La siepe
La siepe di lecci, lauri e filliree, che ho piantato dieci anni fa vegeta dritta ma quando a lato incontra un ulivo tende a sbordare, accelera il suo vegetare e si allunga per raggiungerlo e l’ulivo fa altrettanto. Si sa le piante comunicano tra loro, s’intendono con segnali veicolati dalla produzione di enzimi specifici e addirittura attraverso vibrazioni sonore e i cespugli mediterranei - anche l’ulivo è un cespuglio - se contigui tendono a compenetrarsi così che il sole non raggiunga il suolo danneggiando le radici. Come non chiedersi il perché della costante direzione di tale spinta? Perché avulsa da leggi di probabilità la forza naturale tende, quasi sempre, a perpetuare e sviluppare invece di annichilire? Se il processo fosse meramente casuale, invece che causale e teleologico, agirebbe a capocchia talvolta sviluppando, talvolta essiccando. Forse Darwin e Tommaso[1] anche se parlano differente sono più amici di quanto appare.
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1 Quinta via: "Ex fine": « [...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio. » (Tommaso d'Aquino. Summa Theologiae, I, questione 2, articolo 3).
Simboleggiamenti
Fuori della natura, al di là della storia, oltre il soggetto, insomma trascendente. Si può censurarlo negandolo, viceversa affermarlo in differenti modi:
individuando in esso dimensioni riposte determinandole, così da analizzarle, in categorie immanenti: naturali, storiche, soggettive e collettive. Oppure, nel desiderio di accomodarlo "al di qua", articolare miriadi di simboli che, in qualche modo, facciano da ponte tra i separati regni stemperandone l'incomunicabilità. Però anche il semplice riconoscerlo accettando di non conoscerlo è posizione ragionevole e forse meno pasticciata.
Univerbazione
Un computer è inabile al teoretico perché non ha vissuto in strada.
Ho indizi che pensiero e corpo siano tutt’uno.
Sistematica applicata
Se ti trovi «due nature, non confuse e non trasformate, non divise non separate, poiché l'unione delle due nature non ha soppresso la loro differenza, anzi ciascuna natura ha conservato le sue proprietà e si è unita con l'altra in un'unica persona» sei Dio fatto uomo.[1]
Nel caso invece riscontri «la presenza di due o più identità o stati di personalità separate» sei ammalato.[2]
1 Concilio di Calcedonia, formula conclusiva.
2 Disturbo dissociativo dell'identità (DDI o DID), secondo il The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM).
Mistica & nichilismo
Malati, immersi nelle tenebre, perduti, prigionieri, schiavi, miserabili: lo spermatozoo è il bandito allo stato puro.
Ho cinematograficamente montato estrapolando l’inizio da San Gregorio di Nissa e chiuso con Cioran [1] e il film risulta plasticamente lineare.
La costruzione di un qualche salvatore da adorare e la nichilistica considerazione del suicidio partono e poggiano dallo e sullo stesso punto. Una brezza di tramontana e forse van giù tutti e due.
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1 San Gregorio di Nissa Oratio catechetica, 15, 3: TD 7, 78 (PG 45, 48); E.M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza.
Casella 58
Il mio primogenito era stato battezzato nella chiesa di Sant’Antonio sul salitone appena fuori dal centro storico, a quei tempi c’era il parroco originario di Goa, India. Nel colloquio di preparazione al battesimo, sapendomi bazzicare ambienti induisti, mi aveva ammonito riguardo l’incompatibilità tra cristianesimo e religioni orientali, il primo retta [1], le seconde invece cerchio [2].
