L’amplificatore
Un pensiero scarso, seppur oggi universalmente espandibile per trasmissione immediata, permane scarso. Grosso ma scarso.
Rincontro
Forse l’originalità e l’inedito assoluto non esistono, al pari del compositore che in buona fede viola il copyright di una qualche melodia casualmente sentita ma non ascoltata, non di rado assimiliamo e introiettiamo inconsapevolmente il pensiero altrui.
Forse il “pensiero sorgivo” è evento davvero raro, però che soddisfazione quando una qualche riflessione frutto di personale lavoro la si rincontra pensata e confermata precisa, talora migliorata, da altri.
L’Ontosintassi
Tutto sommato il vivere degli uomini e l’esserci di tutto l'esistente è grammatica, più precisamente sintassi: relazioni e combinazioni istituite tra soggetti e oggetti, funzioni e categorie.
La Natura è sintassi precisa anche se ripetitiva e monotona, l’uomo invece implementa sintassi dinamiche e differenti: mal costituite che producono cantonate e infognamenti, fisse che non di rado causano groppi e labirinti, corrette che producono libero laborioso fluttuare soddisfatto.
Ma chi avrà mai stabilito le regole?
Lo chiamavano Trinità
La targa di marmo affissa all'ingresso del convento delle suore ha sopra inciso:
“Casa dell’Immacolata. Maria Sposa dello Spirito Santo”.
Ma non era già sposa di Cristo? E concepita immacolata e vergine e madre e sposa poliandrica e pure castamente incestuosa, ma un po’ di misura mai? Oltre le più disparate ed estreme rivendicazioni lesbiche, gay, bisessuali e transgender messe assieme, quelli che non a caso anelano numerosi sposarsi in chiesa, similis cum similibus congretantur.
Mi torna alla mente Luigi Lombardi Vallauri che così spiegava e parodiava Sancta Maria Mater Dei: «Ci sono tre persone di cui una ha creato il mondo, l’altra si è incarnata e si è incarnata perché la terza ha fecondato la mamma di lui, la mamma terrena». Però René Girard nell’esploratore il sacro annotava che chi ridicolizza le incongruenze della dottrina Cattolica dovrebbe, se un minimo coerente, espandere il suo deridere anche alla mitologia classica.
Noncuranti della scritta sulla targa i passanti transitano davanti al convento mentre le suore che sono dentro forse noncuranti del mito e della metafora transitano su questa terra credendoci alla lettera.
Il mal piglio
Ci sono anche altezzosi arguti come pure affabili deficienti,
eppure la boria rivela uno stato d’incertezza e la cordialità, se sincera, un’implicita stabile saggezza, o qualcosa che gli assomiglia.
Nutrire il pianeta
Con gli amici è vantaggioso, oltre che frequentare trattorie in compagnia, nutrirsi del pensiero e dell’esperienza dell’altro,
inattendibile un’amicizia anoressica del pensiero dell’amico meglio un avversario che lo spolpi con cura.
Nutre osservare l’amico, sazia monitorare il suo pensiero, soddisfa apprendere da lui se artigiano, stimola visionare ciò crea se artista, arricchisce leggerlo quando scrittore.
Talvolta si mette sotto i denti meno di quanto si offre e ci si ritrova padri, altre volte si mangia di più e di meglio di quello che elargiamo e accade d’essere figli, ma il più delle volte nell’amicizia ci si scopre nel contempo e padri e figli.
