e sicuro. Così addomesticate le assembla tra loro dandogli parvenze di regolarità fattuali con precise cause che producono indubitabili effetti[1].
Solo dopo aver trasposto le cose dal regno indecifrabile e indeterminato delle possibilità, al suo piccolo cosmo di (apparente) controllo e prevedibilità, riesce a dormire tranquillo.
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1 Esempio di dipendenza dal controllo è il racconto, imperversante nelle sue numerose versioni, di un protagonista che scegliendo di realizzare il sogno che ha nel cassetto, si muove in direzione dell’obiettivo con ferrea e incessante volontà e superando qualsiasi ostacolo lo raggiunge, quando invece le trame delle biografie effettive sono definite da talenti innati o assenti, da fortune e sfighe, da moti personali ambigui, da condizioni fortuite e circostanze rapsodiche, piuttosto che da un personale volere che è potere capace di determinare linearmente il futuro. Anche certe pedagogie non tollerano rischi, imprevisti e fluttuazioni, consideriamo quelle normative, precettistiche, sentenziose.
Il corpo di Dio
In questi ultimi anni all’interno della Chiesa cattolica sempre più spesso si parla di abuso spirituale, specialmente riferendosi ad alcuni movimenti ecclesiali, dove in effetti succedono a raffica. L’abuso spirituale è più nebuloso rispetto all'abuso sessuale, anche se negli ambienti religiosi è quasi sempre la causa di quest'ultimo. L'abuso spirituale si configura quando qualcuno si intromette nel rapporto tra un fedele e Dio interfacciando, per mezzo della sua persona, il fedele col divino.
L’abusatore spirituale non è uno che convinto di sapere meglio di te, e di tutti, cosa è giusto per te invade senza alcun rispetto i tuoi spazi, per plasmarti secondo un ideale di vita che ritiene giusto, questo è semplicemente un cretino. L’abusatore spirituale, invece, afferma di sapere qual è la volontà di Dio su di te e investito da un misterioso potere divino proclama di esserne la voce.
Per esperienza personale ho osservato che bisogna essere molto più cretini del suesposto invadente, per accettare di rappresentare Dio per qualcun altro senza provare un estremo disagio, uno che sta bene di testa non accetterebbe quel ruolo, tant’è che di solito va a finire che nei movimenti cattolici è ricoperto dai meno sensibili e meno intelligenti. Meno vali e più troverai soddisfazione ad essere autorità, va da sé che anche il superiore che vale zero crederà di valere qualcosa nell’azzerare l’ingenuo a lui sottoposto.
Il problema è che questo indebito raffigurare Dio che caratterizza i responsabili di alcuni movimenti ecclesiali non nasce dal nulla, ma come la riproduzione di modellini in scala ridotta, piccoli ma fedeli all’originale, è una replica precisa dell'impianto dottrinale cattolico che vede il Magistero della Chiesa rappresentare per l'umanità la presenza di Dio nella storia[1]. Cosa buona che il Papa e il Magistero monitorino e correggano gli ambienti a rischio di abuso, ma prima dovrebbero forse azzerare e rifondare la dottrina che quegli abusi ispira, rafforza e giustifica, della quale loro stessi sono la diretta espressione.
In effetti la pretesa dell’abusatore spirituale è così insensata che nessuno la proporrebbe e nessuno la accetterebbe, se non ci fosse una collaudata teoria preparatoria e giustificatoria di tale perversione. Teoria che vede la presenza di Dio nel mondo attraverso l'incarnazione di Cristo, quindi di Dio nella storia attraverso Cristo vivo nella Chiesa, pertanto di Dio presente nel Magistero sicché nei diretti superiori che il fedele si trova in sorte. L'unica differenza nel far da tramite fra l'individuo e Dio operata dal Magistero rispetto all'abusatore spirituale è che il porsi del Magistero è più generalizzato e misurato, quello dell'abusatore più individuato e smodato; una mera differenza di obiettivo e intensità.