Mica aveva torto il parroco cattolico indiano e ancora oggi mi lasciano perplesso, nonostante le numerose e valorose eccezioni da Arthur Schopenhauer a Raimon Panikkar, alcuni tentativi di sintesi. Mediazioni che collocano l’uomo occidentale nella cosmogonia orientale, allineamento del cerchio partorito da Carl Gustav Jung e poi diffusosi in numerose concezioni New Age. Da quelle parti in conformità col cristianesimo siamo invitati linearmente ad onorare la vocazione personale, sviluppando un io poderoso così da emanciparci da un non ben definito seppur infinito paciugo, nel quale albergavamo prima di nascere, luogo a differenza del cristianesimo sprovvisto di Padre. Ottemperata la personale vocazione attraverso una biografia che possibilmente lasci indelebile e sana traccia di sé nel mondo, lì sul più bello l’io finalmente strutturato andrebbe inopinatamente trasceso per sciogliersi nel cosiddetto Sé, ossimoro di io impersonale o di qualcosa che gli assomiglia, per circolare dissolti nell’oceano di un presupposto nirvana, non molto dissimile dal magma cosmico nel quale stazionavamo prima di nascere: casella 58 "scheletro" si paga la posta e si torna alla 1 (Gioco dell'oca).
Forse meglio permanere alla larga da nebulosi, equiparabili, pre e trans personali, cosicché un qualche padre ci possa mandare pure all'inferno, ma almeno con l’io integro e pimpante. Forse meglio che ognuno onori la sua tradizione lineare o circolare che sia senza deformarla, ma approfondendola per lì scoprirsi amico di tradizioni lontane [3]. Per quanto mi riguarda accettando di non sapere, né il prima, né il dopo, l'accadimento di questo personale corpo pensante, continuo fluttuando nell'esserci di Io-Altro-Natura, linee e cerchi van bene per progettare la rotatoria della provinciale.
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[1] Ecco la retta: « Il credo. Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore Gesù Cristo unigenito figlio di Dio nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, dalla stessa sostanza del Padre. Per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto e il terzo giorno è resuscitato secondo le Scritture ed è salito al Cielo e siede alla destra del Padre e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti ed il suo Regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre ed il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati e aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen ».
[2] Ecco il cerchio-spirale: «Nella maggior parte, comunque, Brahma appare in veste di creatore o meglio di demiurgo. Infatti, i miti della creazione induisti si discostano in modo evidente da quelli biblici e del creazionismo in genere per non contemplare una creazione ex nihilo, ma piuttosto una disposizione e un'organizzazione degli elementi costitutivi dell'universo. » (Poupard 2007, voce "COSMOGONIA nell'induismo" di Jean Varenne, pagg. 369-371). « Il Mahaa-Viṣṇu, in cui tutti gli innumerevoli universi entrano e da cui tornano indietro semplicemente seguendo il suo respiro, è un'espansione di Krishna. Quindi io adoro Govinda, Krishna, la causa di tutte le cause. » (Brahma-samhitaa 5.48)
[3] L'ho appreso da Luigi Giussani che concepiva l'ecumenismo non come snaturamento della personale tradizione di fede onde facilitare un accettabile compromesso, ma incontro di specifici, differenti, approfondimenti.
Le Aringhe
Arguto individuare come preciso contrario del sublime non l’infimo bensì l’eccitante [1].
Un po’ meno penetrante concludere denigrando l’eccitante per esaltare il sublime, in quanto storie collettive e personali sovente dimostrano che l’esasperata separazione di impuro e puro generi, di fatto, rendez-vous d’empirei e chiaviche invece delle celebrate elevatezze.
[1] «Poiché i contrari si illuminano a vicenda, può qui trovar posto l'osservazione, che il vero e proprio contrario del sublime è alcunché a tutta prima non riconoscibile per tale: l'eccitante.» (Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, § 40.)
Weltanschauung rurale
“Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela».” Forse meglio, visto il risultato dell’ulivo in immagine, che Iddio fosse rimasto zitto e il potatore fermo. Ieri nel potare un lentisco faticavo nel trovare la giusta misura al mio recidere: nel lasciarlo com'era permaneva catatonico, nell'intevenire rischiavo di castrarlo, così ruminavo intorno al potare.