Mistiche
A pagina 233 del saggio sulla spiritualità filosofica «Mosaici di Saggezze» di Augusto Cavadi - chiedo scusa al lettore se sono ripetitivo, ma questo è il libro che da qualche tempo rumino con piacere - incontriamo pagine sul «Distacco dalla mera razionalità» che toccano i punti forse più estremi, sicuramente più rischiosi, della filosofia: distacco e rinunzia dalle idee non solo degli altri e proprie ma «in quanto tali». Da una parte Cavadi dice i limiti del dogma illuministico: uomo che poggiando sulla logica si percepisce libero dall’angoscia e luce del mondo, senza riconoscere che in questa presuntuosa antropocentrica smisuranza «la terra interamente illuminata [dall’umana ragione] splende all’insegna di trionfale sventura» (Horkheimer e Adorno). L’Autore apprezza la diagnosi ma nel contempo prende pacata distanza dalla terapia d’emancipazione che Horkheimer e Adorno offrono valutandola nebulosa. Osserva che i due autori - e con loro numerosi altri filosofi - constatano l’evidenza che «il pensiero, quando pensa sino in fondo, riesce a pensare anche la propria limitatezza» e lì si fermano. Impasse irrisolvibile? Cavadi indica, procedendo coi piedi di piombo, la possibilità di oltrepassare la filosofia per mezzo della filosofia stessa. Come? E’ possibile immergersi filosoficamente nel solco e nelle tecniche delle tradizioni mistiche? Cavadi precisa che se con mistica intendiamo «isolamento solipsistico» (annoto che possono anche verificarsi isolamenti solipsistici collettivi con l’io di gruppo, come nella mistica nazista) tale approccio è valutato dall’Autore estraneo alla filosofia, se invece intendiamo con mistica la «ricerca di modi altri di entrare in contatto con l’Essere quale per noi accessibile nei, attraverso e oltre i fenomeni» è filosofia, sebbene al di là di come comunemente intesa, beninteso se delineata da vigile e razionale procedere così da non prendere lucciole per lanterne nell’incantesimo di «intellettuali autismi».
E qui domando cosa s’intende per “Essere” con la “E” maiuscola? E cosa significa procedere, di fatto, oltre i fenomeni? Alla prima domanda Cavadi, come nei bei film, lascia il finale aperto. Alla seconda risponde invitando a non separare spirito (volontà, libertà, amore) da pensiero, a non dividere la ragione dall’irrazionale, in quanto l’irrazionale compenetra con emozioni, fantasie, sogni e molto altro ancora che sfugge alla pura logica, la ragione stessa. Come dargli torto visto che perlomeno il cinquanta per cento dell’arte - pensiamo a esempio ad un film di Tarkovskij - è frutto di tale compenetrazione. Approccio capace di oltrepassare il mero empirismo per addentrarsi oltre in territori altri, abile nel dire attraverso «metafore-parole, simboli-parole». Integro osservando che anche qui, come prima ricordava Cavadi, occorre individuare insidiosi autismi intellettuali monitorando, di volta, in volta, quanto in tale approccio ci sia di pre-personale (incistamenti del bebè nell’adulto) e di trans-personale (mistico santo, però anche maturo e sano), onde evitare equivoci: la psicoanalisi insegna di madri e padri magari disgraziati che non di rado occhieggiano oltre il Velo di Maya in paradisiache o infernali apparizioni. Ricordo di un esercizio proposto in un corso di scrittura autobiografica: ci avevano invitato a scrivere l’ “indicibile” ed ero rimasto con la penna in mano e il foglio bianco, su una trentina di partecipanti solo due avevano scritto, poi un po' imbarazzati avevano letto le loro righe: due stringati resoconti mal scritti d’esperienze psicotiche avute nell’adolescenza. Se non si è Rainer Maria Rilke forse opportuno stare alla larga da quei territori, aveva ragione l’Odissea:
«Le Sirene sedendo in un bel prato/ mandano un canto dalle argute labbra
Che attira il passegger/ ma non lontano
D’ossa e di umani putrefatti corpi/ e di pelli marcite
Un monte s’alza
Tu veloce oltrepassa.»
