Il libro Cifre della trascendenza, Campo dei fiori, Fazi Editore, pag.110 curate da Federico Ferraguto, raccoglie le ultime otto lezioni del filosofo e psichiatra Karl Jaspers (1883-1969) all’Università di Heidelberg nel 1961. Il testo appare rapsodico e fluttuante, complesso, a tratti criptico, sia perché Jaspers nelle sue descrizioni è solito cambiare senza preavviso differenti punti di vista, sia perché il testo trascrive una libera esposizione orale, e specialmente perché le cifre del trascendente “rivelano perché sono linguaggio di una realtà, e nello stesso tempo occultano, perché il loro è un linguaggio dai molti significati (pag. 66)”. Jaspers esordisce così: “Vorrei parlare delle cifre aiutandomi con esempi e frammenti casuali di cifre in forma capace di toccarci”.
Non è, dunque, semplice spiegare cosa siano le cifre della trascendenza, anche perché più che una costruzione concettuale da illustrare sono una esperienza da fare. Per spiegare il poco che ho compreso provo prenderla alla larga, constatando che ci sono tipi umani che sperimentano l’esistenza, propria e del mondo, ovvia e scontata, questi tipi psicologici avvertirebbero le cifre del trascendente elucubrazioni assurde e inutili. Esistono invece altri tipi che partendo dalla consapevolezza che non si sono fatti da soli, sentono che sono più di ciò che conoscono di loro stessi, da qui percepiscono l’esserci evento meraviglioso ed enigmatico che esige un’indagine serrata. Impulso all’esplorazione esistenziale destinato, però, a naufragare per l’inadeguatezza degli strumenti dei quali disponiamo. Il problema è che la conoscenza umana scaturisce dal limitato orizzonte percettivo e mentale che abbiamo a disposizione: sensi corporei, linguaggio, categorie -Jaspers annota che se sparissero le categorie il pensiero umano collasserebbe-, mentre la realtà vivente è qualcosa di incommensurabilmente più profondo, complesso e vasto. Ancora una volta ritorna la notoria opposizione kantiana fra fenomeno, ovvero come la realtà ci appare, e “cosa in sé” ossia la realtà per ciò che è davvero, a noi preclusa per la pochezza del personale sentire e sapere. Il linguaggio cifrato della trascendenza è un modo per superare questo eterno scacco, una strategia per cogliere indizi dell’assoluto che ci è precluso.
Le cifre della trascendenza sono ovunque, ogni cosa può essere cifra, coglierle è mossa fantasiosa in quanto è data ed insieme (da noi) creata, con mosse inconsce e istantanee come quella di artisti, santi, streghe, amanti, poeti e filosofi capaci di sorprendere l’enigmatico oltre che abita l’immanente. “Potremmo dire che il filosofare ha due ali. Una batte per lo sforzo del pensare comunicabile, cioè per una dottrina universale. L’altra batte per l’esistenza del singolo. Lo slancio è dato solo dalle due ali insieme” (p. 109). Trascendenza che andrebbe, dunque, intuita dal singolo e possibilmente comunicata, ma senza interpretazioni che la riducano a un concetto univoco, fisso, oggettivato quindi non più trascendente: “Non devi farti nessuna immagine né simbolo” (Es 20,4). Questo scorgere nel finito un rimando all’infinito senza possederlo e sistematizzarlo ci fa esistere meglio perché genera libertà. La cifra della trascendenza è raccordo con l’oltre e racconto dell’oltre, è metafora giocosa e paradossale, Jaspers ce ne offre un esempio citando uno spiazzante adagio medioevale: “Vengo non so da dove, sono non so chi, morirò non so quando, vado non so dove, mi meraviglio di essere contento” (p. 110).
Le cifre della trascendenza ci emancipano sia dal materialismo meccanicistico e correlate superstizioni scientistiche che percepiscono l’esistenza ovvia e scontata, sia dai fondamentalismi religiosi che pongono un aut aut fra Dio e Nulla, facendo coincidere il rifiuto di Dio con l’avvento del nulla, glissando sull’evidenza dell’esserci mio, dell’altro, della natura e della storia, eventi traboccanti di cifre da cogliere. Ciononostante Jaspers afferma che proprio le confessioni religiose storiche più che il concetto generale di Dio, sono un mezzo per accedere all’assoluto, a condizione che non siano prese alla lettera ma colte, anch’esse, come cifre del trascendente. Va da sé che se lette così le confessioni religiose non possono proclamarsi depositarie di alcuna verità e superiorità; cifre della trascendenza sono presenti nei monoteismi, nei politeismi, nei panteismi, negli ateismi.
Dato che le cifre sono indizio della trascendenza ma non sono la trascendenza, altra strada teoricamente praticabile è quella di rinunciare alle cifre stesse per tendere alla trascendenza in presa diretta, è la via del buddhismo nella rinuncia di sé, dell’altro, del mondo, e dunque rinuncia di ogni immagine che ci raccordi col trascendente. Percorso che Jaspers giudica difficilmente praticabile per chi è nato nel paradigma occidentale: “Ora le tradizioni storiche di cui stiamo parlando esistono in una molteplicità di forme. Possiamo comprendere in questo senso gli dèi personali dell’India o della Cina e condividerli comprendendoli. Ma non ci toccheranno mai da vicino” (pag. 63). Di fronte alla concezione orientale che vede il mondo irreale Jaspers giustamente domanda: ma allora “da dove viene quell’incanto e quella apparenza che ci dice che esiste una realtà?” Sulla problematica Jaspers osserva che le concezioni orientali arranchino nel dare risposte convincenti.
Nelle lezioni quarta e quinta vengono esemplificate tre cifre del divino: la cifra dell’uno, quella del Dio personale e la cifra dell’incarnazione cristiana. Ne risulta un concatenamento di cifre che generano altre cifre, riflessione complessa, difficile. L’indagine della cifra trascendentale dell’uno riprende la differenza kantiana fra l’uno numerico, quello di "un popolo, un Reich, una guida", che produce egoismo e fanatismo e l’uno qualitativo, quello divino neoplatonico principio supremo che emana la realtà che, all’opposto, genera pluralismo cooperante. Nella cifra del Dio personale Jaspers vede “L’uomo che sa di essere donato a se stesso nella sua libertà da parte della trascendenza” (pag. 59). Il concetto del Dio fisico viene colto già nell’antico testamento prima dell’incarnazione di Gesù. La circostanza che l’inafferrabile Dio, il “Colui che è”, abbia una consistenza fisica e che non stia dappertutto ma da qualche parte precisa, sul Sinai in un roveto ardente o alle querce di Mamre oppure in cielo, secondo Jaspers è circostanza che “ha dato una efficacia eccezionale attestata dalla storia occidentale”(pag. 64). Le cifre Jaspersiane permettono una spiritualità laica libera da pregiudizi illuministici e riduzionistici che rifiutano, a priori, qualsiasi religione rivelata giudicandola mera superstizione, recuperandola come cifra della trascendenza, simbolo del tentativo umano di raggiungerla.