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1 Sono stato a una conferenza dello storico Franco Cardini, riporto una narrazione semplice ma di effetto che aveva fatto della tradizione cattolica, che ritengo affascinate all’interno di una dimensione simbolica e narrativa, invece pericolosa se presa e applicata alla lettera. Scrivo a braccio aggiungendo del mio. Cristo risorge e prima di ascendere al cielo si manifesta agli apostoli e ai discepoli. Ha un corpo strano Gesù Cristo: entra in casa passando attraverso le pareti ma non è un fantasma, in carne e ossa va incontro alle donne, appare a due discepoli sulla strada di Emmaus e agli apostoli sulla montagna. Gesù fa toccare le piaghe a Tommaso, spezza il pane, mangia pesce arrostito. Gli apostoli toccano quel corpo risorto e quel contatto fisico li impregna di una sovrannaturale potenza, che a loro volta trasmettono a chi toccano, e questi ancora senza soluzione di continuità fino all’ultimo pretino di campagna dei nostri giorni, toccando il quale noi tocchiamo, grazie alla tradizione, il corpo del Cristo risorto. Si noterà che è irrilevante essere degni di quella potenza, ciò che conta è essere toccati da chi è stato toccato, faccenda pratica non etica.
Paradosso della fede
La fede in Dio di natura logica capace di dare ragione di se stessa, come quella che indagando il mondo considera la possibilità di un Dio cretore un’ipotesi plausibile, è più una costruzione ragionevole che una fede vera e propria. La fede genuina[1] è invece una tensione irrazionale che, non necessariamente legata alle rivelazioni delle confessioni religiose, tira dritto verso un assoluto. La fede conduce in un diverso paradigma esistenziale dove non è più valido ciò che è vero, ma ciò che fa vivere meglio.
Di fatto la fede in Dio consente a milioni di individui di reggere le difficoltà dell’esistenza perché gli dà un senso al mondo, perché gli azzera le paranoie, perché li aiuta ad accettare ciò che non possono cambiare, perché gli facilita l'adattamento ai cambiamenti[2], perché gli garantisce una vita dopo la morte.
Chi ha fede in un Dio che sente affidabile vive in un modo particolare, i vantaggi procurati dalla fede sono così evidenti che talvolta chi la fede non ce l’ha è un po’ invidioso di chi ce l’ha. La cosa singolare è che chi ce l’ha non sa perché ce l’ha e chi non ce l’ha, ma vorrebbe averla, non sa perché non ce l’ha. Chissà dov’è il punto preciso, la soglia dentro un individuo dove al di qua non c’è fede e di là c’è? E come ottenerla, la fede? Di certo non possiamo scegliere razionalmente di averla, non sarebbe più fede, neppure possiamo chiedere a Dio di darcela se non siamo già credenti. E’ un moto irrazionale che, come tutte le follie, per essere autentica deve sorgere spontanea o capitare in sorte.
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1 Quella alla Kierkegaard, quella del salto irrazionale verso un tutt'Altro per superare la disperazione insita (a dire degli esistenzialisti) nella condizione umana, che ragione e logica non possono risolvere.
2 Ma non è che tra un paio di millenni, se ci saremo ancora , avremo un mondo abitato da gruppi umani con fedi in visioni assurde ma rassicuranti, che proprio grazie a queste si saranno adattati meglio all’ambiente, rispetto a gruppi che avranno perseguito saperi scientificamente validati che risulteranno estinti? Abbracciare la verità (necessariamente presupposta) invece di facili e false consolazioni ci fa sentire paladini di autenticità, ma non è per nulla dimostrato che sia una strategia vincente nella lotta per la vita.
Inaspettate sinergie
Nei Sapiens oltre alle mutazioni genetiche anche le variazioni di pensiero consolidate e trasmesse da una generazione all'altra caratterizzano, evidentemente, la nostra specie. Consideriamo ad esempio quando a un certo punto, verosimilmente nella preistoria, qualche nostro progenitore iniziò a credere nella divina provvidenza, credenza diffusa che in differenti forme perdura da millenni un po' a tutte le latitudini.
Che esista o che non esista una benevola azione costante esercitata dal cosmo, o da Dio, sui bisogni umani è qui irrilevante, ci muoviamo su un piano diverso dove ciò che conta è che il mutamento di pensiero -dal non credere al credere nella provvidenza-, si è rivelato vantaggioso perché ha favorito maggiori probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita: avere fiducia di un esito positivo nello svolgersi degli accadimenti aiuta a prendere iniziativa, a rischiare, a vivere[1].