Da giovane mi soffermavo invece di lasciar perdere e ventenne, siccome ognuno ha Le Sirene che si merita, suonavo ogni sabato il campanello del monastero brianzolo della Bernaga, quello delle monache Romite Ambrosiane, quelle di clausura stretta. Avrei potuto anche essere un serial killer ma le monache si fidavano a scatola chiusa, aprivano il portone e mi facevano entrare nella cappella, lì senza che nessuno mi rompesse i coglioni cercavo in ginocchio il distacco dalla mera razionalità, però nello stare in silenzio mi sentivo un deficiente allora meditavo sulle sacre scritture e il senso del vivere proprio come altri milioni di persone, però in quell’ambiente ieratico mi sentivo spiritualmente fighissimo. Anni dopo credevo di aver cambiato radicalmente rotta, ma invece frequentavo gli stessi territori partecipando a cerimonie con nativi americani incontrati per caso. Con loro ingurgitavo nottetempo piante psicotrope attorno a un fuoco. Quando il mix di Peyote e Ayahuasca andava in circolo il corpo vomitava, lo sciamano spiegava che succedeva perché il corpo si purificava: “La medicina va a limpiar todo el cuerpo”. Nella notte non consideravo che il vomito era procurato dalla tossicità della pianta, davo fede alle parole dello sciamano e mi sentivo davvero bene perché avevo un picco di consapevolezza: mi sentivo parte della natura e degli altri presenti come se fossimo un corpo solo, stato che senza il bisogno di ingurgitare sostanze psicoattive è frequentato e descritto dai filosofi del naturalismo, concezione che negli ultimi tempi hanno denominato “eco-appartenenza”. A sostanza smaltita il picco finiva e mi ricordavo ancora il mio nome e tutti i nomi che un qualche Creatore aveva forse inventato per differenziare le cose così da divertirsi a giudicarle, però se alzavo troppo il gomito la mescalina restava in circolo anche un paio di giorni. La cerimonia iniziava la sera e terminava all’alba, così dopo una doccia aprivo l’erboristeria; mi sembrava di sapere le richieste dei clienti in anticipo, così mettevo sul banco i rimedi prima che mi venissero richiesti, quasi sempre quelli giusti o almeno mi sembrava. Insoddisfatto avevo intrapreso percorsi “vedantini”, quelli dell’Advaita della lontana e ancestrale India che attaccavano frontalmente l’io invitando a dissolverlo nell'impersonalità universale fin da vivi.
Solo in seguito mi è accaduto un fattuale cambio di prospettiva e rotta, da una parte grazie alla lettura di Freud, dall’altra per l’invito alla misura proveniente dalla grecità classica. Ho così appurato che, almeno per me, tale desiderio mistico di sperimentare un metafisico oltre era in parte prodotto e sostenuto da una semplice e terrena sensazione di mancanza risalente all’infanzia poi esaltata ed espansa a teoria universale, anche grazie a rappresentanti del nichilismo filosofico e dei loro cugini esponenti dell'esistenzialismo, eccellenti anabolizzanti al riguardo. Di fatto si trattava di personale circoscritto buco non di immensa voragine metafisica, faccenda agilmente risolvibile senza necessità di viaggi nelle alte sfere. Dall’altra, grazie ai greci, l’individuare in me tratti mica tanto sani d’inconsapevole e un po’ narcisistica smisuratezza, impotenti presupposte onnipotenze che il mito di Icaro ben esprime. Così mi ero attivato nell’individuarli e circoscriverli onorando e utilizzando l’unico capitale di cui dispongo e del quale disponiamo: l’io pensante. Capitale determinato eppure mezzo di produzione e correlata soddisfazione senza riserve e restrizioni. «Io sono io e la mia circostanza e se non salvo questa non salvo neppure me.» [1] «Non possiamo sapere, né congetturare di che cosa sia capace la natura umana messa in circostanze favorevoli.» [2]
Consapevole che la filosofia è tutt’altro, lontano da voler interpretare il mondo col mio metro e di inglobare gli altri nella circoscritta biografia individuale considero che, mistica o non mistica, è cosa buona e giusta partire da, e poggiare su, questo miracolo di un io che pensa, anche perché omessolo se godi alla grande dissolto nelle alte sfere manco lo sai.
