Dopo mesi che insistevo sulla problematica stavo realizzando d’essermi compulsivamente fissato sulla cosa, specialmente dopo qualche occhiata tra il perplesso e l’indifferente di chi vive con me, ma leggendo Löwith che affronta Nietzsche[1] vengo informato che il problema è «infinitamente importante», sorta di laico nulla osta a non mollare l’osso.
La problematica -a chi piacciono queste cose- è nota: la natura è causa di sé e insieme inconsapevole di sé, indicibilmente prima e oltre ogni umano aggettivo -"consapevole"/"inconsapevole" inclusi- che proiettiamo arbitrariamente addosso a una natura che si muove autonoma in tutt’altri paradigmi e regni. Sprovvista di coscienza, intendimento e volontà, la natura funziona obbedendo a necessarie leggi autodeterminanti e cicliche, mentre noi provvisti di autocoscienza, intendimento e volontà, sembra possiamo muoverci più liberamente sporgendoci dal ciclico meccanicismo naturale.
Nella storia della filosofia qualcuno, di quelli bravi, afferma che anche noi siamo natura e non possiamo sporgerci per niente da essa e, dunque, il libero arbitrio è un’ingenua credenza. Altri, non meno bravi anche se forse un poco esaltati, sostengono all’opposto che possiamo sporgerci del tutto al punto da determinare finanche ontologicamente la realtà naturale. Numerosi altri filosofi, per nulla brocchi, dicono che possiamo sporgerci giusto un po’. La problematica mi sembra importante perché se siamo liberi -anche solo un po’- senza che esista un libero Creatore che ci ha fatto a Lui somiglianti, occorre indagare da dove proviene questa nostra libertà che la natura non contempla.
Del sovrannaturale diffido e che ci sia un Creatore non lo so, so però che l’umana libertà, se c’è, è un indizio in tal senso, a meno che questa libertà sia in qualche modo già presente nella natura stessa e da essa la ereditiamo. Se così fosse dovrebbe essere possibile superare la separazione necessità/libertà, ma se provo a unificare i due regni l’esperimento mi funziona solo per cinque minuti mentre curo piante officinale dimenticandomi di me, o quando digerisco spontaneo le orecchiette con le rape senza che conosca l'ABC della gastroenterologia. Per tutto il resto del vivere reale in questo mondo: relazioni, morale, storia, società, diritto, politica, lavoro, ecc., poggio tutto su quell’umano artefatto che chiamiamo cultura (linguaggio espresso dalle parole in primis) e i regni dell’umana libertà e della naturale necessità permangono perlopiù separati. C’è qualcuno che ha provato a unificarli completamente e stabilmente senza tirare in ballo Dio? Tale unificazione sarebbe prova convincente della sua inesistenza. Löwith ci illustra che Nietzsche ci ha provato: «Il suo “Ego” [libertà] diventa per lui il “fato”[necessità] nel senso cosmico (equazione di "Io" e “Natura”, Schelling). Per la sua natura e la sua origine, l’uomo non è una creatura extramondana, bensì un fanciullo cosmico eracliteo, che in quanto tale partecipa, sia distruggendo che costruendo, al gioco creativo del mondo».
E’ la mistica dell’ “Io Sono” nella quale Nietzsche proclama la danzante, caotica, potenza dionisiaca, mentre Löwith coglie la potenza ordinata: anche la danza più sfrenata, se è danza, ha le sue regole e misure. Prospettiva affascinante quella di Nietzsche, ma mi sembra che un punto, non da poco, rimanga in sospeso ed è questo: il fanciullo cosmico eracliteo, tutto sommato entità determinata da primitività, potrebbe vivere in questo nostro mondo presente? Potrebbe relazionarsi con gli altri? Potrebbe interagire con le numerose e differenti identità e ruoli che di volta in volta costruiamo e abbracciamo per vivere in questo mondo complesso (identità sociale, professionale, ecc.)? Potrebbe essere sì una sorta di sostrato primario identitario che un qualche eremita immerso nella natura vive in presa diretta in un «rifidanzamento col mondo» grazie alla morte di Dio, vale a dire ritornando a, e ripartendo da, prima della sua invenzione implementata da Homo sapiens, ma inadeguato a diventare protagonista in questo mondo attuale che sarà poca cosa, ma è quello che abbiamo. Plausibile che lo rinchiuderebbero, e con buone ragioni non perché è nudo ma perché non sa quello che fa, il fanciullo cosmico eracliteo se si aggirasse per le nostre piazze. E se non si aggira nelle nostre strade perché è un dio, sarebbe davvero fragile l’operazione di Nietzsche che accoppa Iddio per metterne un altro riciclando un Gesù bambino un po' più scavezzacollo. Così la separazione fra Io e Natura permane, la possibilità di un Dio creatore (che sanerebbe la separazione) anche.
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1 Karl Löwith, “Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche”, VIII. Il tentativo d Nietzsche di riguadagnare il mondo, Curatore Orlando Franceschelli, Donzelli.