Gabbamento
Opporsi al nichilismo proclamando verità assolute è processo che appartiene allo stesso nichilismo, anzi lo catalizza traslando il «Niente è vero, tutto è permesso»[1] al voilà la Verità, (in nome della quale) tutto è permesso[2]. Un esempio, tra i tanti possibili, che dimostra quanto nei processi storici le cose vadano semplicemente dove devono andare, non solo indifferenti al nostro attivo resistere ma utilizzandolo.
L’ho vista in faccia questa onnivora e furbissima entità che determina il mondo, si aggirava nel parcheggio del centro commerciale nel vegetare del Centocchio in una spaccatura nell’asfalto e nei figli che scendevano e salivano dalle auto di coppie scoppiate, quanto procreanti.
È la natura, è la specie, che abbindola il singolo e vince.
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1 Nietzsche - Così parlò Zarathustra.
2 In ogni esaltato, sotto, sotto, c'è un disperato. Trasponendo la metafora di Mao Tse-tung quando scriveva che i guerriglieri devono «nuotare in mezzo al popolo come i pesci nell'acqua», possiamo osservare che nichilista e fanatico nuotano nello stesso lago.
Capienze
Apprendo[1] che alcuni storici della filosofia avevano romanticamente individuato la causa della follia di Nietzsche nell’inevitabile deflagrare della mente individuale se invasa dalla potenza dell’Assoluto. Diagnosi che ricorda la leggenda di Agostino, quando nell'incontare un bambino che provava a travasare il mare in una buca l'aveva avvisato dell’impossibilità dell’operazione, sentendosi replicare che lui faceva lo stesso nel pretendere di far entrare gli immensi misteri di Dio nella sua piccola testa di uomo.
Allegorie utili se tali restano, visto che di fatto coscienza e pensiero non ottemperano le stessi leggi di una bottiglia di birra, ma fluttuanti e flessuosi non hanno misura fissa e, perlopiù, non esplodono per il troppo contenuto ma per perdita di moto e elasticità.
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1 Sossio Giametta, I PAZZI DI DIO, CROCE, HEIDEGGER, SCHOPENHAUER, NIETZSCHE E ALTRI, saggi e recensioni, La Città del Sole.
Indizi di grandezza
Siamo un disastro nelle relazioni amorose? Ambivalenti e conflittuali in quelle amicali?
Ci troviamo a un buon punto per diventare dei grandi, al pari di Nietzsche e Schopenhauer che in queste cose producevano macerie a raffica, solo un ultimo sforzetto per implementare una teoresi dell'esistente originale e valorosa quanto la loro ed è fatta.
Il miracolo dell’imputabilità
Ogni agente (o azione) produce eventi, ma consideriamo imputabile solo quell’agente che liberamente intende, vuole, sceglie e può, causare responsabilmente uno specifico evento invece che un altro. Passando in rassegna l’inventario del mondo, metafisico incluso, diciamo che imputabile è solo l’uomo, mentre il resto è funzionamento governato da leggi di necessità.
Se tale imputabilità è un antropocentrico artefatto culturale estraneo all'oggettività della natura, una teoria non dimostrata, una narrazione che abbiamo costruito perché non possiamo assumere l’operato di un Hitler al pari di un fiume che gravita necessariamente al mare, tutto torna, tragicamente ma torna, e rimossa l'anomalia del libero arbitrio ogni parte del cosmo permane al suo posto senza forzature[1].
Ma se questa umana imputabilità esiste realmente e universalmente, ed io la vedo esserci, andrebbe enucleata chirurgicamente per cogliere il suo giusto posto nell’economia cosmica, non è escluso che potrebbe valicare l'intra-umano e spiegare l’universo.
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1 In parti del pensiero orientale il libero arbitrio è considerato sabbia negli ingranaggi del funzionamento naturale. Nella Bhagavad Gita si narra che Arjuna un momento prima della battaglia scorgendo tra i nemici parenti e amici intende ritirarsi per non ucciderli, ma il dio Krishna giudica illusorio quel sentire e lo sprona a combattere con totale distacco, ottemperando il suo ruolo nell’Uno del sommo funzionamento cosmico.
Il mondo delle idee
Diciamo cinghiale se uno, cinghiali se di più. Tutto qui.