Non sempre cultura e natura confliggono, talvolta si intrecciano dando vita a inaspettate sinergie. Mentre la cultura è a volte schifiltosa la natura è onnivora e di bocca buona, tutto fa brodo per essere e perpetuarsi; inghiotte vorace le nostre stranezze culturali e si sazia di miti[2] inverosimili. I numerosi figli che nascono a raffica da padri e madri cattolici tradizionalisti, che nel credere alla provvidenza divina obbediscono, inconsapevolmente, all’imperativo naturale: sii e perpetuati ! Ne è un esempio.
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1 Nonostante qualche minoritario caso di quiteismo, di chi fiducioso in interventi celesti risolutivi accetta ciò accade senza far niente, tuttavia in quei casi dove la situazione è realmente immodificabile questa capacità di accettazione, che la fede nella provvidenza stimola, può rivelarsi strategia comunque vantaggiosa.
2 Il problema è che forse siamo così impregnati di riduzionismi ottocenteschi, che non vediamo il mito come con una forma costituitiva e originaria di pensiero, dignitosa quanto l’intelletto e di questo alleato, ma lo consideriamo una puerile fantasia da superare, un raccontarci frottole per sopportare il mondo, un sussidio a cui gli sfigati ricorrono per sopravvivere. Le categorie di vero e falso della post moderna razionalità europea, esito un po’ rattrappito dell’antico passaggio dal Mythos al Logos, van bene per tantissime cose ma sono inadeguate per spiegare noi stessi perché siamo logicamente inesplicabili, perché desideriamo cose tanto essenziali quanto indimostrabili con la sola razionalità.
Visioni
Siamo abituati a pensare che i sensi comunicano al nostro cervello il mondo com'è. Anil Seth, professore di neuroscienze, spiega[1] che la dinamica della percezione è invece molto più complessa e un po’ meno precisa. Per come ho compreso la sua teoria, la percezione del mondo sarebbe, in estrema sintesi, una “allucinazione controllata” che si attua grazie a una sorta di danza di percezioni predittive del contenuto del mondo che dal cervello si muovono verso l’ambiente, per ritornare al cervello corroborate o confutate dal mondo reale che ci circonda, per come ci appare attraverso i sensi[2], dimodoché la predizione sia confermata o corretta all'istante.
Seth non approfondisce più di tanto il punto, ma risulta evidente che per esserci predizione delle cose del mondo dovrà essercene memoria nel nostro cervello, una sorta di inventario del mondo, enti fantastici inclusi[3]. Mi torna alla mente che nato in Brianza avevo visto per la prima volta il mare quando avevo più o meno cinque anni, ricordo con precisione che nel vederlo ebbi un istante di meraviglioso spiazzamento. Probabilmente nel mio cervello non era ancora stata inventariata una distesa d’acqua estesa fino all’orizzonte, che dunque risultava non solo inaspettata e improvvisa ma impensabile, da qui lo stupore assoluto. Non possiamo escludere che l’estasi di alcuni mistici o i rari momenti epifanici che possono accadere a tutti, siano procurati da una dinamica simile.
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1 "Come il cervello crea la nostra coscienza", Raffaello Cortina Editore.
2 Realtà che nella sua vera natura ci è preclusa, dato che non possiamo percepire il mondo in presa diretta ma necessariamente filtrato da noi stessi, come non poca filosofia ci ricorda: differenza fra fenomeno e cosa in sé; il mondo come interpretazione, e via dicendo.
3 Forse Jiddu Krishnamurti è stato il più attento e preciso nell’affrontare la problematica di come la memoria delle cose del mondo, pur indispensabile, ci limiti spiritualmente. “Osservate per conto vostro come funziona il cervello, è il deposito della memoria, del passato. Questa memoria risponde continuamente, in termini di piacere e dispiacere, giustificazione, condanna e così via; risponde secondo il suo condizionamento, la cultura, la religione, l’educazione, che ha immagazzinato. Questo deposito di memoria, dal quale sorge il pensiero, guida la maggior parte della nostra vita. Dirige e dà forma alle nostre vite in ogni minuto del giorno, consciamente o inconsciamente; genera il pensiero, il “me”, che è la vera essenza del pensiero e delle parole. (The Impossible Question).
E fu sera e fu mattina, testo teatrale
Testo teatrale, agosto 2023
E fu sera e fu mattina
(Arcangelo Gabriele) In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.