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[1] José Ortega y Gasset , Meditazioni del Chisciotte.
[2] Sintesi di un brano dello Zibaldone da G.B. Contri, Una Logica chiamata uomo, Sic Edizioni.
La moltiplicazione
Esco dal supermercato ed ecco il nigeriano Danladi col cappello in mano, frugo in tasca e meccanicamente gli do la prima moneta che capita, è un euro.
Nello spingere il carrello all’auto mi torna alla mente la massima kantiana, quella del verificare quanto un personale atto “tiene” moralmente se espanso a legislazione universale e come un ragioniere stimo rapido il numero di macchine parcheggiate. Sono circa quattrocento, tutti clienti che in quel momento stanno facendo la spesa: 400 X 1 euro = 400 euro, quanto la mia collaboratrice part time prende in diciotto mattine di lavoro e di sopportazione del sottoscritto: se i conti sono giusti ho compiuto atto immorale.
Vitex agnus-castus
Al tramonto ho piantato l’Agnocasto nel mezz’ettaro di terra pugliese a dieci chilometri dalla costa adriatica, luogo che considero laboratorio filosofico più che botanico. L’ho congiunto ad un migliaio d’altre piante di differenti specie che ho piantato negli ultimi anni. Varietà della macchia mediterranea perlopiù nostrane solo talvolta strane: qualcuna del Sud Africa e delle coste del Cile, altre dell’Australia occidentale, zone con clima simile a quello mediterraneo ma dove vegetano altre specie.
Esperimento planetario di biodiversità che non serve proprio a niente se non ad implementare una discreta armonia estetica, a patto che le piante siano ben curate e governate così che non degradino nel catatonico. Eppure in questo inutile piantare ho sperimentato venti minuti di completa soddisfazione, forse per la consapevolezza di compiere gesto identico a quello d’antichi monaci - l’Agnocasto è pianta tradizionalmente monastica - , forse per il puntuale tramonto indipendente dal mio pensare e fare.
C’è una realizzazione prodotta da individuale abnegazione, da duro e coraggioso remare, dall’affrontare salite, ma c’è anche soddisfazione che non necessita sforzo e accade naturale e spontanea a patto che ci rechiamo consapevoli e puntuali nel posto giusto. La vocazione al personale e comunitario compimento indica e incita a percorrerle entrambe.
Mosaici di saggezze
Al «Credi in Dio?» - Domanda che dalle nostre parti sovente contiene il sottotesto: «Sei cattolico o ateo?» - Rispondo: «Con Lui ho un flirt complicato», come merita una domanda mal posta nel suo implicito imporre e costringere ad un dualistico aut aut tra fideismo e ideologismo, fra teismo e nichilismo. Il saggio Mosaici di saggezze, Filosofia come nuova antichissima spiritualità, (Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357), del filosofo Augusto Cavadi analizza e spiega il perché di questo erroneo imperversante approccio e indica ragionevoli e praticabili alternative di emancipazione da tale miope, asfittico, provincialismo. L’opera, oltre all’inequivocabile taglio filosofico pluralistico-aconfessionale sintetizzato nel titolo, affronta con taglio ritengo inedito la complessa, anzi ciclopica, questione spirituale della, e nella, filosofia. Prefazione di Orlando Franceschelli, esponente valoroso del naturalismo filosofico, uomo di pensiero abile - più del cane antidroga dell’aeroporto con l’hashish - nel subodorare, identificare, estrarre e smantellare, tracce occulte anche infinitesimali di clericalismi e integralismi religiosi, come pure ideologicamente areligiosi, dunque, in qualche modo confessionali. Presenza che chiarisce e rassicura, dalle prime pagine, del taglio filosofico e laico di un libro sulla spiritualità e “spirituale”; spirito evidentemente inteso come entità che si rivela ed esprime - non in antagonismo con materia, corpo e Natura - come moto personale e universale di pensiero, sentimento e volontà, alla ricerca del vero, del bello, del giusto, suggerendo «cammini ragionevoli per abitare, con serenità e se possibile con allegria, il groviglio delle nostre esistenze.»