Ma se diciamo padre enunciamo un principio eterno e universale, mentre nel dire padri riportiamo notizie di cronaca provinciale o al massimo storiche.
Miti e archetipi come le figure dei tarocchi ardono solo nella forma singolare -talora anabolizzati dall'articolo determinativo e dalla maiuscola- ma al plurale si estinguono.
Portali
Sto realizzando il terzo orto botanico ed è il migliore: questa volta raffrontando la mia aspettativa di vita col tempo necessario affinché le nuove piantine raggiungano gloria, risulta che non farò in tempo a goderle.
Eppure proprio in questa misura che fa e cura senza possesso s'aprono strani portali di rassicuranti regni.
Pensiero artificiale?
Vedo tre modi di pensare. Nel primo -che più che un modo è un modulo- riceviamo, memorizziamo ed esponiamo l’appreso; catechismo dello scibile prevedibile come un’eclissi, e qui le macchine già ci superano.
Nel secondo ragioniamo su questo materiale elaborandolo, anche le macchine lo fanno con esecuzioni più precise ma meno sorprendenti delle nostre.
Il terzo modo è l’articolare dei poeti e degli artisti che attingono chissà da dove, e qui non c’è partita.
Laicità in filosofia
Tra le caratteristiche di un filosofo valoroso (e di chi opera col pensiero), includerei la laicità di interloquire alla pari con la gente normale, quella che segue il buon senso, che profana ignora statuti e non possiede erudizione specifica, evitando di fare il sacerdote preconciliare che celebra la messa in latino rivolto all’altare.
Non tanto per essere più buono, umile e semplice rischiando l'ingenuità, ma perché l’altezzosità è indizio di fragilità.
Libero arbitrio, Natura, Dio
Sossio Giametta, che è davvero un piacere leggere, ci ricorda che pensatori del calibro di Spinoza, Schopenhauer e Voltaire, consideravano il libero arbitrio una mera credenza, di fatto inesistente[1]. Osservo che incardinando l’individuo umano nel meccanicistico funzionamento di una natura sprovvista di creatore il libero arbitrio diventa un’anomalia, un intruso, un nodo: se nel funzionamento cosmico ogni accadere è procurato da una causa specifica, quale sarebbe mai la causa della libertà di scegliere? La libertà non ha causa, un bel problema. Da cosa proverrebbe, dunque, questa strana sovranità avulsa dal funzionamento cosmico di causa ed effetto? O ammettiamo un Dio caratterizzato dal libero arbitrio che lo infonde nelle sue creature -ci sarebbe da chiedersi perché in alcune (Homo) lo infonderebbe di più e in altre (Plantae) di meno, comunque problemi Suoi-, oppure accettiamo che una sorta di Dio sia l’uomo stesso, ammettendo nell’individuo un nucleo soprannaturale, o comunque anarchico rispetto al funzionamento della natura, testimoniato dall’incausato, miracoloso, potere di scegliere.
Ci si trova in un ginepraio se riconosciamo la realtà del libero arbitrio ma precludiamo la possibilità di un Dio creatore, o di un qualcosa che gli assomiglia. Schopenhauer, che non ammette il Creatore, per uscire dal cul-de-sac prova a dimostrare che il libero arbitrio non esiste. Per Schopenhauer quelli che pensano grossolanamente (ad esempio il sottoscritto) si illudono, al netto di cause di forza maggiore, di essere liberi di scegliere perché constatano, empiricamente, la possibilità di scegliere tra differenti opzioni per l’elementare motivo che lo vogliono loro. Per Schopenhauer credono, sbagliandosi, che la personale volontà sia libera da ogni causa; dinamica invece inammissibile visto che qualsiasi evento che accade in questo mondo una causa ce l’ha sempre e l’uomo è un fenomeno naturale che non differisce dagli altri. Per Schopenhauer una precisa causa che attiva e determina la scelta individuale prefissandola c’è sempre, ma l’individuo non la coglie e non cogliendola ha la sensazione, errata, di esercitare una libera scelta. Nel nostro volere siamo davvero liberi di volere ciò che vogliamo? Per Schopenhauer non lo siamo nel senso che una cosa è «la libertà di fare quello che si vuole [ma tutt’altra cosa] è la libertà di volere o non volere quello che si vuole, che invece, secondo Schopenhauer e vari altri filosofi, non esiste.» (Giametta).