(Uomo) Questo corpo fisico frutto degli imperativi naturali vivi e riproduciti sembra una realtà evidente, la nozione di persona è qualcosa di meno chiaro, potrebbe anche essere che in questo corpo non ci sia qualcuno, ma un affastellamento di percezioni che ne producono l’illusione. Ehi, c'è qualcuno qui dentro? Ma se non c’è nessuno “chi” lo sta chiedendo? La coscienza personale attraverso i sensi del corpo percepisce le cose, i filosofi chiamano le cose che i sensi percepiscono fenomeni per distinguerli dalla realtà delle cose in sé, che per i sensi limitati di cui disponiamo ci sono precluse, viviamo in una realtà della quale non sappiamo la sostanza. A partire dai fenomeni percepiti la coscienza personale interpreta e configura il mondo, gli scienziati della mente dicono che la coscienza personale è una allucinazione controllata.
(Arcangelo Raffaele) Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque».
Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne.
Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
(Uomo) Forse anche la coscienza di essere che ci fa dire “io sono”, “Dio c’è”, è una percezione tra le altre, però è una percezione davvero particolare, percepire “io sono” è qualcosa di incommensurabile rispetto al vedere il colore rosso, distinguere una farfalla o sentire caldo, è evento potente e misterioso, indizio di una possibile esistenza di un Dio cosciente che ci ha fatti come lui.
(Arcangelo Gabriele) Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona.
E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie».
E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
(Uomo) Per evitare questi sguardi trascendenti che il singolare evento della coscienza può stimolare, oggi va di moda chiamarla “coscienza impersonale” una contraddizione in termini: per essere coscienti ci vorrà pur qualcuno che lo sia. Nel paradigma impersonale l’ “io sono” si riduce a “sono” elidendo in un solo colpo io e Iddio. Anche la sempre più diffusa trovata del “Dio impersonale” dice una entità assurda evirata di se stessa. Invece di giostrare su questi arzigogoli forse meglio tenersi l’Iddio personale facendo un salto nella fede, o eliminarlo di netto sostituendolo con la natura, che per essere e mantenersi non ha bisogno di nessuno all’infuori di sé.
(Arcangelo Raffaele) Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona.
E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
(Uomo) Ma l’individuo esiste davvero? Entrato in me stesso non c'era nessuno… Forse l’io emerge da interconnessioni con altre entità, un po’ come quando linee che si intersecano creano un punto percettibile, pur non avendo dimensione e sussistenza in sé. Forse tutte le cose che sono lo sono interconnettendosi, e poi la soddisfazione accade quando tutti intenti a un fine ci dimentichiamo di noi stessi. Sono poche le visioni di Dio in una esistenza, a me ne sono capitate tre, un airone nello stagno, le rondini che mi schivavano la testa, le cosce di Annalisa. Improbabile che a un io gagliardo e traboccante accada un'apparizione, una manifestazione, un'improvvisa rivelazione, più facile che capiti a un io depotenziato. Forse l’essere eterni non è dato dal permanere di un’anima personale che sopravvive al corpo, ma dal non avere finalmente più bisogno di se stessi.
(Arcangelo Gabriele) Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
(Uomo) La naturale volontà di vivere pervade ogni cosa, impregna piante, insetti, attua in Homo sapiens meccanismi che gli danno la precisa sensazione di essere qualcuno, qualcuno che vuole essere, esistere, non finire a immagine del funzionamento che lo ha prodotto, anzi un po’ di più: la percezione di essere un io cosciente è tanto forte che l’individuo ha la sensazione di sporgere dal funzionamento della natura. L’individuo non si percepisce solo macchina bestiale che ottempera i decreti biologici dell’esserci e riprodursi, si sente di più così fonda sensi, universi di valori, non gli basta essere vuole essere significativo. Perché tutto questo? Il funzionamento naturale ha fatto qualche mossa falsa? Ha esagerato nel consolidarci l’io? Gli è scappata la situazione di mano, rafforzando più del necessario l’allucinazione che dice all’individuo di essere qualcuno? O c’è dell’altro?... Forse tutt’altro?... Forse Dio?
Un milanese aveva comprato un trullo per farci la casa vacanza, nel vedere una piccola alcova con l’immagine del Sacro Cuore appesa aveva sentenziato:
«Ma che roba è, medioevo superstizioso? Dentro qui ci faccio un secondo cesso!»