Quello che subito colpisce del saggio - oltre al piacevole disorientamento procurato dell’oggetto libro in sé con copertina, grafica e impaginazione, evocanti un corposo catalogo dell’Ikea - è la profusione di citazioni che strutturano buona parte dell’opera, oltre a quasi mille note purtroppo non a piè di pagina, ma tutte da meritarsi con continue aperture e chiusure del volume in quanto poste alla fine. Citazioni tanto copiose che nei primi capitoli il lettore si sentirà un po’ spiazzato perché apparentemente orfano dell’Autore, del suo peculiare stile, di quel “tu” con il quale interloquire; un iniziale effetto collage che nel prosieguo della lettura apparirà, via via, sempre più familiare e piacevole, una sorta di progressiva messa a fuoco che vedrà dal collage prendere forma, coerente col titolo dell'opera, eleganti mosaici. Si potrebbe ritenere che tale metodo derivi principalmente dalla pluridecennale esperienza professionale di insegnante di filosofia dell’Autore: probabilmente vero ma sicuramente parziale. Il punto è che Cavadi se ne impipa del personale protagonismo e correlati sfoggi d’erudizione: nel percorso sullo spirituale, esso stesso spirituale, sviluppato nel saggio, suo e dei tanti dei quali riporta citazioni - trattati con pari rispetto da Patti Smith (la cantante) a Kant, seppur con differenti valutazioni - sceglie di porsi come discreto regista e comprimario. Nello svolgersi del libro affiora intermittente una vera e propria storia della filosofia, beninteso storia spirituale, fresca e accattivante perché compenetrata dal percorso autobiografico dell’Autore che giunto a maturità rendiconta un’articolata testimonianza del suo vissuto e della personale ricerca: testamento a babbo vivo che dona al lettore eredità universale proficua e nel contempo impegnativa in quanto percorso di lavoro e di vita «intrinsecamente interminabile».
In merito alla citatologia digredisco annotando che sovente imperversa in donne e uomini di pensiero e azione caratterizzati da approccio clericale o esasperatamente ideologico, altrimenti accademico specializzato settorialmente oltremisura; soggetti che ripetono ossessivamente solo e sempre gli stessi - di solito non più di un paio - autori e testi “sacri” di riferimento, citatologia che Costanzo Preve giudicava, ritengo puntualmente, «parente povera della filosofia». Nel saggio di Cavadi invece, agli antipodi da quanto sentenziato da Preve, le citazioni irrompono eterogenee e universali e nel contempo legate da un fil rouge che le articola razionalmente e esteticamente. Questo peculiare dire di Cavadi “a modo suo e a modo loro” stimola una fluttuante, libera e pluralistica espansione di pensiero nel lettore. Citazioni disparate scelte, criticamente analizzate e vagliate dall’Autore che preciso esprime, quando lo ritiene necessario, puntuali distinguo oltre a individuare, talora con motivata durezza e avulso da hegeliane interpretazioni di sacralità della storia, eventuali limiti, rischi di derive e plateali dannosità. Un pluralismo irriducibile e impenitente ma non buonista. Ricordo che in un vangelo apocrifo si narra degli apostoli che attraversando i campi s’imbatterono in una carcassa di cane in putrefazione e san Pietro, che stava davanti, disse: «Maestro, scostati», ma Gesù, al contrario, andò avanti e fermandosi a un passo dal cane esclamò: «Che denti bianchi!» [1]. Cavadi a differenza di quanto qui narrato di Gesù dice la carogna, ma uguale a lui i denti bianchi è sempre abile nel coglierli.