Consideravo che, tutto sommato, il potare - quando non codificato da omologate tecniche culturali, ma atto libero (arrangiati, fai tu) -, è un po’ paradigma del rapporto cruciale Io/Natura.
Perché potare un albero? Perché lasciarlo com’è? Nel caso si opti per procedere, con quali criteri operare, per favorire la produzione di eventuali frutti? Per stimolare lo sviluppo ordinato dell’albero? Quale ordine? Per contenerlo dimensionandolo? Quale parametro dimensionale? Per plasmarlo esteticamente? Quale estetica?
Potatura test di Rorschach filosofico che svela la collocazione di sé in un ordine generale dell'Universo. Non posso escludere che se dovesse esistere un senso all'esserci, del quale la potatura è metafora, sia quello di trovare sintesi tra l'ordine personale e quello naturale.
Sub
Il soggetto che pensa e dice poggiando su se stesso può anche enunciare visioni singolari, bizzarre e pure sbagliate, eppure non esprime subcultura. La subcultura è sempre faccenda di gruppo.
Sassi
Per non farmi mancare proprio niente mi ero attardato ad ascoltare un massone incontrato per caso, inaspettatamente loquace della sua spiritualità. Senza che l’avessi chiesto e neppure desiderato mi aveva detto delle “egregore”, le chiamava “eggregore” rafforzando la doppia “gi” che mi arrivava tripla. Riferiva che talvolta, se particolarmente intensi, i pensieri e anche le emozioni possono assumere forza propria e autonoma impregnando luoghi o vagando nell’etere.
Anche se Freud diagnosticherebbe all'autore della seguente domanda malattia certa e grave, la faccio: una pietra di Auschwitz e una di Disneyland oltre alle eventuali specifiche differenze mineralogiche potrebbero differire, nella sostanza, anche per altro? Si sostanza. Il massone con eggregora mica si riferiva al filtro culturale che interpreta le cose, ma a una reale, specifica e autonoma essenza spirituale (forma-pensiero) abile d'imbevere l'oggetto come il latte inzuppa la fetta biscottata. Non sto infognandomi in equivoci epistemologici anche se mi manca poco, ma provando a delineare differenti filoni filosofici.
Ricordo l’amico William Congdon quanto mi chiedeva se anch’io, come lui, entrando in una casa abbandonata percepivo chi lì aveva vissuto. Avevo risposto di no, ma a distanza di anni nel ristrutturare un trullo in Puglia avevo ripulito l’immagine del Sacro Cuore dell’alcova riponendola con cura al suo posto per onorare chi in tempi remoti l’aveva affissa. Dinamica culturale e interpretativa, la mia, che poco c’entra con la teoria dell’egregora, come quando, sapendo la storia ed esteticamente strutturati, avvertiamo differenti sensazioni in una stazione centrale rispetto a un duomo gotico. Eppure, oltre all'ordinaria ragione culturale decifrante natura e qualità dell'oggetto, incontriamo inaspettate esegesi scientifiche, nella fattispecie neurologiche, che giustificano possibili percezioni straordinarie: l’uomo primitivo cacciatore e nel contempo preda aveva sensi più affinati degli attuali - faccenda in quell’era di vita o di morte - oggi assopiti, ma che in particolari soggetti, condizioni e situazioni, possono in parte destarsi.
Il pensiero muove soggetti che trasformano oggetti, giudica e interpreta, non impregna sassi e neppure vaga nell’etere. Il magismo dell’egregora, come tutti gli occultismi e correlati feticismi, tenta vanamente di unificare natura e cultura. Invano perché anche se la libertà oppure l'odio esistono risulta arduo pesarne 300 grammi, pertanto di per sé una pietra di Auschwitz differisce da quella di Disneyland soltanto mineralogicamente. Forse.
William G. Congdon, Cambogia (Cambodia), 1960. Olio su tavola, 40,2 x 60,7 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 181 © The William G. Congdon Foundation, Milano.