Appena uscito dal trullo infarto fulminante. Morto stecchito sul piazzale.
(Arcangelo Raffaele) Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie». E così avvenne: E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
(Uomo) “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”.
Il vitello appena un’ora dopo nato già si regge sulle zampe, invece noi siamo lenti e se un altro non ci mostra il suo volto periamo. “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto.” Se si nasconde siamo condannati a fotografarci il culo e metterlo su Tik Tok, così che qualcuno ci dica: ti vedo. Hai un bel culo. Esisti.
Vanità delle vanità, ma non tutto è vanità. Il funzionamento naturale sembra affidabile, non proprio sempre ma perlopiù sembra affidabile: manco sappiamo come abbiamo fatto a svegliarci questa mattina e ci siamo svegliati, senza alcun bisogno del nostro stilare procedure, spiegare i fatti, confermare ipotesi, citare gli esperti, il grande funzionamento ci fa scorrere il sangue nelle vene, digerire la matriciana, e dà la direzione alle rondini che attraversano il mare. Il borghese filantropo crede che il mondo è una sua rappresentazione, il mondo si produce e esaurisce nella sua autocoscienza, mago che crede che ciò che esiste stia dentro al suo pensiero, invece marmotte, querce e grilli stanno dentro a un mondo che li precede e che sta in piedi per conto suo.
Ho visto un tale di Giovinazzo che si dice sciamano, porta i depressi nel bosco e li fa urlare di brutto, non so perché. Chissà com’è che agli scienziati, specialmente ai fisici, piace sempre ambientare gli eventi su un’isola come fa Shakespeare: l’incipit nei libri dei licei scientifici è sempre lo stesso: “In un sistema isolato… succede bla, bla, bla”, siamo dentro una bolla, immensa come l’universo, ma una bolla.
Non so se dentro al grande funzionamento ci sia qualcuno, non so se dopo morto ci sarò ancora e sarò ancora io, però se il funzionamento naturale è stato capace di farmi sarà anche capace, in qualche modo, di conservarmi. Se mi ha fatto come escludere che mi rifaccia? “Non lo so” e il non saperlo è una sorta di conferma che apre all’ulteriore.
I piccioni in calore gonfiano il collo e girano su se stessi, il fiore di issopo chiama l’ape impollinatrice, i ragazzi col ciuffo alla rockabilly attraggono le femmine nella piazza del paese, obbedienti al sommo funzionamento finalizzato alla perpetuazione della specie, della vita, dell’essere.
L’altr’anno il dottore mi aveva detto: lei ha un carcinoma aggressivo. La prima cosa che avevo pensato era stata: chi non ce l’ha mica vive in eterno. Può darsi che un buon modo per neutralizzare un carcinoma sia quello di stimarlo, di stipulare una sorta di alleanza, ci avevo provato e al momento risulto guarito, ma forse è stata la mitomicina prescritta dai sanitari.
Però è strana l’esistenza degli umani, piena di idioti che fanno danni a destra e a manca, ma poi il conto viene presentato a altri. Forse alcuni nascono sprovvisti della legge morale dentro di sé. Ma la legge morale si trasmette col DNA o col latte materno? Quand’ero giovane mi sentivo straniero in questo mondo, sempre nostalgico di un’Itaca metafisica, adesso ho indizi che il massimo dell’immanenza coincide con il massimo della trascendenza.
Nell’accudire tanti gatti posso osservarli nascere, vivere e morire con frequenza e a distanza ravvicinata. Nascono suppergiù nello stesso periodo ma muoiono a intervalli irregolari e ogni volta ti insegnano come si fa. Indifferenti a solennità e angosce si allontano dal gruppo e spirano con nonchalance sotto a qualche cespuglio. Mentre li sotterro gli osservo l’occhio e constato che dentro non c’è più qualcuno e inizio a chiedermi se quel qualcuno si sia spento assieme al corpo o se invece sia migrato da qualche parte, ma non trovo risposta. La terra, le piante intorno e il cielo sopra, continuano come sempre. Tento di vedere l’occhio della terra, delle piante e del cielo, così da scorgerci dentro qualcuno, ma quell’occhio non lo vedo, però dal corpo immobile del gatto in fondo alla buca sento uscire come una voce:
“Non preoccuparti, va tutto bene proprio così, esattamente così come sta accadendo.”
FINE