Nei primi capitoli vengono analizzati natura e scopi della filosofia, la peculiare matrice spirituale, i proficui motivi per cui filosofare e esposte altre e differenti matrici spirituali : orientale, New Age, psicologica, l’opera è ricca di citazioni spiazzanti, su questa ultima matrice psicologica emerge come e quanto Freud fosse più spirituale di Jung. Il saggio sbroglia il complesso rapporto storico della filosofia e delle spiritualità a matrice filosofica con la spiritualità in genere, e quella delle religioni rivelate e istituzionalizzate, dinamiche d’antagonismo e di reciproche contaminazioni e compenetrazioni talvolta proficue, come anche deleterie. Qui il saggio con semplicità espositiva diventa complesso com’è complessa la tematica affrontata: dalle notorie tematiche di Agostino che cristianizza il platonismo platonizzando così il cristianesimo e Tommaso che segue percorso simile con l’aristotelismo, a passaggi minori poco conosciuti e sorprendenti come, ad esempio, il copyright “Esercizi Spirituali” e correlate pratiche tutte della filosofia greca classica, solo in seguito “rubate” e fatte proprie dal cattolicesimo. In questo sbrogliamento oltre a circostanziare talune evidenti arroganze dei monoteismi storici e connessi monopoli spirituali, come pure di alcune ideologie, sono ben analizzate e denunciate le responsabilità della filosofia medesima nel suo avere soventemente abdicato, in sterili intellettualismi, alla sua vocazione spirituale; vocazione universale di indagine al significato e fine dell’esserci, dell’Altro, della Natura, della finitudine, della sofferenza, della soddisfazione personale e collettiva e correlate prassi di vita. Territori che se lasciati vuoti dalla filosofia vengono inevitabilmente, come accade nei processi della fisica, colmati e colonizzati da chi si trova da quelle parti. Il prestante invito e la testimonianza di Cavadi per una filosofia capace di spiritualità pensata e vissuta non cade nell’equivoco del massimalismo, coerente al suo pluralismo invita ad una spiritualità anche «oltre la filosofia per mezzo della filosofia». Descrive inoltre «come fra parentesi» differenti modelli di spiritualità “laica” alternativi alla filosofia stessa: letteratura; musica - “leggera” inclusa -; pittura; ricerca storica e artistica; scienze “dure”, fino alla gastronomia e allo sport.
Il saggio espone costellazioni di filosofi moderni e postmoderni dove Cavadi sceglie, per evidenti esigenze di condensazione, una ventina di gemme che si sono distinte per lo specifico e diretto contributo ad una filosofia spirituale, talora loro malgrado - come Feuerbach o Fichte - dove l’Autore individua, enuclea e palesa la peculiare spiritualità in modo convincente. Capitoli davvero preziosi per chi, non filosofo di professione come il sottoscritto, desidera apprendere agilmente snodi cruciali della spiritualità filosofica moderna e postmoderna.
La seconda parte del libro dedicata allo sviluppo e all’applicazione pratica dettagliata le «Linee essenziali di una spiritualità filosofica». Veri e propri esercizi spirituali laici, dove lo stile di scrittura si fa ancora più diretto e fruibile, s’incrementano le annotazioni autobiografiche e diminuiscono, in parte, le citazioni che appaiono forse più valorose per la loro immediatezza e incisività. Indicazioni di metodo pratiche mai moralistiche, ma frutto e nel contempo pianta del corretto filosofare. Docilità critica alla lezione delle scienze, presenza a sé e agli altri, capacità di auto umorismo, accettazione della propria finitudine, saggia gestione delle critiche altrui, equilibrio negli stili di vita, distacco, gratitudine… Percorso pratico di saggezza, dunque, di soddisfazione. Il libro si congeda poeticamente con una commovente (muoversi insieme) poesia di David Maria Turoldo e chiude con un “Dossier Operativo”: non poteva finire che così questo percorso spirituale, dossier che non indica eventuali nebulose ipotesi di lavoro future, ma rendiconta e invita a quanto Cavadi è stato abile a implementare e imprendere da decenni, percorso ben anticipato nella prefazione di Franceschelli. Momenti pratici e precisi di spiritualità operativa e comunitaria: Vacanze, Week - end e cenette filosofiche, Domeniche di chi non ha chiesa, seminari di teologia critica, celebrazioni comunitarie.
