Taranto provincia, Natale. In attesa del megapranzo esco a fumare l’Extravecchio per digerire il cenone di cinquanta portate, dal gulasch ungherese al barracuda pescato da mio cognato così fresco che morsica ancora il duodeno. Tra un tiro e l’altro monìtoro discreto il dialogo di due trentenni, argomento: l’automobile più veloce della città. Uno sostiene che il primato spetta all’“Ira di Dio”, la Delta integrale del suo vicino, l’altro alla “mostruosa” Ferrari di un amico del cugino. Ad assioma delle rispettive asserzioni ostentano e comparano da YouTube le performance d'Ira di Dio e Mostro.
Per il clichè dei percorsi intellettuali classici i due sarebbero stimati esponenti di subcultura, ma ispirato dall’ultimo libro che ho letto, quello che annoverava nei modelli di spiritualità anche il rock, la gastronomia e lo sport, evito giudizi di valore e mi butto sull’antropologico interpretando la coppia esponente di diffusa sottocultura situata all’interno della universale comunità dell’edonismo tecnologico capitalistico. Non del tutto convinto voglio essere più generoso coi due e viro al simbolico: bolidi emblema del desiderio di fuggire da un quotidiano asfittico. Proseguo nel tentativo di giustificarli fino a quasi raggiungere traguardi estremi del pluralismo là dove Checco Zalone e Kant, Beppe Grillo e Shakespeare, seppur nelle differenti e specifiche espressioni, valgono tutti allo stesso grado, ma il pranzo in tavola mi chiama salvandomi dalla deriva.