Per Schopenhauer la libertà di volere o non volere quello che si vuole è determinata dalle condizioni ma ancor di più, e totalmente, dal carattere individuale: scegli di volere o non volere quello che vuoi non perché sei libero ma perché sei tu. Arzigogolato? Un po’ sì. Grazie a queste parole finalmente sradicata la credenza nel libero arbitrio? Mica tanto. Banale? Per niente, perché anche se limitati dal nostro pensiero grossolano permaniamo perplessi, va riconosciuto a Schopenhauer che la sua visione è stimolante e insieme pacificante[2]. In fondo è il primato della vocazione, di quella ghianda peculiare che nel suo svilupparsi ci ha fatto quello che già eravamo. Nel comandamento diventa te stesso non c’è fatalismo e neppure stasi.
Le perplessità però crescono se espandiamo la visione schopenhaueriana dell’inesistenza del libero arbitrio a tutta la società: se le cose stanno come sostiene consegue che il mondo è perfetto proprio così com’è, e manco potrebbe essere diverso. Per il diritto le cose si complicano ulteriormente: permane sì una sorta di imputabilità personale, ma non per il reato commesso, ma perché sei tu (che l’ha necessariamente commesso).
Ma se tutto ha una causa -ricordiamoci che Schopenhauer si muove in questo solco aristotelico per demolire il libero arbitrio, quindi deve coerentemente mantenerlo fino alla conclusione- quale sarebbe la causa del carattere personale e, dunque, del conseguente prefissato scegliere. Per Schopenhauer è una sorta di emanazione della Volontà naturale che pervade gli individui, ma il motivo per cui questa emanazione si distribuisca in differente grado e qualità, per cui tu sei così e quell’altro cosà, è per il filoso un mistero (vedi noumeno e dintorni). In fin dei conti il pensiero raffinato alza l'asticella rispetto a quello grossolano, ma poi al pari di questo non riesce a saltarla.
Per come la vedo Schopenhauer afferma una verità ma parziale. Vero che c’è DNA e potremmo aggiungere anche l’inconscio che non ci fa essere padroni a casa nostra, ma la vocazione non è riducibile a questo: anzi riguardo l’inconscio ognuno ha un po’ quello che si merita. L’Affermare consapevolmente scelgo così perché sono io non può ridursi a una logica binaria che vede o totale e necessaria fissità o assoluta libertà, plausibile che agiscano entrambe e non è neppure escluso che siano la stessa cosa.
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1 Sossio Giametta, I PAZZI DI DIO, CROCE, HEIDEGGER, SCHOPENHAUER, NIETZSCHE E ALTRI, saggi e recensioni, La Città del Sole.
2 Nei Saggi - Libro I, Capitolo LVII « Dell’Età » - Montaigne cita un modo di dire della Francia del 500: « Se la spina non punge quando nasce, è difficile che punga mai. ». Montaigne puntualizza:
«Quanto a me, penso che a vent’anni i nostri animi si siano ormai sviluppati quanto devono esserlo, e promettano quanto potranno. Mai un animo che non abbia dato a quell’età testimonianza ben evidente della sua forza, ne dètte la prova in seguito. Le qualità e le virtù naturali mostrano entro quel termine, o mai, quello che hanno di vigoroso e di bello.»
Inedito?
Chi scrive un’autobiografia o passa semplicemente in rassegna la sua esistenza, potrebbe anche registrare che gli stadi di pensiero individuale, vissuti da bambino, adolescente, età adulta e vecchiaia se c’è arrivato, talvolta hanno ricalcato cronologicamente il processo della storia della filosofia che partendo dai presocratici è passata ai classici, poi alla scolastica fino all'idealismo e al post moderno.
Ma questa sorta di ontogenesi che riassume la filogenesi è forse più riscontrabile da quelli della mia generazione che, dopo l’adolescenza, avevano abbracciato una propria scolastica medioevale credendo in qualche verità indiscutibile per poi superarla, nella fattispecie marxista oppure cattolica, in qualche raro caso destroide. Senza quella pancia medievale (personale e collettiva) tutto permane più sfasato, liquido e indecifrabile.