Nell’intero libro un solo motivo di personale titubanza, inizialmente nebuloso, mi è stato chiarito grazie a una decina di citazioni con approccio e taglio mistico che l’Autore riporta di Marco Vannini: non solo non mi sono piaciute, ma, nonostante i distinguo e le precisazioni di Cavadi, non le condivido nel merito percependole cubetti del mosaico un po’ fuori posto. Citazioni purtroppo serie (quanto sarebbe qui utile un po’ di umorismo Zen con la consapevolezza di un Thomas More), che estrapolo e condenso attento a non distorcerle: “fondo dell’anima”; “personale anima abile nel raggiungere sublimità al di sopra della natura” - qui l’arguto Franceschelli nella prefazione, nonostante l’inequivocabile effluvio di sostanza stupefacente, ha amichevolmente glissato; “La grazia è senza perché […] appare come l’universale, ove non è più l’io”; “magica forza” dove Vannini si trova specularmente d’accordo con Hegel - per speculare intendo come si diceva negli anni ’70 degli opposti “ismi” che s’incontrano, a riguardo mi tornano alla mente i desaparecidos dei regimi argentino e cileno, dove i militari hanno ucciso spietati migliaia di cittadini moderati e estranei al conflitto, ma sovente graziavano i reali e diretti nemici organizzati e armati: si sa, tra militari ci si può anche intendere. Un approccio mistico indifferente a qualsiasi «conoscenza della conoscenza» (Morin), contiguo all’occultismo favorente totalitarismi - su questo Cavadi in altri passaggi ha colto puntualmente potenziali rischi di derive autoritarie - in quanto più poggiato sull’emozione che sul cosciente e razionale pensiero. Forse esagero ma non possiamo escludere che l’ineffabile è tale non perché sublime ma perché non contiene nulla. Se contiene, dice e dice bene e bello (a pagina 126 un illuminante Wittgenstein risolve la problematica), ma sul nulla può attecchire di tutto: un individuo che afferma un potente, impersonale, soprannaturale profondo dell’anima potrebbe alzarsi una mattina e, coerente con sè stesso, pontificare al mondo senza alcun perché che tale forza, per azione di una gratuita universale potenza magica, è lui medesimo. E’ accaduto nei totalitarismi e correlati olocausti, accade ai piccoli guru nelle derive New Age. Appare dunque necessario integrare con un’accurata analisi la relazione tra l’umano pensiero e il sacro e viceversa. Sacro evidentemente prodotto dal pensiero del soggetto fin dai primordi, eppure tarlo potenzialmente esautorante e il soggetto e il pensiero, sia in versione annichilente che di ebbra esaltazione. Relazione del pensiero col sacro; della razionalità con l’emozione; del plausibile con l’occulto paradisiaco o infernale che sia, per la quale ritengo proficuo permanga, affermando il primato della ragione produttrice di sano, e tutto sommato anche di santo, una consapevole e dialettica dicotomia.
Consapevole d’aver voluto recensire il saggio con la congruità che merita ma, per evidenti limiti di personali competenze, di non esserci riuscito, termino un po’ migliore grato all’Autore e a tutti i suoi amici di percorso.
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[1] Cfr. R. Dunkerley - a cura di -, The Unwritten Gospel. Ana and Agrapha of Jesus, Allend and Unwin Ltd, London 1925, p. 84.